(633) Senso

Certe cose che faccio sembrano senza senso. Agli altri, intendo, non a me (se così non fosse avrei un grosso problema). Non è facile perseverare facendo finta di niente perché il consenso degli altri è un bisogno insito nell’animo umano – chissà perché. Eppure vado avanti.

Questa mia determinazione è considerata presunzione, e anche questo è un dettaglio che mi comporta un certo smarrimento, specialmente quando sono stanca. Ultimamente sono molto stanca, ciò significa che lo smarrimento è cosa di tutti i giorni. Quindi sto imparando a gestirmelo.

Ho notato che per poterlo maneggiare come si deve devo staccarmi da tutto, focalizzarmi sulla meta da raggiungere e valutare soltanto dopo – una volta raggiunta – se sono stata insensata o meno. La chiamerei disciplina, perché non è per nulla istintiva, devo proprio impormi un certo tipo di pensiero e un certo tipo di atteggiamento mentale per poter avanzare. Lentamente, magari, faticosamente, di sicuro, ma comunque avanti.

Questi miei pensieri quotidiani stanno continuando da ben 633 giorni, significa da quasi 2 anni. Giorno dopo giorno, pensiero dopo pensiero. Senza saltarne uno, aggiungerei. Sembra senza senso, vero? Eppure il senso c’è. Non credo sia una buona idea spiegarlo ora, ma forse far presente che la scrittura è disciplina e che è, soprattutto, introspezione crudele può essere un buon punto di partenza per far capire a chi transita in questo diario virtuale che non si parte mai da una storia, si parte sempre dalla propria storia. Chi siamo, da dove veniamo, cosa pensiamo, cosa vogliamo, dove vogliamo andare. Quando creiamo una storia partiamo sempre dalla nostra storia, ma chi scrive davvero non fa della propria biografia letteratura, bensì trasforma la sua visione per farne un’opera d’arte.

Mi è difficile, ora, dare altre spiegazioni, ma so che il senso che accompagna tutto questo mi porterà alla meta: tre anni di giorni così, raccontati a nessuno/tutti in un blog che non reclamizzo e che al massimo avrà una manciata di lettori silenti. Non mi serve altro se non la mia determinazione, al di là di ogni risultato possibile, perché non inseguo un risultato, percorro la mia strada. Questa è la mia storia, non un romanzo, e per chi mi pensasse presuntuosa… bé, non m’importa nulla.

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(588) Quarantasei

Lo so, è stucchevole. Cioé, ogni anno qui a festeggiare la vecchiaia che avanza. Non si può, dai. Sì, è di cattivo gusto, a chi cavolo interessa leggere del mio compleanno? Avete ragione, ovvio che avete ragione. Ma non me ne frega niente, saltate il 588esimo GiornoCosì e andate pure al 589esimo, non mi offendo tranquilli.

Oggi sto qui con i miei nuovissimi 46 anni a scrivere, ed è come se li avessi da mesi, ormai, perché è da mesi che mi ripeto che quest’anno sono 46. Mi ci sono fatta l’abitudine a poco a poco. Tanto che stamattina mi sono domandata: ma sono 46 oppure 47? E quel 47 mi sembrava inverosimile, ho dovuto fare i conti, davvero! Sospiro di sollievo, ho ancora sei mesi di 46 per poi riadattarli a 47 e farmici l’abitudine finché maggio non arriva a ufficializzarli spietatamente.

Insomma, mi sto godendo questi 46 come se non mi pesassero, col sollievo che non sono ancora 47. Gabbare la mia mente non è poi così difficile, lo ammetto.

Cos’ho fatto per festeggiare oggi? Bé, diverse cose, cose che potrebbero essere giudicate idiote, ma che per me hanno enorme significato. Non le sto a raccontare, anche perché sarete già altrove a quest’ora, sono rimasta qui sola a scrivere – tanto per cambiare. Fatto sta che oggi sono contenta. Incredibile, ma sono contenta. Cosa ancora più incredibile so perché sono contenta, la lista è qui davanti ai miei occhi ed è piuttosto lunga. Certo che la vita è una cosa pazzesca, bisognerebbe pensarci. Bisognerebbe tenerlo ben presente, sempre. Ci chiede presenza e agilità, diciamo che pretende da noi cose che neppure ci immaginiamo di poter fare. Robe da matti. C’è davvero da diventare matti. Forse matti lo siamo tutti, ognuno a suo modo, ognuno perso… dentro ai fatti suoi (eh, Blasco, ma quante ne sai?).

E vorrei raccontare di tutti gli amici che mi hanno ricordata oggi, che grande dono!, e delle persone che via Facebook si sono fermate un attimo per scrivermi Auguri – cosa del tutto non dovuta e quindi supera apprezzata, e del tempo trascorso con la mia famiglia e i due regali che mi sono fatta (che privilegio potersi fare dei regali, vero?), ma forse non serve raccontarlo, serve viverlo e io l’ho vissuto. La morale della storia, come sempre, è solo uno: vivere per raccontarla. La vita, ovviamente, la vita.

A chi si è fermato fino a qui, auguro un giorno come il mio oggi, perché è stato bello, molto bello, e mi ha fatto bene.

Buonanotte 🙂 

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(511) Jeans

Quelli dei miei dieci anni, che me li toglievo solo se dovevo mettermi la tuta da ginnastica, erano i preferiti su tutto.

Quelli dei miei sedici anni, sfilacciati e vissuti, da blu a neri perché il rock lo imponeva e guai a chi me li toccava.

Quelli dei miei vent’anni, che ormai manco ci pensavo di poter indossare anche altri pantaloni, quali altri pantaloni? Ma va là!

E poi i trenta e i quaranta… e poi…

Mi sono accorta oggi che sono anni che non porto più i jeans, anni! Non so neppure quanti, ma molti, davvero molti. Troppi!

E da lì m’è partito l’embolo e ho cominciato a farmi una lista di tutte le cose che da anni non uso più, cose a cui non penso più, cose che non ricordo più, e la lista si è allungata. Ma niente di tutto quello che ho scritto in quel foglio mi manca così come i jeans. Mi sconvolge il fatto che io abbia potuto metterli da parte e cancellare quest’infamia dal mio conscio per tutto questo tempo.

Che sia per questo che non mi ritrovo più? Che sia per le cose che amavo e che ho archiviato cancellandone ogni traccia? Trovo che sia una cosa spaventosa, davvero. Come mi sentirei a indossare di nuovo un paio di jeans? Non lo so, non lo so soprattutto perché nel mio armadio non ce n’è neppure un paio…

Miseria!

La lista non la butto ancora, la tengo qui a portata di mano, non si sa mai che un giorno o l’altro mi venga l’idea di recuperare pezzi di me che ho fatto finire in fondo alla cantina della memoria. Sì, lo so che si cresce e che si invecchia, ma c’è un limite a tutto, santiddddio!

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(500) Cinquecento

I numeri mi hanno sempre spaventata. Non quando sono da soli (0-1-2-3-4-5-6-7-8-9), ma quando stanno in compagnia sì (10-11-12-13… ) perché mi sembrano più forti, più forti di me. Non parliamo di quando si mettono a fare gli splendidi e si moltiplicano, si dividono, si aggiungono e si tolgono… come faccio a star loro dietro? Come? Io sono solo 1.

Eppure ho sempre contato tanto, fino a un fantastiliardo anche. Contato sommando i numeri delle targe delle auto, così mi allenavo mentre viaggiavo con i miei genitori. Contato i giorni che mancavano al mio prossimo compleanno, perché mi immaginavo sempre che il mio prossimo compleanno sarebbe stato splendido, indimenticabile. Contato le ore di lavoro per moltiplicarle per il compenso orario, cercando di non farmi fregare da chi teneva ben poco conto del mio sudore. Contato i minuti prima di rispondere con un vaffanculo, quando proprio non ne potevo più e mi preparavo ad andare via. Contato le mie sconfitte, per non scordarmele me le ripassavo per bene promettendomi che non sarei mai più passata da lì. Le vittorie contate sono misere e poco importanti, conto anche quelle per par condicio.

Ho contato gli amici che si sono allontanati, forse per convincermi che non mi stanno mancando. Ho contato gli amori che ho attraversato, forse per trattenerli ancora un po’ e far asciugare la sofferenza dell’addio. Ho contato gli anni volati via, e non so come ma so il perché, e mentre contavo li scrivevo per trovare quei come e convincermi dei perché.

Forse è per questo che mi fanno paura i numeri, non li posso controllare ma loro mi determinano senza offrirmi una via di fuga. Forse dovrei parlarci e chiedere un po’ di clemenza, non tanto perché io me la meriti davvero, soltanto perché mi sono arresa e non li combatto più. Ho capito, ho davvero capito.

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(457) Gravità

Temo sia un sintomo di invecchiamento, la gravità ti piomba sul coppino e da lì non si muove. So dire con precisione quando mi è successo e la cosa non è che alleggerisca in qualche modo il carico. Quindi non serve capire il quando, non serve capire il come, non serve capire il perché… servirebbe, invece, capire come fare a togliersela di dosso e questo diventerà il mio obiettivo per il prossimo anno.

Mi rifiuto di pensare che sarà così per sempre (il per sempre che mi rimane, ovviamente) perché sarebbe come ammettere che non ci sarà respiro leggero per i miei prossimi decenni. Sarebbe una cattiveria imperdonabile da parte della vita, come sparare sulla Croce Rossa. Sono già un caso umano patetico, a che serve infierire?

Dopo questo sfogo intriso di autocommiserazione con utilità pari a zero, posso riprendere il discorso imponendomi un certo decoro: sì, la gravità farà anche parte di me – ammesso e non concesso che non me ne potrò più sbarazzare – eppure non è detto che si debba prendere la gran parte di me. Voglio dire: sarò ben capace di non farle gestire la mia vita nonostante lo sconforto che mi porto appresso!

Questa forza che ci spinge a terra, per non farci prendere il volo, ci permette di fare molte cose. Noi ci sforziamo di oltrepassare i limiti che ci impone, c’è chi ci riesce davvero spingendosi oltre e ottenendo un brandello di immortalità, ma la sfida vera è di guardarla come opportunità e non come limite. Dalla gravità succhiare via la leggerezza e ingoiarla come fosse elio che ci fa papereggiare ridicolmente e piano piano riprendere consistenza e ritornare a essere densi, dentro un corpo che ci contiene e ci garantisce la vita, poggiando i piedi al suolo che è lì che raccogliamo le forze e possiamo tentare di abbracciarci l’un l’altro senza scivolare via.

Se partissi da qui, forse, riuscirei a riconsiderare anche la mia me gravosa… va bene, mi sono convinta, riparto da qui: papereggerò!

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(407) Valenza

Che valenza dai al tuo tempo? Lo decidi tu, decidi tu quanto conta e in che misura sei disposto a sprecarne. Non dare la colpa agli altri se a fine giornata scopri di non aver combinato niente, sai benissimo che nessuno dà valore a ciò che viene presentato come gratuito.

Direi questo a ogni adolescente sulla faccia della terra per prepararli a quel che sarà. Perché il tempo scivola via come niente e non c’è nessuno che ne possa aver cura per noi. Ognuno badi al suo!

Quando penso al tempo sprecato nei miei anni verdi mi vien voglia di prendermi a pugni. Generosa fino al ridicolo con il mio tempo, distribuito a tutti, ad ogni ora del giorno e della notte, come se dire no fosse una colpa. La cosa che mi sconvolge, però, è che non l’ho capita da molto ‘sta cosa e ancora dire no la sento come una colpa. Vorrei ci fosse un responsabile diverso da me per questo lavaggio del cervello subito. Non lo trovo, non c’è. Sono stata io a pensare che ero lì per quello, per dare attenzione, energia e tempo a chi me lo chiedeva. Semplice e chiaro. E sbagliato.

Decidere la valenza da attribuire alle cose e alle persone è diventata la priorità. Quindi appurerò nei prossimi mesi se ho imparato a fare i conti o se il tempo sprecato non mi ha insegnato proprio niente. Eh.

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(223) Compleanno

Festeggiare il mio compleanno è sempre stata una faccenda non ovvia. Anni in cui l’ho voluto fare altri in cui ho fatto finta di niente. Sono una donna volubile, a quanto pare.

Se devo approfondire la questione posso affermare che ci sono età che mi sembravano inutili, soltanto un passaggio in attesa di arrivare a QUELL’età che tanto anelavo. Ma erano molti anni fa, ormai non anelo a raggiungere nessuna età, mi affido a ciò che sarà e che il Cielo mi aiuti.

La festa dei diciotto anni è stata strepitosa, ero felice. I trenta non sono stati malaccio, poi il disfacimento. Oggi è stato strano: ho ricevuto tanti auguri affettuosi e questo ha addolcito il peso di un 4 e un 5 che, uno accanto all’altro, mi fanno un po’ impressione. Però la somma dà 9.

Adoro il numero 9.

Su, godiamoci questi 365 giorni che i prossimi non saranno così epocali. Eh.

… to Me!

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(128) Nuvole

Avere sempre la testa tra le nuvole sembra essere la mia prerogativa. L’ho dedotto dal fatto che l’89% delle persone che mi conoscono da tanti anni hanno quest’idea di me: vago senza concludere granché.

Se poi dovessi, per caso, tirare fuori dal cassetto il lavoro di questi miei anni, oppure attaccarmi al web per mostrare loro le briciole di pane che ho lasciato sulla strada percorsa, sicuramente verrebbero presi da stupore letale.

Prima o poi lo farò, anni e anni e anni per cucinarmi ‘sto piatto di soddisfazione: vendeeeeeeeeeeeeetta vendeeeeeeeeeeeeeeeeeetta vendeeeeeeeeeeetta!

Ritorno seria (o quasi): il fatto che io sia una a cui le idee non mancano, fa supporre che io non possa essere in grado di renderle concrete… sono troppe. Non è così, ho idee in abbondanza, scarto quelle irrealizzabili o irrimediabilmente stupide e mi concentro su ciò che che resta. Credo di averlo già scritto proprio qui sul diario. Tant’è che ‘st’aurea di vaghezza che mi porto appresso mi rende quel tipo di persona che non concluderà mai niente di buono nella vita (a detta di molti).

In effetti, la mia vita non è segnata da tappe da ritenersi socialmente valide (marito, figli e via di questo passo), ma da cose buone che non vogliono essere catalogate semplicemente perché non ne hanno bisogno.

La mia testa viaggia tra una nuvola e l’altra, può darsi, ma la mia realtà è bella densa e non serve che qualcuno se ne accorga, basta che io lo sappia, così da non farmi convincere da nessuno che non combinerò mai niente di buono nella vita.

La mia vita è già piena di buono così com’è, anche se dovesse finire proprio ora.

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