(912) Primavera

Una rondine non la fa. Ma la fai tu. Se non ti rendi conto che sei tu a decidere quando inizia la tua Primavera, allora, mi dispiace dirtelo, so che non la prenderai bene, eppure qualcuno te lo deve dire, insomma… non hai capito niente della vita.

La Primavera non è una stagione, è una condizione dell’Anima.

L’Anima è soggetta a dei passaggi che poco hanno a che fare con il tempo in generale e niente con il tempo atmosferico. Ha bisogno di riposo, ha bisogno di azione, ha bisogno di contemplazione, ha bisogno di rinascita. Non è che te lo dice, te lo impone. E tu, se non te ne rendi conto, subisci. Non è questo che la tua Anima vuole da te, non sei la sua vittima, sei però il suo mezzo per esplicitare la vita qui sul pianeta Terra. Che ti piaccia o no, devi cavalcare l’onda.

A questo punto, se gli alti e i bassi dell’Anima sono comunque un dato di fatto e se sei chiamato ad averne a che fare ogni tre per due, non è che soltanto mettendoti da parte risolvi la questione. Ti si chiede di partecipare e non di assistere a uno spettacolo. Perché lo spettacolo è il tuo. Che ti piaccia o no, devi gestirti il palcoscenico e tutte le menate annesse e connesse. 

In Primavera, la Natura si risveglia. Pure l’Anima. Perché? Semplicemente perché noi siamo parte della Natura e non è che possiamo schivare certe scadenze. Quando la Primavera della tua Anima si impone, non è detto che coincida con l’Equinozio sancito dalla rotazione terrestre, dovresti quanto meno darle il benvenuto. Non ti dico di festeggiare, ma almeno aprile la porta. O lo fai tu o la butterà giù a spallate. Lei fa così. 

Spuntare a nuova vita può essere un trauma, specialmente se subisci la situazione (è sempre un trauma quando subisci). Ma prima che sia finita, la tua Anima ha un sacco di Primavere da attraversare e non ti chiederà il permesso e non chiederà la tua benedizione e non ti permetterà di discuterne i modi e le condizioni e non ti chiederà di essere entusiasta. Ti chiederà di esserci. 

Vedi tu come e vedi tu con che trasporto, ma esserci non è cosa da poco. Sappilo.

 

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(679) Bussare

Prima si bussa, anche se la porta è aperta, poi si chiede permesso e si aspetta la risposta. Se la risposta è positiva si entra, altrimenti no. Semplice, lineare logica comprensibile a chiunque.

Soltanto che ormai non si bussa più, non si chiede permesso e non si aspetta alcuna risposta. Si entra e basta. Semplice, becera logica praticata da chiunque.

Abbiamo dimenticato le buone maniere, abbiamo permesso a chiunque di calpestare il nostro spazio e così facciamo noi con gli altri. Non ci domandiamo se siamo inopportuni, se siamo invadenti, se siamo indesiderati. Ce ne freghiamo, tanto gli altri fanno lo stesso con noi.

Così domandiamo quando dovremmo stare zitti, diciamo la nostra quando non ci viene richiesta, ci infiliamo in feste a cui non siamo invitati, interveniamo con il nostro agire irruente nella vita altrui senza alcuno scrupolo.

Guai a chi osa interferire con le nostre decisioni, ma noi ci sentiamo in diritto di farlo con chi ci sta accanto. Noi sappiamo come vanno le cose e consigliamo per il meglio affinché le cose vadano come devono andare.

Toc-toc. Chi è?

Sono Cappuccetto Rosso.

Entra pure che ti mangio.

Grazie Lupo, non vedevo l’ora.

Ognuno di noi è una porta che non dovrebbe essere varcata senza permesso. Siamo Esseri vulnerabili e delicati, anche se ci gestiamo come dei panzer e fingiamo di poter affrontare tutto. Se siamo così offesi quando entrano senza bussare né chiedere permesso è perché lo sappiamo che è una violenza. Spesso non diciamo niente, ma lo è e lo rimane, forse si amplifica nel silenzio. Dovremmo mettere serrature possenti alle nostre porte, dovremmo comprarci dei chiavistelli, dovremmo pensarci prima.

Eppure ci fidiamo, ci affidiamo, ci facciamo invadere.

E poi pensiamo che come è stato fatto a noi ora possiamo farlo agli altri. No, non possiamo, nessuno può. Dobbiamo fermarci prima. Dobbiamo fermarli prima. Dobbiamo.

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(579) Benestare

E un giorno smetti. Così di colpo. Non ti riconosci più, ma non ci pensi un attimo. Sai che è arrivato il tempo di smettere e sai che ci hai messo fin troppo a capirlo e a prendere la decisione più sana di tutta la tua vita.

Smettere di chiedere il benestare di chi ti sta attorno per fare quello che senti di dover fare per stare bene, è il primo passo verso la salvezza. Io ho iniziato a diciannove anni e non mi sono più fermata. Per questo sono ancora viva.

Non significa che non sento ragioni e faccio sempre di testa mia – ora che ci penso è così, ma posso spiegare meglio…

Non significa che non ascolto quello che chi mi vuole bene pensa al riguardo e magari i consigli che mi vengono offerti, li ascolto, davvero, li ascolto tutti. Ma faccio di testa mia. Invariabilmente. Senza cedere di una virgola. Faccio quello che la mia testa mi dice. Perché la mia testa ci ha pensato e ripensato, ha valutato, ha soppesato, ha tolto, ha aggiunto, diviso e moltiplicato. Ha fatto un salto in avanti, due di lato (ds e sn) e uno indietro; ha guardato bene, tutto quello che poteva vedere l’ha visto, tutto quello che poteva sentire l’ha sentito, tutto quello che poteva immaginare l’ha immaginato. Quello che non ha visto, sentito, immaginato è comunque lontano da me e neppure se me lo racconti mi convinci. Perché se non lo vivo non lo conosco. Tutto qui.

Ovvio che ci sono cose che non intendo vivere e di cui mi basta una vaga idea – mi serve per tenermi a distanza – ma quelle che penso facciano per me, allora sì. E lo so che potresti non essere d’accordo, che mi vorresti evitare un danno, che ti preoccupi per me. Eppure…

Eppure se io avessi aspettato il benestare di qualcuno per ogni passo che ho saputo fare, se avessi creduto a ogni spauracchio mi si fosse palesato davanti evocato da chi la sapeva più lunga, se avessi pensato che non sapevo e non potevo decidere per me e per la mia vita, io sarei morta dentro. Non avrei vissuto cose meravigliose e anche cose dolorose, non avrei capito quanto ero lì per imparare e quanto invece già conoscevo, non avrei messo alla prova tutte le mie insicurezze e i miei gap – ridicoli e non – e non avrei compreso meglio la voce che mi guida nonostante tutto e nonostante tutti, nonostante me.

Non c’è benestare che tenga. Il permesso me lo do io, per fare e per non fare. Così è. Che piaccia o no, questo non è affar mio.

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(30) Permesso

Se fossi rimasta ad aspettare di avere il permesso di fare sarei ancora bloccata lì e forse sarei morta (d’inedia, se non altro). Non nascondo il fatto che ho aspettato per troppo tempo quel fatidico permesso mai arrivato, avrei dovuto svegliarmi prima. Lo so. Non ho perso tempo, però, mi sono preparata.

Mentre aspettavo ho alimentato la mia mente e il mio spirito, far passare il tempo senza fare nulla è per me cosa da non prendere neppure in considerazione. Più mi riempivo e più i dubbi sul fatto che potevo anche non farcela (e senza quel permesso era certo che partivo in svantaggio, un cavallo perdente su cui scommettere significa perdere soldi) si alleggerivano un po’.

Lavoro + studio = meno dubbi

Siccome la testa piena e l’anima piena non possono che esplodere o implodere, per evitare il ricovero coatto in neuropsichiatria ho deciso di buttar fuori e non trattenere più le mie creazioni. So anche precisamente quando è successo, ricordo le conseguenze e valutando il tutto mi è andata strabene. Un blog, un libro, un’esperienza indimenticabile. Questo mi ha dato forza per continuare.

Non ho più aspettato quel permesso e nessun altro permesso per creare e per offrire al mondo le mie creazioni. Modeste, certo, ma Oneste.

So che dà fastidio a molti questo mio modo di interfacciarmi con il mondo, senza chiedere il benestare di un’entità superiore (è questo che racchiude il concetto di “permettere”, rendiamocene conto) io mi permetto di concretizzare quello che ho in testa e lo dono firmandolo con il mio nome e il mio cognome.

Che imperdonabile ardire!

Me ne frego bellamente. Io so volare.

b__

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