(683) Impulso

Ognittanto mi viene l’impulso di prendere la bicicletta e pedalare. Non lo faccio da anni, ma ognittanto ci penso e se avessi una bicicletta a portata di mano lo farei. La inforcherei e inizierei a pedalare a più non posso.

Quand’ero bambina era una delle cose che mi piaceva fare di più, dal triciclo in poi, ogni giorno. Potevo prendere la bicicletta e pedalare nella corte (all’inizio), dopodiché ebbi il permesso di pedalare fino a scuola (che era in paese), poi fino a poter fare il giro dei paesi limitrofi (ero ragazzina) e infine alle superiori: via… alla conquista della città (che era distante all’incirca 17 km).

Il mio primo mezzo. Pedalare  incontro alla libertà era la mia gioia.

Sostituito a diciasette anni dal motorino e a diciannove anni dall’auto, che non sono da meno, anzi, l’ho piano piano abbandonata e mi dispiace. Mi succede anche ora, con l’auto, di avere spesso l’impulso di salirci e partire – e appena posso lo faccio anche – quindi immagino sia proprio una questione legata al come mi sento quando sono in movimento, quando la strada si fa mangiare dal mio passaggio e tutto quello che mi sta attorno cambia scivolando via, lasciandomi leggera.

Mentre crescevo ho dovuto imparare a dominare gli impeti, quelli che mi facevano partire in quarta senza curarmi delle conseguenze. Le conseguenze mi hanno insegnato che, magari, usare prima la testa non sarebbe stata una cattiva idea. Ok, ho imparato, forse fin troppo bene. Mi sono accorta che riesco a sedarli ancor prima che si affaccino in superficie. Significa avere il controllo, certo, ma questo controllo s’è digerito da tempo ogni entusiasmo. Possibile che si debba sempre rinunciare al bello per non finire nei guai?

Non so quanto mi convenga ripristinare la vecchia via, quella senza filtri. E quando si parla di convenienza è segno che la vecchiaia è già qui, ed è qui per restare. Aiuto.

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(68) Cittadino

Non so bene che significato dare a questo termine perché nomina l’appartenenza e faccio fatica, molta fatica, ad appartenere a qualcosa o a qualcuno. Fosse anche solo a un concetto. Non lo so, sento un urlo dentro che mi spinge lontano, dove posso essere di nessuno e legata a niente. Forse, però, è soltanto una difesa.

Non ho mai creduto che un voto potesse davvero far fluire le sorti del paese da una parte o dall’altra in modo evidente. Le cose che riguardano i popoli avvengono molto lentamente, preparano per decenni le conseguenze senza che nessuno lo noti (appositamente o inconsapevolmente). Ecco, le conseguenze precipitano veloci. Quando le vedi è troppo tardi.

Più che appartenere posso riconoscermi in un certo tipo di persone, quelle che vanno sulla loro strada con dignità e una certa coerenza intima. Anche se da fuori non si nota, anche se per conoscerle lo devi proprio volere perché non succede per caso.

Io non le cerco, le incontro. Le riconosco come a me vicine per visione o per ambizione e, ogni volta che succede, ne sento il benefico effetto come un balsamo corroborante.

Per caso il mio paese è l’Italia, ma non è un caso se sono ritornata qui a vivere.

Non so perché l’ho scritto, forse per ricordarmelo. Se me lo dimentico sono nei guai, accidenti.

b__

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