(964) Stiletto

Ci sono parole che pungono, altre che accarezzano. Ci sono modi, toni, che scuotono, altri che rassicurano. Ci sono voci che assaltano, altre che accompagnano. Dipende dalle intenzioni, dal sentimento che traghettano, dalla persona da cui scaturiscono.

Certe parole in bocca a un estraneo neppure le senti. Se escono da chi ami è tutta un’altra storia. 

Quando sappiamo che colpire il quel punto provocherà dolore e decidiamo di colpire comunque, siamo imperdonabili. Sarebbe obbligatorio scusarci, spesso non ne abbiamo il coraggio. Ci vuole una bella tempra per chiedere scusa e sentire davvero la vergogna di aver ferito qualcuno volontariamente. 

Quanto riusciamo a perdonarci soltanto perché abbiamo imparato l’arte dell’autogiustificazione? Non ci giudichiamo mai crudeli, siamo sempre stati portati a dare quella fatale stilettata per un motivo o per l’altro. Inevitabilmente abbiamo dovuto reagire così. Inevitabilmente è andato a buon fine il colpo che abbiamo tirato. Doveva andare così. 

Ti ho fatto male? Pazienza, la prossima volta evita di portarmi fin lì. Fermati prima.

Ci deresponsabilizziamo volentieri. E andiamo avanti. I danni che ci lasciamo alle spalle non ci riguardano: brandelli di fiducia e risentimenti sparsi ci sembrano poco importanti.

Finché un giorno toccherà a noi raccoglierli e non sarà un bel giorno. Ma pazienza, bastava fermarsi un po’ prima e non l’abbiamo fatto.

Pazienza.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(961) Decisioni

Non è che sono debole. È che sono stanca. È diverso. 

Perché se sei debole scappi, se sei stanca hai voglia di scappare. Ma fai fatica ad andare. Senti che se scappi, stavolta sarebbe imperdonabile. Non puoi andare via. Non puoi. Punto.

Devi farlo per te. Devi trovare un altro modo, devi essere creativa. Devi ridimensionare e restringere e controllare e smantellare quello che è sofferenza, per restare. Restare non con la fissa che non hai alternative, ma con la consapevolezza che resti per migliorare. Te stessa soprattutto. Semplicemente resti, nonostante la voglia di andartene, perché non ti vuoi togliere una possibilità di realizzare qualcosa di buono per te stessa. 

In modo molto egoistico, ti metti al centro, ma allo stesso tempo molto generoso perché ti metti a disposizione di una situazione che farà stare bene tutti.

Uno sguardo dentro e uno sguardo fuori. Metti in atto una dinamica nuova, quella che non ti sei mai fermata a costruire perché ti sei arresa prima, pensandoti debole. Li hai fatti vincere, li hai fatti decidere per te. Sentendoti deprivata di una cosa bella. E non una sola volta. In loop

Quindi la prima decisione è di spezzare il loop.

La seconda decisione è di cambiare posizione e non situazione.

La terza decisione è di non farmi fermare più.

Conto uno, conto due, conto tre.

E resto in piedi.

E resto qui.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(754) Tunnel

Stai parlando e a un certo punto ti accorgi che hai preso un tunnel. Una strada che non ti permette distrazioni, né di paesaggio né di umanità sparsa. e che ti obbliga a focalizzarti su quello che stai facendo, ovvero: parlando.

Quindi sei costretto ad ascoltarti. Ascolti il suono dei pensieri, che anticipano l’emissione vocale, e ti rendi conto della densità di ciò che stai comunicando.

Se ti stai davvero ascoltando e ti accorgi che la comunicazione ti sta sfuggendo di mano, dovresti chiudere la bocca. Prendere un bel respiro. Resettare i pensieri. Capire cosa è il caso di dire. Dirlo. In questa sequenza precisa o diventa un casino ancora peggiore. Il tunnel non ti permette vie di fuga, o procedi o procedi. Fare inversione è da pazzi, mettere la retro è da pazzi, fermarsi è da pazzi.

Ritornare ai propri pensieri per salvare il salvabile è l’unica via possibile. Se non lo fai son cazzi tuoi. Ecco perché quando chi mi sta di fronte prende il tunnel io aspetto. Aspetto di vedere come va a finire. Sono davvero interessata, mi metto proprio tutta intera a guardare quel che accadrà. Non resto mai delusa. Nel senso che succede sempre qualcosa che mi fa capire meglio certe dinamiche bastarde della comunicazione. Imparo sempre. 

I miei tunnel sono spesso illuminati da una luce fioca, rallento per non andare a sbattere, ma di solito procedo senza intoppi. O non li vedo proprio o li salto. Non so neppure io come faccio, ma lo faccio. Succede anche che mentre focalizzo l’attenzione sui miei pensieri, la voce mi si impiglia o che il respiro mi manchi all’improvviso. Questo perché dappertutto non riesco a esserci e qualche cosa mi scappa sempre. Se mi accorgo che sto deragliando, che i pensieri vanno da una parte e il suono dall’altra inizio a preoccuparmi. Mi zittisco e cerco di riprendere il filo del discorso. Una cosa ho imparato a fare, e a farla bene: se mi sto sbagliando lo dichiaro.

“Scusa, non ho capito”

“Scusa, non volevo dire questo”

“Scusa, ho ascoltato soltanto una parte del tuo discorso e penso di avere frainteso”

Ecco, queste frasi aiutano me a fermarmi e a chi mi sta parlando a capire dove mi sono fermata. Sono sempre nel mio tunnel, ma mi sono dovuta fermare. So che non si dovrebbe fare, ma sono pronta per rimettere la prima e ripartire. Nella giusta direzione, con la giusta velocità e la giusta concentrazione.

Quando non mi riesce mi sento malissimo. Proprio malissimo.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(679) Bussare

Prima si bussa, anche se la porta è aperta, poi si chiede permesso e si aspetta la risposta. Se la risposta è positiva si entra, altrimenti no. Semplice, lineare logica comprensibile a chiunque.

Soltanto che ormai non si bussa più, non si chiede permesso e non si aspetta alcuna risposta. Si entra e basta. Semplice, becera logica praticata da chiunque.

Abbiamo dimenticato le buone maniere, abbiamo permesso a chiunque di calpestare il nostro spazio e così facciamo noi con gli altri. Non ci domandiamo se siamo inopportuni, se siamo invadenti, se siamo indesiderati. Ce ne freghiamo, tanto gli altri fanno lo stesso con noi.

Così domandiamo quando dovremmo stare zitti, diciamo la nostra quando non ci viene richiesta, ci infiliamo in feste a cui non siamo invitati, interveniamo con il nostro agire irruente nella vita altrui senza alcuno scrupolo.

Guai a chi osa interferire con le nostre decisioni, ma noi ci sentiamo in diritto di farlo con chi ci sta accanto. Noi sappiamo come vanno le cose e consigliamo per il meglio affinché le cose vadano come devono andare.

Toc-toc. Chi è?

Sono Cappuccetto Rosso.

Entra pure che ti mangio.

Grazie Lupo, non vedevo l’ora.

Ognuno di noi è una porta che non dovrebbe essere varcata senza permesso. Siamo Esseri vulnerabili e delicati, anche se ci gestiamo come dei panzer e fingiamo di poter affrontare tutto. Se siamo così offesi quando entrano senza bussare né chiedere permesso è perché lo sappiamo che è una violenza. Spesso non diciamo niente, ma lo è e lo rimane, forse si amplifica nel silenzio. Dovremmo mettere serrature possenti alle nostre porte, dovremmo comprarci dei chiavistelli, dovremmo pensarci prima.

Eppure ci fidiamo, ci affidiamo, ci facciamo invadere.

E poi pensiamo che come è stato fatto a noi ora possiamo farlo agli altri. No, non possiamo, nessuno può. Dobbiamo fermarci prima. Dobbiamo fermarli prima. Dobbiamo.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(69) Vertigine

Solo quando mi guardo attorno e non so da che parte appoggiare l’attenzione, che tutto mi fa paura. Una volta non la consideravo la paura, oggi la rispetto. Ne tengo conto, anche se non mi faccio fermare – no questo non è cambiato.

Se poggio l’attenzione dentro di me, a uscire diventa tutto minaccioso. Quindi scelgo con cura il punto in cui dentro e fuori si confondono, gioco sul cambio di prospettiva e sulla percezione di tempi contemporanei. Solidi, forse no, sicuri neppure. Certi, quello sì.

Non dura molto, di nuovo sguardo attorno e vertigine. Ma non mi faccio fermare.

b__

Share
   Invia l'articolo in formato PDF