(905) Spostamenti

Oggi è giorno di spostamenti, cosa che capita non così spesso come forse dovrebbe, ma quando capita significa che sto cambiando punto di vista. Ciò è sempre un bene, anche se poi a volte ritorno al punto di partenza. Ormai ho capito che la partenza (e l’arrivo non certo) è il grande loop della vita. 

Ritornando agli spostamenti, sono proprio cose da nulla. Ma importanti. Per esempio: mi sono fatta due ragionamenti e ho deciso che era arrivato il momento di spostare il monitor in ufficio in modo da non farmi venire il torcicollo. Certo, ho sopportato il torcicollo per mesi, ma non lo imputavo alla posizione del monitor. Non ci pensavo. L’evidenza il mio cervello la schifa, non so perché ma è un gap incolmabile, è quello che mi rende stupida suppongo. Il resto del mio cervello fa del suo meglio per colmare il vuoto, ma ci mette il suo tempo. Mesi. Di torcicollo. Guarda, lasciamo perdere.

Un altro spostamento di oggi è la corsia per arrivare a quella rotonda dove chi mi sta sulla sinistra taglia volentieri la strada a quelli di destra senza mettere la freccia. Ora: la corsia di destra è quella giusta perché devo virare a destra, ma immancabilmente c’è il fenomeno che dalla sinistra mi vuole attraversare pensando che io sia lì apposta per permettergli di essere un cafone della strada (e probabilmente anche della vita). Quindi, oggi, è stato il giorno: ho tenuto la corsia di sinistra, ho sorpassato la rotonda incriminata e mi sono tenuta sempre sulla corsia di sinistra prendendo il rettilineo. Sembra una cazzata, mi rendo conto, ma ha funzionato, non mi sono presa il nervoso imprecando per il sopruso del cafone di turno. Semplice. Ci ho messo mesi, ma ce l’ho fatta. Mesi. Lasciamo perdere.

Questo per dire che spesso mi intestardisco su una posizione che oggettivamente è corretta, nonostante la realtà mi dimostri che non sia necessario sopportare. Io faccio finta di niente finché non mi prende l’esasperazione. Poi mi sposto. O sposto. Ecco, la stupidità è uno stato molto concreto. E come la riscontro negli altri, la riconosco in me. Anziché incazzarmi con l’Universo e le sue Leggi, spesso dovrei incazzarmi con la mia incapacità di adattarmi alla realtà spiccia. 

Non sto parlando dei Massimi Sistemi, perlamordelcielo, per fortuna non mi sono mai adattata alle regole che non potevo condividere per indole ed etica, ma sto proprio parlando delle cose piccole, quegli spostamenti che non ti portano a sacrifici morali, semplicemente piccole astuzie che ti fanno evitare il travaso di bile.

Santiddio!

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(866) Meccanismo

Per una sorta di maledetto meccanismo quando il panico arriva io me ne vado. Me ne vado proprio. Se non lo si prova non lo si può capire. Non è una cosa che programmi, è un automatismo che non ha bisogno di tasti da premere. Arriva il panico e io me ne vado. Stop.

Questo mi ha permesso, suppongo, di sopravvivere quindi non è che lo viva male, anzi. Solo che ho pensato che se lo scrivo magari lo capisco meglio. Capire meglio non fa mai male, al massimo dà qualche fastidio. Un fastidio sopportabile. Non capire mi fa venire l’orticaria.

Ritornando al panico, valutando in soldoni i precedenti, posso soltanto dichiarare che non l’ho provato spessissimo, ma le volte che si è presentato alla porta l’ha trovata sempre aperta. Chiudere a chiave sarebbe una buona idea, lo so, ma è una di quelle cose che dimentico di fare sistematicamente. Fatto sta che lui arriva e io manco ci provo a parlargli, me ne vado e basta. Lascio lì il resto di me. E via.

Ok, un’altra cosa che mi viene in automatico è, davanti a una persona che mi sta mentendo, spingere la conversazione finché non si palesa in tutta la sua miseria. Qui ne sono cosciente, mi parte l’embolo e inizio ad incalzare il mio interlocutore finché non lo vedo annaspare. Ci riesco sempre. Detesto essere presa per fessa, una volta stavo zitta, ora molto meno. Mi parte l’embolo. E via.

Un’ultima cosa che faccio in automatico è dare per scontato che se qualcuno mi chiede un favore io sia tenuta a farglielo. Non mi chiedo mai il perché si siano rivolti a me e se sia il caso di rispondere sì o di declinare. Mai. Un’assurdità che solitamente pago con un mezzo travaso di bile, perché la maggior parte delle persone non ha ritegno, chiede e pretende, pretende e continua a chiedere, senza scrupoli. Ok, qui ho preso le mie misure. La mia testa dice sì in automatico, io mi prendo due minuti per pensarci. Magari dico sì lo stesso, ma con coscienza. Così poi mi incazzo con me stessa e con la mia coglionaggine. Tutto perfetto. 

Va bene, penso di aver detto tutto anche per oggi. Vado a letto. In automatico.

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(552) Umorale

La Teoria Umorale di Ippocrate – tra le altre cose – suddivide gli Esseri Umani in: sanguigni, flemmatici, collerici e malinconici. A seconda di come sono ripartiti i quattro umori nel corpo umano così poi risultiamo a livello “umorale”. Anche se le tabelle e le classificazioni non mi fanno impazzire di gioia – le detesto – mi ci sono infognata stasera a causa del mio umore (e non dico altro), portate pazienza.

In pratica: se sei un sanguigno (ovvero hai prevalenza di sangue) sei rubicondo, gioviale, allegro e goloso; se sei flemmatico (ovvero prevalenza di flemma) sei beato, lento, pigro, sereno, talentuoso; se sei collerico (prevalenza di bile gialla) sei magro, asciutto, irascibile, permaloso, furbo, generoso e superbo; se sei malinconico (prevalenza di bile nera) sei magro, debole, pallido, avaro, triste, ipocondriaco. Allora, dando per scontato che essere beato e magro, allegro e generoso, sereno e talentuoso, siano tutte belle cose, non vorrei che scoprirsi irascibili, permalosi, pigri, avari, tristi e ipocondriaci fosse la condanna che ci porta dritti dritti al macello.

Ippocrate era un brav’uomo, niente da dire su questo, ma certi giudizi così secchi sulle persone non fanno bene a nessuno. Se guardi in questo modo la gente va a finire che ti fiondi sull’eremo più alto del Nepal e sfanculi tutti in un colpo solo. Mi sembra un tantino estremo come punto di vista, n’evvero Ippocrate?

Certo che la bile ti rende una vipera, certo che il sangue ti shakera l’umore, certo che la flemma ti porta all’inedia, ma considerato che ognuno di noi è costretto ad averci a che fare, io proporrei un atteggiamento costruttivo, che dici?

Non lo so, se il sangue ti va alla testa potresti farti una doccia gelata. Se la bile di annebbia la vista, fatti un giro sulle montagne russe. Se la flemma non ti fa alzare dal letto, fracassati le orecchie con il death metal. Insomma, darsi per vinti è troppo poco per affrontare una condizione che pur sempre è passeggera, no?

Dai, Ippo, so che non stiamo messi bene, ma dacci almeno qualche speranza. Dicci che l’equilibrio non è una chimera, che anche se non diventiamo buddhisti possiamo cavarcela, che certi giorni va meglio e certi va peggio ma che alla fine i buoni vincono. E poi, se proprio non ci hai convinto, allora ci attacchiamo al vino e chiss’è visto s’è visto.

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(501) Maleducazione

Oggi, per la prima volta in vita mia, ho risposto a tono. Non ci ho messo neppure un secondo in esitazione, ho risposto mantenendo la mia posizione e facendo indietreggiare la maleducata senza a mia volta esserlo, maleducata intendo.

Per chi mi conosce davvero, questo exploit potrebbe essere uno shock.

Io sono quella che all’arroganza contrappone il distacco, alla prepotenza risponde con la gentilezza e alla maleducazione riserva una battuta ironica. Funzionano tutte, direi anche sempre, puntualmente, ma oggi ho cambiato tattica. Ho risposto come Dio comanda: affermando la mia persona e pretendendo il minimo rispetto sindacale. Rispetto come persona e come professionista. Non te lo chiedo, me lo prendo il tuo rispetto mettendoti al tuo posto.  Io non entro nel tuo spazio e tu non entri nel mio spazio – diceva Johnny a Baby mentre le insegnava a ballare il mambo. Il mambo così funziona, così dev’essere ballato. Amen.

Ho rimurginato tutto il giorno sul motivo scatenante del mio colpo di scena – reazionario, direi – e forse il punto è che questa persona non mi conosceva e io non conoscevo lei, non ci potevamo guardare in faccia (era una telefonata) e oggettivamente parlando il suo sbottare malamente a prescindere da chi ci fosse dall’altra parte del telefono è stato idiota. Non mi sono offesa, mi sono incazzata. Non mi sono infastidita, mi sono incazzata. Non mi sono sentita spiazzata, mi sono incazzata. Quel sacrosanto “adesso basta!” che ti fa alzare la testa, abbassare la voce portandola tutta alla gola per snocciolare le tue argomentazioni lucidamene senza perdere una battuta, senza farti interrompere finché non hai finito. 

Posso fare anche questo. Brava, Babs!

Cosa non farei mai, però, è armarmi di una pistola e sparare random a tutti i maleducati che trovo per strada. Perché non lo faccio? Perché questa cosa non posso farla? No, la potrei fare se lo volessi. Il punto è che non mi viene neppure in mente di poterlo fare. Non lo voglio fare. Non è la follia omicida che guida la mia reazione. Non è l’odio razziale, il pregiudizio, la vigliaccheria d’anima, il pensiero grezzo, la bile sovraesposta, non è questo che io alimento con il mio vivere. Tutta quella robaccia non mi appartiene, non ho imparato questo dalla vita. E non giustifico chi decide di farlo, e non evito di dargli il nome che si è guadagnato nel farlo, e non avvallo quel crimine e condanno strenuamente le invisibili firme che lo supportano.

Noi possiamo prendere una posizione, affermare la nostra presenza, dichiarare la nostra intenzione a non essere prevaricati, agire in modo da meritare e quindi – di conseguenza – pretendere il rispetto dagli altri quando viene a mancare ingiustamente. Possiamo farlo controllando le nostre paure, gestendo meglio la nostra emotività, monitorando i nostri sentimenti, respirando profondamente quando la fatica ci espone e ci rende vulnerabili. Tutto questo e molto altro possiamo fare.

Non possiamo superare il limite, però, perché soltanto un millimetro al di là della linea non c’è ragione che tenga, diventiamo noi quelli da condannare. Anzi, siamo noi quelli già condannati.  E senza appello.

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