(1023) Gola

Quando un’emozione ti prende la gola è fatta, sai già che avrai la peggio. Perché lo stomaco lo puoi nascondere, la gola no. Neppure una sciarpa o un foulard potrebbero nascondere il tremito che la gola rivela – che sia di gioia, di dolore, di rabbia, di tristezza, di tutto-quello-che-vuoi non importa – e che è pronta a usare contro di te.

Il segreto per evitare la disfatta sarebbe: non provare alcuna emozione. Bingo.

I peccati di gola, d’altro canto, possono rivelarsi ben piacevoli e del tutto perdonabili, chissà perché.

Prendere per la gola qualcuno – che tu lo voglia sedurre o far fuori – è un’azione potente, che richiede una certa concentrazione. Non da tutti, non sempre, non con chiunque e non ovunque. Bisogna farci attenzione.

Tagliare la gola… ecco, i tagliatori di gole son brava gente dopotutto – gente che fa soltanto il proprio lavoro – e che crede nel proprio valore e nell’utilità che apportano alla comunità, ma è meglio tenerli a distanza, si rischia di avere la peggio.

Il nodo in gola fa parte delle cose mal digerite, che ti viene da piangere o da vomitare, e sempre di emozioni si tratta.

Quando riesci ancora a parlare, quando la voce non ti manca, quando il respiro ti regge, sii grata alla tua gola.

Ingoiare i rospi come pratica quotidiana non porta niente di buono, bisognerebbe ricordarlo.

Tutto questo per dire cosa? Che la gola è importante perché ci rivela.

Eh, sì. Un’altra imperdibile perla di saggezza… no, non ringraziatemi, e soprattutto state lontano dalla mia gola!

‘notte

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(786) Caricatura

Spingersi oltre per forzare una convinzione che non ci serve più, che forse non ci è mai servita, ma che ora si rende con evidenza nel suo peso e nel suo carico. Senti che non va bene, così non va bene, non è mai andato bene ma per qualche motivo che-dio-solo-sa-e-forse-neppure-lui ti eri fatta andare bene. A cosa stavi pensando? Che cosa ti aspettavi? Che diavolo pensavi potesse accadere di diverso? Che film t’eri fatta, santo-di-un-dio?!

Ma che ne so. Davvero che ne so.

Credo sia soltanto una questione di carico. Bisogna caricare, forzare l’immagine fino a distorcela, fino a farla deforme e orrenda e ridicola, soprattutto ridicola. Anche quando non ti viene da ridere. Anche quando ti viene solo da tirare calci. Anche quando hai voglia di andartene, di mollare quella dannata situazione e metterci una pietra sopra. Un masso sopra, meglio.

Quindi, considerato che la vedi arrivare da lontano ‘sta fine, perché non la acceleri? Bella domanda.  N-O-N-L-O-S-O. Se lo sapessi non starei qui a scrivere, non mi servirebbe scrivere se già sapessi i perché e i percome. Serve ripeterlo?

Aspetto perché voglio vedere fin dove si arriva. Aspetto perché voglio sperare che non serva finire. Aspetto perché vorrei non dover finire. Perché a forza di finire ci si fa il vuoto attorno e nel vuoto mi viene mal di testa.

Ma che ne so. Davvero che ne so.

So cosa faccio per finire: spingo e forzo le immagini finché non si trasformano e acquistano la loro reale identità. Le guardo e le digerisco. Ed è finita, da quell’istante lì è finita.

Adelante Sancho.

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(665) Lucidità

Faccio fatica a mantenere il controllo. Ormai è un dato di fatto. Faccio fatica. Non significa che l’ho perso il controllo, significa che faccio fatica. Fatica. Fatica. Fatica. 

La fatica uccide la lucidità. Quindi in realtà ho perso la lucidità. Eccoci al punto.

Essere lucidi è essere veloci, agili, vigili. Una gran condizione per affrontare qualsiasi cosa il mondo ti butti addosso. Lascia stare l’intelligenza e la sensibilità, perché spesso sono proprio loro a minare la lucidità di pensiero. Un giorno un amico mi ha detto: “Sei talmente intelligente da risultare stupida”. Sbang. Estremizzare l’intelligenza non ti rende migliore, evidentemente. La sto ancora digerendo ‘sta cosa, comunque. Vabbé, piano piano, ho i miei tempi.

La sensibilità, che è propria di chiunque al mondo respiri (mondo vegetale compreso), riduce drasticamente la capacità di discernere, di comprendere, di tenere le briglie di una realtà che cambia e si stravolge a seconda dell’angolazione da cui la guardi. E siamo tutti in balìa degli eventi – volevo aggiungere un’ulteriore banalità, così da rendere evidente la mia stupidità (no, non l’ho ancora digerita).

Ritornando alla faccenda del controllo, ormai me ne sono fatta una ragione: tutto quello che riesco a maneggiare con padronanza si può contare sulle dita di una mano, una mano di tre dita – tipo Ben-nemico-del-mal (ndr. che tutti noi quarantenni conosciamo bene) – e mi rifiuto di trasformare questo limite in un cruccio. Va bene, me ne posso fare una ragione, non controllo un cavolo fritto da una vita e non cambierà mai, neppure con l’avanzare della vecchiaia. Amen. 

Ciò non toglie che la lucidità me la voglio riprendere, non so ancora come, ma voglio proprio riprendermela tutta. Al più presto. Grazie.

 

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(86) Parole

Lo so che attaccarsi alle parole può sembrare una sciocchezza, ma io faccio così. Una parola contiene e libera. Contiene significato quando la scegli, libera significato quando la porgi al mondo.

Sono dannatamente attaccata alle parole, a quelle che dico e a quelle che ricevo. Non è granché assennato, me ne rendo conto, ma uso le parole per tradurre le immagini che ho dentro e se voglio che risultino altrettanto splendide devo curare le parole. Non ho altra scelta.

Una cosa, però, ho imparato: sono le azioni e sono i gesti che ti danno conto della realtà, non le parole.

Non è stata una lezione facile da digerire, partendo dal presupposto che parola corrisponda a intenzione che si traduce in azione. Era solo un mio presupposto, non il presupposto del resto dell’umanità. Appena mi sono resa conto di non essere al centro dell’universo è stato più facile adattarmi. Questione di età, certamente.

Perdono le parole approssimative, assurde, malevole che ricevo molto più facilmente di quelle che nascono da me. Quando me ne accorgo, la ricerca della loro origine mi ferisce e mi mortifica. Non mi piace scoprirmi cattiva.

Col tempo sono migliorata, ho grandi aspettative nei confronti di me stessa per quanto riguarda il futuro. Farò attenzione a non deludermi, sarebbe dura da ingoiare dopo aver tanto faticato per crescere.

Vedremo.

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