(951) Priorità

Si fa presto a dire priorità. Al momento la mia sarebbe quella di prendere un aereo e volarmene un po’ in giro, per assorbire dagli occhi e dalle orecchie e dal naso e dal cuore il mondo. Davvero. 

E ora mi trovo a fissare una lista di cose da fare che seguono uno pseudo-ordine dettato dalle priorità. L’ho letto tre volte e ancora non mi capacito. Queste non sono le mie priorità, queste sono le priorità del mondo che mi sta attorno. Le mie si riducono a una sola ed è quella che ho scritto lì sopra. 

Quindi si procede come da manuale, si prende la lista e, una ad una, si spunta tutto ciò che riesco a fare appena sono riuscita a farlo. I pensieri che ci stanno dentro non sono una priorità, sono soltanto un mezzo. E anche qui ci sarebbe di che discutere: i pensieri non dovrebbero essere il focus del mio agire quotidiano? Non dovrebbero essere la materia principe del mio vivere? Temo di averli ridotti a strumenti di lavoro… mi servono per fare qualcosa. Non per Essere, ma per fare. E non ho messo la effe maiuscola apposta.

Nell’Antica Grecia sarei stata una filosofa o una schiava? Temo la seconda. Non è che mi faccia impazzire di gioia questa riflessione. Trovare un appiglio per tirarmi un po’ su il morale potrebbe essere fare una lista di pensieri che mi servono soltanto perché sono pensieri. Nient’altro. Una bella sfida…

Si pensa per pensare meglio, al di là di quello che poi si potrebbe concretizzare, no? Il pensiero ha una sua Dignità a prescindere dal suo esplicitarsi in fatti, no? Sì, credo di sì. Toccherà che ci rifletta meglio. 

Lo metto nella lista: priorità assoluta.

 

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(904) Troppo

Il troppo stordisce. Oggi sento il troppo che mi scappa da tutte le parti e a stargli dietro mi gira la testa. Non è una cosa solida, è una percezione.

Cioè in che senso? (cit. Carlo Verdone)

Non lo so. Le percezioni non è che le puoi descrivere per intero, le puoi abbozzare. Tutt’al più le puoi nominare e poi scappare via.

Quindi anche oggi sto parlando di aria fritta. Mi capita spesso. Mi racconto che sotto tutto c’è comunque della sostanza, ma è un modo per perseverare nel mio intento malato più che reale convinzione. State tranquilli, basta non darmi corda e mi spengo.

Ritorno al troppo per una sorta di coerenza, scusate se insisto. Il ragionamento parte da un presupposto: con poco t’ingegni, con troppo ti blocchi. Mi spiego meglio: se hai un’idea, per poco che sia puoi nutrirla e farla crescere e magari riesci a concretizzarla. Se ne hai troppe ti perdi nella selva oscura e son cavoli. 

Se hai pochi amici sai dove andare quando hai bisogno di loro, se ne hai troppi è molto probabile che nessuno di loro sia la persona di cui aver bisogno e potresti trovarti a parlare intimamente con uno sconosciuto alla fermata del bus. Tanto per fare un esempio.

Se hai pochi soldi devi farci conto e scegli con cura le cose che puoi fare e quelle che non puoi fare. Se ne hai troppi non ci pensi, vai a zonzo per il mondo riempiendoti di tutto quello che puoi o soltanto di cocaina (che poi vedi, i pensieri con il troppo si riducono a un nulla). 

Mi rendo conto di aver stretto un po’ troppo il campo da gioco, ma esasperare i concetti è una cosa che mi diverte molto. Si apre qui una lunga disquisizione, tra me e me, su quanto quel poco e quel troppo abbia giocato nella mia storia personale. Una parte di me guarda il poco e l’altra guarda il troppo. Non è che si diano torto a vicenda, stanno solo facendo i conteggi per capire quanto l’uno e quanto l’altro abbiano pesato sul mio bilancio.

Mentre loro lavorano io me ne vado a letto. Perché ho davvero troppo sonno.

‘Notte.

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(630) Occupazione

Occupare non è un verbo che mi piace, ma avere un’occupazione mi piace. Mi piace pensare che avere un’occupazione – inteso come avere qualcosa che ti occupi il tempo per sollevarti dai pensieri – sia un grande privilegio. Avere niente da fare tutto il giorno sarebbe per me la galera. Durerei due giorni due, poi mi butterei dalla Rupe Tarpea.

Ho impegnato ogni giorno della mia vita tentando di occupare le mie giornate in modo che mi fossero di giovamento. Per questo ho fatto parecchi lavori diversi da ragazza, appena quell’occupazione diventava noiosa routine mi davo da fare per trovarmi un’altra situazione. Continuavo a scrivere, è vero, ed era la cosa migliore che potessi fare. Quindi mi sono tatuata nel cuore le parole di Italo Calvino:

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Così ho fatto. Inseguendo il bene, attraversando l’Inferno di tutti.

Quello a cui pensavo stasera è che avere qualcosa che ti occupi la mente, qualcosa che ti doni gioia, per poi magari metterlo in atto e renderlo concreto, è un diritto di tutti. Chi lo scansa pensando che il fare-niente, il pensare-a-niente, sia la grande libertà, la liberazione da tutti i mali, si sta ingannando. E non lo so perché tanti si vogliono rifugiare in questo inganno, non so se sia per paura o per pigrizia, so soltanto che si tolgono il sale della vita. Stai sognando il niente, mentre potresti sognare di fare tutto. Tutto. Fare tutte quelle cose che la vita ti offre affinché tu possa superare ostacoli e limiti superabili, per stare bene. Soltanto per stare bene. Stare meglio.

Fare niente, non suona brutto? Il niente chiama il niente, è un dato di fatto. Il niente non ti riempie, non ti soddisfa, non ti fa arrivare prima al Nirvana. Il niente ti annienta. E mi domando: come puoi pretendere che persone che affrontano l’ignoto perché hanno fame di vita, una volta superato ogni limite possano resistere nel niente assoluto in attesa che qualcuno decida per loro? Tu lo faresti? Quel tipo di persone nel niente non ci stanno. Lo hanno dimostrato affrontando l’Inferno più atroce, non c’è bisogno di chiedere loro alcuna ulteriore prova. Si sono guadagnati la vita, definitivamente.

Oltre le apparenze, quella loro fame vale molto più del niente anelato da chi ha tanto, fin troppo. Molto di più di chi sogna quel niente lamentandosi di quel troppo che ha.

Occupare la tua mente, le tue mani, le tue gambe con i desideri che alimentano la tua vita: non pensi che debba essere e che sia una benedizione dal Cielo? Io sì.

 

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(494) Xografia

Ho trovato sul dizionario questo termine e mi ci sono innamorata. Non ho ben chiara la tecnica fotografica della xografia, ma me ne sono fatta un’idea del tutto personale – forse è per questo che l’ho raccolta e portata qui.

Ci sono certe parole che proprio ti chiedono di entrare. Sembrano stare lì da secoli solo per te, ti stanno aspettando. Non ti obbligano a scoprirle, ma a riempirle. Solitamente amo le altre, quelle che mi impongono una scoperta, ma queste qui che ti suonano vuote diventano irresistibili se quello che fai è scrivere. Ti devi inventare immagini apposta se non hai appigli.

Ci sono immagini nella mia mente che potrebbero assomigliare a magnifiche xografie.  Molto probabilmente, diventerebbero ridicole qualora le trasformassi in realtà e proprio per questo posso tenermele dentro, al sicuro, per sempre. Nessun obbligo di sorta, le alimento con il sogno senza provare l’urgenza di concretizzarle. Che sollievo!

Credo che quello che immaginiamo possiamo crearlo, magari non tutto subito e non tutto facilmente, ma possiamo farlo se lo immaginiamo con tutte le nostre forze. Spesso le forze ci mancano, però. Spesso ci vengono tolte da chi ci sta attorno e dal posto in cui viviamo. In realtà, mancano soprattutto dentro di noi e quel po’ che c’è può venire facilmente portato via dal primo che passa. Partire dal presupposto che possiamo immaginare e realizzare quello che immaginiamo può essere pericoloso se non supportato da una visione integrale della faccenda: ci devi mettere del tuo. Altrimenti è soltanto un sogno e i sogni sono desideri troppo delicati per sopportare la pressione terrena – li devi alimentare con ancora più attenzione o si sciupano e si polverizzano inesorabilmente. Ma mi sembra di averlo già scritto… probabilmente sono al secondo giro degli stessi pensieri, considerato che questo è il post 494, e via di loop!

Oggi ho riportato a galla il mio sogno più grande. Non lo scriverò altrimenti diventa pesante e perde i suoi colori, ma mi sono ricordata di questo sogno, questa immagine di me e mi sono stupita ci fosse ancora e così vivo. Una strepitosa xografia che neppure gli ultimi vent’anni hanno saputo spazzare via. Lo trovo incredibile e rassicurante. Non so perché io me lo sia ricordata proprio oggi e proprio ora, forse è solo un caso, ma ne sono felice.

Basta poco per ritrovarsi, a volte.

 

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(337) Decompressione

Una cosa che dovrei proprio imparare a fare è la decompressione del mio stato emotivo. Questo concetto mi si è palesato tre minuti fa quando stavo pensando a cosa diavolo scrivere stasera.

Sono stanca stravolta e, per quanto possa sembrare inverosimile, più sono stanca e più sono suscettibile di illuminazioni illuminanti. Poi a saperle tradurre in linguaggio comprensibile ce ne passa, ma nella mia testa è tutto illuminato e splendente.

Riprendendo l’assunto iniziale, mi sono accorta ora (anche a seguito di una telefonata importante con una mia cara amica) che il mio stato emotivo in perenne compressione non mi sta facendo un gran servizio. Col tempo la cosa mi è sfuggita di mano e ora non so più come gestirlo.

Inabissandomi in questa fulminea presa di coscienza m’è subito scattato il meccanismo abituale: problema? = trovare soluzione. E da lì è stato un attimo, ecco di cosa voglio scrivere stasera! Di decompressione. Allora apro il post e scrivo la prima frase che mi viene in mente sperando che le cose mi si chiariscano nel mentre. Non è così. Non so nello specifico come mi sarà possibile decomprimere il mio stato emotivo, non so neppure se sia possibile o se ormai è troppo tardi e così sia.

La soluzione l’ho trovata, non so ancora come concretizzarla. Ho il sospetto che questo non farà che implementare la costipazione del mio stato emotivo.

Brutta miseria! E adesso?

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(291) Focus

La cosa più difficile è focalizzare il punto. Ci disperdiamo in microparticelle di fuffa e concludiamo un bel niente, il più delle volte.

Se riesci a sublimare questa inclinazione naturale, allora è fatta, sei l’Eletto (questo è quello che pensi o che ti hanno detto). MilleMilioni di idee che ti rimbalzano dentro e che fai uscire con la velocità di un razzo e… e stop.

Esatto: stop. Tutto qui. Solo tante tante tante idee, alcune pure buone, alcune addirittura geniali, alcune così lungimiranti da farti assomigliare a Elon Musk… ma: l’unica idea veramente buona è quella che riesci a concretizzare.

Io mi rendo conto di essere una persona estremamente pedante e piuttosto fastidiosa, ma le persone che mi sommergono di idee e rimangono lì sospese – come se bastassero quelle a risolvere tutto – non le posso prendere sul serio. Preferisco avere a che fare con chi ha un’idea, se la cura, se la gestisce, la fa crescere e la concretizza e poi passa ad un’altra. Questo tipo di persone mi suscitano autentica ammirazione ed è a loro che voglio assomigliare.

Be Solid, Be Concrete, Be Real. ™  [marchio registrato]

Questo è il mio slogan———————–always.

 

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(144) Prospettive

Sollevarsi dal letto e accorgersi che la testa sta già macinando come fosse sveglia da tre ore. Incredibile. Io che ci metto un’eternità a rendermi conto di essere ancora viva, appena sveglia, mi ritrovo addirittura a sorridere appena apro gli occhi – anche se è mattina presto. Incredibile.

Succede perché non c’è più in me lo spaesamento del adesso-cosa-faccio che è stato per anni il mio tormento più ostinato. No, non mi manca.

Se ti muovi in prospettiva, succede, a un certo punto succede. Non è un caso, non è fortuna, è inevitabile. Hai immaginato, hai lavorato sodo affinché ti succedesse e ora… eccolo qui.

A volte quando i tuoi desideri si realizzano ti accorgi che nel frattempo si sono sciupati e che in realtà non brillano come pensavi avrebbero brillato. Desiderare, però, vale sempre la pena.

Ci sono progetti di vita che non ti aspetti si concretizzino nel massimo splendore, ti basta che lo facciano perché sai che se ci riescono è un miracolo. Ecco, al momento quello che sono riuscita a concretizzare sta creando attorno a sé altre microparticelle di concretezza che mai mi sarei immaginata e che non potevo programmare. Brillano pure. Un miracolo.

Progettare in prospettiva è cosa saggia. Ripaga come meglio non si potrebbe desiderare. Parola mia.

 

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(128) Nuvole

Avere sempre la testa tra le nuvole sembra essere la mia prerogativa. L’ho dedotto dal fatto che l’89% delle persone che mi conoscono da tanti anni hanno quest’idea di me: vago senza concludere granché.

Se poi dovessi, per caso, tirare fuori dal cassetto il lavoro di questi miei anni, oppure attaccarmi al web per mostrare loro le briciole di pane che ho lasciato sulla strada percorsa, sicuramente verrebbero presi da stupore letale.

Prima o poi lo farò, anni e anni e anni per cucinarmi ‘sto piatto di soddisfazione: vendeeeeeeeeeeeeetta vendeeeeeeeeeeeeeeeeeetta vendeeeeeeeeeeetta!

Ritorno seria (o quasi): il fatto che io sia una a cui le idee non mancano, fa supporre che io non possa essere in grado di renderle concrete… sono troppe. Non è così, ho idee in abbondanza, scarto quelle irrealizzabili o irrimediabilmente stupide e mi concentro su ciò che che resta. Credo di averlo già scritto proprio qui sul diario. Tant’è che ‘st’aurea di vaghezza che mi porto appresso mi rende quel tipo di persona che non concluderà mai niente di buono nella vita (a detta di molti).

In effetti, la mia vita non è segnata da tappe da ritenersi socialmente valide (marito, figli e via di questo passo), ma da cose buone che non vogliono essere catalogate semplicemente perché non ne hanno bisogno.

La mia testa viaggia tra una nuvola e l’altra, può darsi, ma la mia realtà è bella densa e non serve che qualcuno se ne accorga, basta che io lo sappia, così da non farmi convincere da nessuno che non combinerò mai niente di buono nella vita.

La mia vita è già piena di buono così com’è, anche se dovesse finire proprio ora.

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(30) Permesso

Se fossi rimasta ad aspettare di avere il permesso di fare sarei ancora bloccata lì e forse sarei morta (d’inedia, se non altro). Non nascondo il fatto che ho aspettato per troppo tempo quel fatidico permesso mai arrivato, avrei dovuto svegliarmi prima. Lo so. Non ho perso tempo, però, mi sono preparata.

Mentre aspettavo ho alimentato la mia mente e il mio spirito, far passare il tempo senza fare nulla è per me cosa da non prendere neppure in considerazione. Più mi riempivo e più i dubbi sul fatto che potevo anche non farcela (e senza quel permesso era certo che partivo in svantaggio, un cavallo perdente su cui scommettere significa perdere soldi) si alleggerivano un po’.

Lavoro + studio = meno dubbi

Siccome la testa piena e l’anima piena non possono che esplodere o implodere, per evitare il ricovero coatto in neuropsichiatria ho deciso di buttar fuori e non trattenere più le mie creazioni. So anche precisamente quando è successo, ricordo le conseguenze e valutando il tutto mi è andata strabene. Un blog, un libro, un’esperienza indimenticabile. Questo mi ha dato forza per continuare.

Non ho più aspettato quel permesso e nessun altro permesso per creare e per offrire al mondo le mie creazioni. Modeste, certo, ma Oneste.

So che dà fastidio a molti questo mio modo di interfacciarmi con il mondo, senza chiedere il benestare di un’entità superiore (è questo che racchiude il concetto di “permettere”, rendiamocene conto) io mi permetto di concretizzare quello che ho in testa e lo dono firmandolo con il mio nome e il mio cognome.

Che imperdonabile ardire!

Me ne frego bellamente. Io so volare.

b__

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