(1087) Plastica

Pensarci prima non sarebbe stato male. Intendo dire che pensare che un materiale quasi eterno dovesse essere usato con parsimonia e – soprattutto – ideare alternative per quei packaging che potevano avere alternative sarebbe stato un modo oculato di progettare un’evoluzione del benessere senza il colpo di coda inquinante. Col senno di poi…

Purtroppo la scarsa visione dell’uomo sul proprio presente e sul proprio futuro è imbarazzante. Supera persino la sua mancanza di saggezza nel ricordare gli sbagli del passato ed evitare di riproporli in diverse salse come i peperoni a cena che non li digerirai mai (se non quando ti decomponi post-mortem). 

Eccoci qui. Miserabili e ridicoli. Letali, per di più. Per il nostro Pianeta soprattutto. Nostro? Clamoroso misunderstanding umanitario: l’uomo tende a non prendersi cura di ciò che è suo. Lo consuma per sostituirlo. Tipo andare su Marte a rompere i coglioni ai Marziani preventivando un’implosione terrestre dovuto alla follia nucleare (tanto per fare un esempio banale). 

Il punto è che la Terra non è nostra. E la Terra lo sa. Quindi ogni tanto tira su il cartellino rosso ed elimina i giocatori non dediti al fair play. E fa bene.

Detto questo, fa impressione rendersi conto di quante cose create per migliorarci la vita finiscano per crearci danni importanti. Roviniamo tutto ciò che di buono riusciamo a creare. Darsi la zappa sui piedi è il nostro modus operandi di default e… bhé, siamo contenti così.

La cosa peggiore a cui porre rimedio con urgenza? La plastica che abbiamo dentro. Disfarci dal cellophane con cui abbiamo avvolto il cuore, pensando di preservarlo per tempi migliori e riducendoci a vivere miserabilmente attaccati a tutto ciò che è oggetto da possedere per sfruttarlo a nostro beneficio, magari a danno di un altro Essere Vivente o – assurdamente – a danno di noi stessi. Tutta la plastica che abbiamo accumulato nelle cantine dei nostri cervelli, ci sta soffocando il pensiero libero e se ci manca l’aria pensiamo che sia causa di qualcun altro. Perché le responsabilità ci rimbalzano, noi vogliamo poterci arrabbiare con chiunque ci stia sulle palle senza sensi di colpa.

Abbiamo capito tutto. Proprio tutto.

 

 

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(1059) Distruzione

Questo senso di paralizzante distruzione ce l’ho addosso – come qualsiasi Essere Umano con un minimo di coscienza – da un bel po’. Vedo che il nostro pianeta si sta squagliando per il troppo caldo (il fuoco che brucia le foreste in Amazzonia e in Siberia e i ghiacciai che si sbriciolano ai Poli) e mi rendo conto che una volta che il disastro inizia non puoi che stare a guardare e sperare che finisca presto e si esaurisca senza creare una distruzione senza più alcuna cura possibile.

Diamoci il carico con la nuova Chernobyl (Severodvinsk) che in Russia sta liberando scorie radioattive di cui non si conosce la portata con la già ben nota catastrofe di Fukushima che rimarrà ancora a nostro carico per il prossimo millennio… serve continuare?

Non possiamo farci niente. Me lo ripeto perché mi sembra inverosimile, mi sembra assurdo, mi sembra fuori dal mondo. Me lo ripeto perché spero di non sentirmi responsabile di qualcosa che non si può controllare, non si può gestire, non si può prevedere perché sappiamo solo una millesima parte di quello che qualcun altro sta facendo alla Terra (che è casa di tutti, non solo di quelli che decidono di fare e fanno fregandosene degli altri).

E mi domando: mi hanno convinto? Mi stanno convincendo apposta per neutralizzare ogni movimento, ogni pensiero, ogni speranza? Mi stanno sbriciolando ogni buon proposito per agire indisturbati e distruggere distruggere distruggere distruggere finché non ci sarà più nulla da distruggere e ben poco da ricostruire?

Lo spirito si rialza e si arma e si prepara. Ma a fare cosa? Una manifestazione in piazza. Certo. Perfetto. Facciamoci infilzare dalle baionette come dei veri rivoluzionari, che Robespierre sarebbe orgoglioso di noi.

No. Guardiamoci negli occhi e facciamoci un favore: basta balle.

Sta finendo il mondo. E noi con lui.

Sorpresa? Ma fatemi il piacere, dai.

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(935) Resurrezione

Sai cosa si fa quando non se ne può più? Si cambia.

(Alberto Moravia)

E ci sono cambiamenti sottili che preparano quelli più importanti, comunque sia il processo è irreversibile. Un riposizionamento, un rinnovamento, una resurrezione. Questo è il cambiamento di cui parlo.

Non divento un’altra persona, divento meglio quello che sono perché lascio andare vincoli e filtri che fino a ora mi hanno intrappolato, mi hanno fatto assumere sembianze innocue e neutre che potessero mettere a proprio agio gli altri, quelli che vanno in crisi davanti al valore del loro prossimo.

Una resurrezione presuppone una morte. La morte di quel che era la mia armatura fino a ieri, la depongo vuota per girare nuda. La forza della nudità di pensiero che metto in campo senza più il timore che venga considerata debolezza è la nuova scoperta. Una rinnovata libertà, senza né porte né finestre.

Non torno tra gli altri per risistemarmi nella mia casellina, parte dell’archivio umano, ma mi permetto di girare tra gli scaffali e mettermi un po’ dove mi pare, magari non troppo a lungo, se non serve. Se non serve.

L’utilità di questo muovermi dovuto alla mia resurrezione è fine a sé stesso, non ha obiettivi di conquista del pianeta o di arrampicate verticali dove arrivare lassù ti assicura visibilità e potere. Libera ma innocua per il potere altrui. Libera e innocua. Soprattutto libera.

Buona Resurrezione a tutti.

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(912) Primavera

Una rondine non la fa. Ma la fai tu. Se non ti rendi conto che sei tu a decidere quando inizia la tua Primavera, allora, mi dispiace dirtelo, so che non la prenderai bene, eppure qualcuno te lo deve dire, insomma… non hai capito niente della vita.

La Primavera non è una stagione, è una condizione dell’Anima.

L’Anima è soggetta a dei passaggi che poco hanno a che fare con il tempo in generale e niente con il tempo atmosferico. Ha bisogno di riposo, ha bisogno di azione, ha bisogno di contemplazione, ha bisogno di rinascita. Non è che te lo dice, te lo impone. E tu, se non te ne rendi conto, subisci. Non è questo che la tua Anima vuole da te, non sei la sua vittima, sei però il suo mezzo per esplicitare la vita qui sul pianeta Terra. Che ti piaccia o no, devi cavalcare l’onda.

A questo punto, se gli alti e i bassi dell’Anima sono comunque un dato di fatto e se sei chiamato ad averne a che fare ogni tre per due, non è che soltanto mettendoti da parte risolvi la questione. Ti si chiede di partecipare e non di assistere a uno spettacolo. Perché lo spettacolo è il tuo. Che ti piaccia o no, devi gestirti il palcoscenico e tutte le menate annesse e connesse. 

In Primavera, la Natura si risveglia. Pure l’Anima. Perché? Semplicemente perché noi siamo parte della Natura e non è che possiamo schivare certe scadenze. Quando la Primavera della tua Anima si impone, non è detto che coincida con l’Equinozio sancito dalla rotazione terrestre, dovresti quanto meno darle il benvenuto. Non ti dico di festeggiare, ma almeno aprile la porta. O lo fai tu o la butterà giù a spallate. Lei fa così. 

Spuntare a nuova vita può essere un trauma, specialmente se subisci la situazione (è sempre un trauma quando subisci). Ma prima che sia finita, la tua Anima ha un sacco di Primavere da attraversare e non ti chiederà il permesso e non chiederà la tua benedizione e non ti permetterà di discuterne i modi e le condizioni e non ti chiederà di essere entusiasta. Ti chiederà di esserci. 

Vedi tu come e vedi tu con che trasporto, ma esserci non è cosa da poco. Sappilo.

 

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(906) Svago

La mia idea di svago è piuttosto bislacca. In pratica io non mi svago mai. Anche quando ci provo con tutta me stessa fallisco. Non so proprio come si faccia, non sono programmata per farlo. Non ho altre spiegazioni.

Non riesco a staccare il cervello da quello che sto facendo per fare altro, forse perché il mio cervello non fa altro che divagare e divagando attraversa tutte le galassie e, di pianeta in pianeta, buco nero in buco nero, stella cadente in stella cadente… mi svago.

Quindi la mia idea di svago è semplice: vagare nel mio Iperuranio.

Che in soldoni significa che non stacco mai. Non mi rilasso neppure quando vago con la mente a corpo fermo. Tutto ciò è inquietante. Com’è possibile che ogni Essere Vivente sulla faccia della Terra sia dotato di neuroni-svago e io no? Non sono di questo pianeta, probabilmente.

Dipenderà forse dal fatto che non sono in cerca di divertimento? [non lo so il perché, è così e basta, non mi voglio neppure immaginare il perché]

Ok, prendiamo in considerazione che sono più affezionata all’idea impiego-il-mio-tempo-progettando-e-realizzando-cose-meravigliose piuttosto che gonfio-palloncini-per-farli-volare-in-cielo e che questa è comunque una posizione estrema. Diamo anche per scontato che, molto molto molto probabilmente, il mio vagare sia decisamente più svagante di uno svago classico. Cosa potrei fare, dunque, per avvicinare la mia idea di svago a quella del resto del mondo? Fingere di essere umana? Non sono credibile, sorry. Convincere tutti che il mio svago sia di miglior fattura del loro? Non ho energie sufficienti, sorry.

Ecco, posso fregarmene. E se qualcuno oserà chiedermi se mi sono divertita nel weekend potrò con orgoglio dichiarare: ho vagato nel mio Iperuranio ed è stato fantastico. Non mentirei, in ogni caso, oggi è stato fantastico. Davvero.

 

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(880) Shuttle

Che significa “navicella spaziale”, ma non posso metterci due parole nel titolo (è una regola dei ***Giorni Così***, ve ne siete accorti?), quindi userò per l’ennesima volta un termine inglese. Rischio la galera, sappiatelo (sto ridendo, certe notizie sono davvero esilaranti se non uscissero dalla bocca dei nostri politici potrebbero stare tranquillamente sul palco di Zelig).

Fatto sta che oggi stavo pensando a com’è guardare dallo Spazio Infinito il nostro Pianeta Terra. Stavo guardando una delle foto che vengono postate su certe affascinanti pagine Facebook (quelle belle davvero) che ritraeva la Terra vista da lassù. Se non fosse per le orecchie che si tappano e il dover mangiare cibo liofilizzato, fare l’astronauta mi piacerebbe. Nella prossima vita magari.

Il mio pensiero si è spinto un po’ oltre: ma quante cose ancora non conosciamo?, mi sono chiesta. E poi: ma c’è proprio bisogno di conoscere tutto?, e mi sono risposta no. No. Non c’è alcun bisogno di conoscere tutto lo scibile extra-umano. Anche perché tutto quello che conosciamo finiamo per distruggerlo, quindi ignorare l’esistenza di qualche parte (più o meno rilevante) dell’ambiente terrestre e spaziale, potrebbe far bene al nostro pianeta e allo Spazio Infinito in generale. Siamo peggio della peste bubbonica noi Esseri Umani. 

Credo che guardare le stelle e pensarle vive e felici mentre brillano, solo per il piacere di brillare, sia un bel pensiero. Ignorante, ma bello.

Credo anche che immaginare che la Luna abbia occhi, bocca e naso, sia un modo carino per rendercela amica seppur distante. Idiota, ma bello.

Credo che sognare un pianeta (Marte?) vivibile e vivace quanto la Terra sia innocuo e divertente. Inutile, ma bello.

Non sono fautrice del “ignorante è meglio” per la maggior parte delle cose che ci riguardano, il Sapere e la Conoscenza sono sacri per me, ma certi particolari ci rendono la vita migliore. Sciocca, certo, ma bella. Come quando sei innamorato e vedi solo i lati positivi della persona che ti fa sbelinare il cervello. Così. Non dura molto, lo sappiamo, ma goderci quell’intorpidimento dell’intelligenza è piacevole. Bello addirittura, no?

Temo che non sappiamo più goderci questi nostri spazi di illusione pura e sberluccicante. Un vero peccato perché da lassù la Terra sembra un gioiello. Quei colori mordono la nostra coscienza e ci lasciano il segno. Siamo qui per poco e ci agitiamo come se dovesse essere per sempre. Pensando di dover sapere tutto perché così saremo noi i possessori dell’Universo, mica l’Universo che può fare di noi quel diavolo che gli pare.

Poveri noi.

 

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(855) Indigeno

Significa: che è originario del luogo. Certi luoghi possono essere selvaggi, primitivi, non necessariamente per ragioni di vegetazione maestosa e fauna esotica. Ognuno di noi appartiene a un luogo, indipendentemente dalla terra che li ha generati. Indigeno è l’unico aggettivo che vorrei fosse preso in considerazione quando si tratta di Esseri Umani. Renderebbe tutto più semplice.

Essendo per battezzo forzato una straniera, mi sono ritrovata spesso a soppesare la sostanza della terra che mi porto dentro. Senza mai venirne a capo.

Ho cercato quindi, per ovviare al gap, di compattare quella terra per crearne un’altra, una che mi assomigliasse il più possibile. Tutto sommato ci sono riuscita. Non era ovvio. Non lo è mai. Ne scrivo perché non temo di perderla ormai, è con me da tanto e si è solidificata per bene, respira come un pianeta e ha cielo stellato quando il sole riposa, nuvole sparse e giornate di vento, qualche precipitazione sparsa, temporali da paura e limpide e tiepide giornate dove tutto scorre e non si fa caso ai dettagli. 

Ritrovo la stessa energia, che è stata scelta strategica, in diverse persone che incontro. Sono quelle dove trovo conforto naturale, senza forzature di contatto.

Lo consiglierei a tutti. Quando hai la tua terra dentro, non hai paura che qualcuno te la rubi, rimane tua. Sai che devi curarla e questo impegno ti può occupare parecchio tempo, tempo che altri impiegano per togliere il diritto alla terra a qualcun altro pensando che gli spetti (perché poi?). Se sei impegnato nella cura, nella costruzione, tutto quello che è distruzione perde di attrattiva. Se arriva qualcuno che ti dice “qui è tutto sbagliato, buttiamo giù tutto” gli molli un pugno sul naso senza neppure il bisogno di chiedere ulteriori informazioni sul suo piano di devastazione. Ti suona male. Ti suona ingiusto. La distruzione non è mai così motivata da giustificare il niente che ne consegue. Si può sistemare, aggiustare. Si può. La vita è una questione di aggiustamenti degli squilibri, sistemazione delle falle, non è un ricominciamo daccapo no-stop perché daccapo si può cominciare soltanto una volta, la prima. Poi basta. Ricominci ma già da una base di partenza. E poi non puoi far altro che aggiustare. E sistemare. 

La terra che ti porti dentro non la spazzoli via, neppure quando è solo un mucchietto di granelli. Lei non va da nessuna parte, non può che accumularsi e crescere. Sta a te darle una forma, quella che ti sembra più bella, e renderla il pianeta con cui respirare. Credo sia questo che qualcuno chiama pace dell’anima. O è soltanto qualcosa che le assomiglia molto.

Lo consiglierei a tutti.

 

 

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(846) Faro

L’espressione “essere un faro nella nebbia” mi è sempre piaciuta. In realtà, è diventata con gli anni la mia massima aspirazione. Lo so, sono una presuntuosa. Non ho detto, però, che io ci sia riuscita a esserlo, ma che è la mia massima ambizione. Forse (certamente) è perché io ho trovato negli anni i miei fari nella nebbia. Persone che in qualche modo, anche loro malagrado, sono stati per me luce da seguire per ritrovare una sorta di via, una salvezza.

Esagero? No. 

In qualsiasi situazione uno si trovi, guardarsi attorno per trovare un appiglio, una via, è la prima regola del sacrosanto istinto alla sopravvivenza. E tutti, proprio tutti, abbiamo una priorità: sopravvivere. Questa condizione prevede una minaccia, un rischio che si palesa e diventa pericolo incombente. Se non fai qualcosa potresti soccombere. Sei disposto a rischiare? Quanto tieni alla tua vita? Bene, il viaggio dell’eroe presuppone questa emergenza affinché l’eroe inizi a darsi da fare per venirne fuori. E se è un eroe ne viene fuori, magari a pezzi, ma fanculo ne viene fuori.

Ok, come?

Con un aiuto. Sempre. Consapevole o inconsapevole che sia, quella luce arriva sempre da un faro. Una situazione, una cosa, una persona, Dio? Non importa, è indifferente, il fatto è che sopravvive. La luce è sempre un aiuto, a meno che non sia un raggio laser che ti colpisce in pieno mentre stai roteando la spada mimando Luke Skywalker. Vabbé, lì è una questione di furbizia. Non sei Luke Skywalker, fattene una ragione.

Comunque, siamo sempre in pericolo di vita o di morte?

Sì, solo che non ce ne accorgiamo. Prendiamo – giustamente – tutto molto alla leggera, altrimenti non ci sposteremmo di un metro. Ci dimentichiamo che stiamo su per un filo e che è un filo sottile, per fortuna viviamo da incoscienti. La questione è che se non ci fermiamo neppure per un secondo a valutare ‘sta cosa della provvisorietà, rischiamo di distruggere tutto quello che abbiamo. E allora, ogni tanto, pensare che se non facciamo quello che sentiamo dovremmo fare o se non diciamo quello che sentiamo dovremmo dire, il sasso inizia a rotolare giù e a farsi valanga. No, non esagero. S’inizia sempre dalle piccole cose.  A meno che tu non ti trovi in traiettoria precisa di un asteroide e schivarlo diventa difficile (se non altro per una questione di dimensioni), allora delle cose che ti accadono e che possono peggiorare col tempo te ne accorgi. Al massimo te ne freghi, perché sottovaluti le conseguenze e ti illudi che si risolva tutto prima di prenderti l’asteroide in testa, ma te ne accorgi. Neghi l’evidenza, fai lo gnorri, dai la colpa al cristo-che-ti-sta-più-vicino, ma te ne accorgi. 

Quindi?

Niente. Era un pour parler, come al solito. Ero partita dal faro nella nebbia e dalla mia ambizione. Ecco: se per un istante sono stata un faro nella nebbia per qualcuno, allora significa che quello che ho ricevuto ho dato e questo mi rimette in pace con me stessa e con il resto del pianeta. 

Stop.

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(762) Strano

Pare strano che il Pianeta Terra stia cambiando le sue priorità. Dove c’era caldo da secoli ora sta diventando più freddo e viceversa. I ghiacci si sciolgono, il suolo si spacca, i tifoni imperversano, le piogge sono come secchiate, il vento si è uniformato sulla velocità-Bora ovunque. Pare strano, ci stupiamo, ci preoccupiamo, ci facciamo venire il mal di testa pensando al da farsi. No, non tutti, solo chi ha a cuore le sorti del pianeta e dell’Umanità che contiene, ovvio.

Diamo per scontato che siamo responsabili dell’accelerazione impressionante degli ultimi trent’anni almeno, diamo per scontato lo scagli-la-prima-pietra-chi-è-senza-peccato e diamo per scontato che i danni ci sono e non sono pochi e anche che questo è solo l’inizio. Ora: perché non considerare che Gaia sta cambiando per forza di cose e che noi non ci possiamo fare nulla?

Cosa fai, fermi un terremoto? Un maremoto? Un tifone? Un uragano? Non puoi. Al massimo puoi costruire argini migliori per evitare le esondazioni, puoi prenderti cura dei boschi affinché non vadano a fuoco, puoi tenere puliti gli Oceani, i mari, i fiumi, i laghi. Puoi, certo che puoi, e devi, certo che devi. Però… il cambiamento della Terra, molto probabilmente risente anche dei movimenti dell’Universo e la questione dei cicli e degli spostamenti planetari ci accompagna dagli inizi – anche se i presenti non erano presenti, le notizie sono arrivate fino a qui e un po’ ne dovremo tenere conto, no?

Fa paura? Altroché. Dovremmo diventare più accorti, più responsabili, più accurati nel nostro pensare e nel nostro agire? Ossì! Lo faremo? Ni. A fasi alterne, costruendo e distruggendo, imprecando e benedicendo, un passo avanti e due indietro. Come abbiamo sempre fatto. Posso anche ammettere di essere una pessimista della malora, ma lo abbiamo già ampiamente dimostrato che preferiamo esclamare “strano” piuttosto che attaccarci con coerenza a un pensiero di salvaguardia del nostro meraviglioso pianeta con il suo ecosistema delicato e noi che ci sguazziamo dentro in modo sconsiderato e non meritiamo niente di niente. Eh.

Siamo proprio delle teste di cazzo.

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(694) Alieno

Essere un alieno può significare che provieni da un altro mondo, che appartieni a un altro mondo, ma anche che sei refrattario rispetto a qualcosa o a qualcuno: come al solito la lingua italiana si riempie di colore appena la sfiori. Quante volte al giorno ci succede? Centinaia. A tutti per di più. Siamo tutti goffi alieni che si muovono a tentoni e che fanno finta di avere tutto sotto controllo. Balle.

A me piacerebbe tanto incontrare un alieno capace di affermare non-lo-so quando davvero non sa qualcosa. Mi piacerebbe parlare con un alieno che non si vergogna di ammettere che non-può-fare qualcosa o addirittura che non-sa-fare-qualcosa. Sarebbe liberatorio. Non sarei sola in questo pianeta dove tutti sanno tutto e tutti sanno fare e possono fare tutto.

Io no. Ci sono milioni di cose che non so – anzi, miliardi – e altrettanti milioni di cose che non so fare o che non posso fare, eppure vivo. Forse non me lo merito, ma respiro lo stesso, anche se sono lontana dall’essere come vorrei, anche se la gran parte delle mie aspirazioni son finite in cantina e non c’è nulla di che vantarsi. Sono un Essere Umano finito, ho confini precisi e alcuni limiti che non mi sarà possibile superare neppure in cento vite. Pazienza. Non odio nessuno per questo, non c’è nessuno con cui prendersela, neppure chi può tutto, sa tutto, fa tutto e pure bene. Eh! Beati loro. Io no.

La cosa migliore di tutte? Nessuno si aspetta da me grandi cose. A tutti basta la mia normalità, quando ne hanno abbastanza se ne vanno liberamente, per andare a dimostrare altrove che sanno, che possono, che fanno. Magari ne danno annuncio sui social, perché se non lo racconti a qualcuno la questione perde il luccicore. Dal mio angolo alieno osservo: a volte ammiro e altre mi dissocio con fermezza.

Qui da me l’ordinario ha un sapore buono, che sazia, e quando qualcosa di straordinario accade lo si festeggia. Potrebbe non accadere più.

Noi alieni siamo fatti così. Portate pazienza.

 

 

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(445) Rosa

Quando scoprii – anni fa – l’importanza dei venti per il nostro pianeta ne rimasi affascinata. Mi domandai perché a scuola nessuno me lo avesse detto, o per lo meno perché nessuno lo ritenesse abbastanza vitale da farcelo tatuare in fronte. Sono un’ingenua, lo ammetto.

Mi capita spesso mentre scopro gli abissi della mia ignoranza, di cui continuo a vergognarmi ma che con gioia cerco di colmare di tanto in tanto, di pensare: “Adesso la mia vita non sarà più la stessa”.  Spesso è così, altre volte me lo dimentico dopo due secondi – ma senza cattiveria, solo perché sono piuttosto rimbambita.

I venti sollevano e mitigano e trasportano e alzano/abbassano e profumano o puzzano – e mille altri verbi che si agitano anche in contemporanea – in poche parole i venti vivono e ci permettono di vivere. Sono la combinazione di tutti i movimenti che ci potremmo immaginare calcolando quanto il nostro pianeta si sa muovere e si muove, e sempre in dosi diverse. C’è da perderci la testa a misurarli e credo che sia per questo che l’uomo abbia deciso di farsene un’idea un po’ più statica – quel tanto che gli permettesse di capirci qualcosa – disegnando una rosa: la Rosa dei Venti.

La Rosa è il fiore Regina, ha centinaia di colori e varianti, ha petali vellutati e profumi tenui o intensi ed è sempre bellissima. Che la Rosa abbia bisogno dei Venti lo si potrebbe anche intuire, ma che anche i Venti abbiano bisogno della Rosa questo mi piace. Non lo so perché, ma mi piace. Non è la verità dei fatti, è una trasposizione romantica del pensiero umano che in qualche modo trova nel mondo il bene che lo riempie e gli rende la vita possibile.

Ho divagato, forse, ma non m’importa perché ho seguito un pensiero che mi concilierà il sonno e mi farà stare bene.

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(315) Anelli

Gli anelli di Saturno sono anelli planetari attorno al pianeta Saturno. Sono composti da milioni di piccoli oggetti, della grandezza che varia dal micrometro al metro, orbitanti attorno al pianeta sul suo piano equatoriale, e organizzati in un anello piatto.

Oggi, tutt’a un tratto, mi sono scoperta simile a Saturno. Una piccola illuminazione che ancora faccio fatica a focalizzare, ma che mi rende felice. Non so che dire, sarà l’inizio della follia conclamata. Comunque, il ragionamento è partito dal fatto che spesso ho confuso la sostanza del mio pianeta con quella degli anelli che ho attorno.

Forse perché gli anelli hanno grande appeal. Nel senso che sono luoghi dove la scoperta si fa elettrizzante e questo perché non ti appartengono, sono oggetti estranei che si sono avvicinati a te mentre vivevi.

Dando per scontato che gli anelli sono miei e guai a chi me li tocca (e così dovrebbe essere per chiunque), va da sé che occuparsi solo di loro e poco del mio pianeta diventa faccenda potenzialmente rischiosa. L’implosione è dietro l’angolo.

Vediamo se riesco a chiarirmi questo concetto: il mio pianeta sarà anche poco elettrizzante e sfarfalleggiante, ma è pur sempre solido e intensamente popolato da tutto ciò che mi appartiene intimamente. Lui mi sostiene, mi alimenta, mi permette di crescere. Gli anelli, in qualche modo, mi fanno da corazza. Proteggono ciò che è pianeta, ma non si sostituiscono al pianeta.

Sono in un periodo di forte cambiamento, faccio fatica a sistemare tutto e accettare tutto, sto tirando calci a destra e a manca dentro di me e sto facendo finta che non stia succedendo. La testa mi porta avanti, le viscere protestano, gli anelli sberluccicano e il mio pianeta vorrebbe soltanto un mese per dormire e basta.

Ti odio estate.

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