(265) Sostenere

Sostenere non è un verbo da poco, determina un’azione che reputo fondamentale. Si sostiene qualcosa o qualcuno, per aumentarne la forza. Si può sostenere con fermezza una posizione, un punto di vista, un’idea… non si sostiene poco convinti, poco partecipi, poco attivi.

Ecco: quando credo in qualcosa divento talmente assertiva da risultare prepotente anche a chi mi conosce bene. Ammetto che è, ed è sempre stato, un bel problema.

Sostengo gli amici quando si trovano soli contro il resto del mondo, però. Questo non ha mai dato fastidio ai diretti interessati. Eppure una mia caratteristica che è risultata come pregio in molte occasioni, può tramutarsi improvvisamente in difetto imperdonabile.

Quando? Semplicemente quando ciò che sostengo è ritenuto un’assurdità che reca fastidio. Allora, in un nanosecondo tutto cambia. Tutto.

Ma  arriva il momento in cui preoccuparsene non serve a nulla. Continuo a sostenere che il verbo sostenere e tutto ciò che si porta appresso è rimarchevole. Anche quando il resto del mondo pensa il contrario.

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(264) Ritrovare

Quando ritrovi un oggetto che temevi sparito per sempre è una gioia. Quando ritrovi una persona a cui tenevi molto e pensavi che il tempo ormai avesse cancellato le tracce del legame d’amicizia è proprio felicità. Capita raramente, a me è capitato un paio di volte. Oggi la seconda.

Non è vero che scrivo solo quando sono misera e infelice, voglio scrivere anche quando sto proprio bene. Infatti sono qui per condividere questo piccolo miracolo che oggi mi è accaduto.

Non è stato un caso fortuito, l’ho cercata io e lei si è fatta trovare. Come se non fosse trascorso neppure un mese, anche se in realtà si tratta di anni, molti anni. Lei sempre la persona cristallina e autentica che amavo, questo è il vero miracolo in realtà. La sua capacità di rimanere fedele a se stessa, riconoscibile a occhi chiusi, così bella.

In quest’ultima settimana dove son volate cose pesanti, oggi è stato come se mi avessero ridato le ali. Ho intenzione di tenermele strette, queste ali, si affronta meglio il cammino quando puoi sollevarti un po’ e dare pace ai piedi.

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(263) Folks

Me lo chiedono spesso perché nella formula di saluto dei miei programmi radiofonici io usi la parola americana folks. Anche oggi è successo. 

In realtà, è nato tutto perché volevo trovare un modo di salutare che non fosse legato alla parola amici (perché non è che io conosca tutti quelli che si sintonizzano per ascoltare i miei programmi, e sono quasi certa che neppure il 5% dei miei amici è solita ascoltare i miei programmi) oppure ascoltatori (perché è un termine che non mi appartiene, non sono mica Linus a Radio Deejay!).

Al tempo (era il 2008, se non erro), nel rimurginare m’è venuto in mente la formula dei Looney Tunes che compare alla fine di ogni puntata.

Riproporla pari pari mi sembrava di cattivo gusto, ma Folks mi piaceva perché è un modo affabile di rivolgersi a qualcuno anche se non lo si conosce di persona. Le formule in italiano sanno di presa in giro: Ciao Gente!  oppure Ciao Cari! oppure Ciao Belli! e via di questo passo. 

Bentrovati Folks! – mi suonava bene, un bel benvenuto. Così ho iniziato a usarlo ed è rimasto il mio modo per rivolgermi a chi non posso vedere e che ha voglia di stare con me il tempo della puntata in questione. Un saluto rispettoso e affabile.

Ad alcuni ho scoperto che dà fastidio, un po’ mi dispiace, ma non è che cambi molto. L’intento con cui è nato questo mio approccio radiofonico mi è chiaro, mi ha anche portato molta fortuna – visto che sto ancora conducendo i miei programmi e che stanno andando bene – quindi credo lo terrò con me.

Spero non vi dispiaccia, Folks.

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(262) Cerotto

Serve a unire i lembi della ferita per farli cicatrizzare dalle fide piastrine. Un’idea geniale. Fa quello che le parole possono fare quando le ferite non sono visibili, ma sanguinano nell’Anima. Quando le parole non sono sufficienti, forse, gli abbracci possono aiutare. Dipende.

Se smetto di credere a questo ho la sensazione che mi gioco gran parte di quel che sono oggi. Mettere parole-cerotti qua e là per permettere al tempo di sanare le ferite dell’Anima è un’occupazione no-stop che mi ha tenuta impegnata per gran parte della mia vita.

A volte, quando mi rendo conto su che filo sottile è sorretta la mia essenza di Essere Umano mi viene da ridere. Altre volte muoio di paura.

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(261) Osservatorio

Dal mio osservatorio spesso sono evidenti le stelle, meno la Luna. La Luna è grande e forse le sono troppo vicina, spesso, per accorgermi che c’è. Il mio dito non è solito puntare il cielo, il mio dito non ferma alcun istante o rischia di rimanerci appiccicato. Lui sa che non si fa.

Eppure la Luna mi chiama e quando non posso proprio ignorarla devo affrontarla con prontezza per non esserne schiacciata. Quando l’affronto so che perderò, che lei mi farà capire esattamente l’inutilità di ciò che mi propongo di fare, ma che si aspetta anche che, di tanto in tanto, io mi metta in gioco e la affronti. Credo sia il giusto fluire delle cose che vuole che io capisca, credo anche che non finirò mai di arrabbiarmi per come fluiscono le cose.

La Luna non sta lì per sfidarmi stupidamente, sta lì affinché io accolga quelle cose che sono talmente grandi che non riesco a tenerle dentro gli occhi e per evitare che gli occhi mi scoppino le lascio andare.

Non me ne fa una colpa, ma so che da me vorrebbe qualcosa di più. Non riesco a capire che cosa di preciso, ma dal mio osservatorio cerco di non farmi sfuggire nulla. Prima o poi scoprirò cosa vuole la Luna da me. E gliela darò.

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(260) Vulnerabilità

Mi sono sempre impedita di colpire un punto vulnerabile del mio avversario. Forse perché non mi sono mai misurata con nessuno che volessi definitivamente far fuori, ma ho ricevuto parecchi colpi quasi-letali a cui sono sopravvissuta (certo) e che mi hanno fatto capire che dall’altra parte la voglia di farmi fuori c’era eccome.

Lo dico davvero: credo fermamente che quando ci si trova faccia a faccia con un antagonista esiste il lecito e il non-più-lecito. Qualcosa che assomiglia al fair play, ma che è ancora più profondo. Più sacro.

Quando il tempo ha fatto il suo lavoro e la ferita quasi letale si è cicatrizzata, ogni tanto il ricordo si affievolisce, diventa meno duro. Di solito. Eppure, mi risulta impossibile offrire una seconda possibilità. Mancherò di spirito cristiano (ma non è mai stato un mio cruccio dimostrarmi o meno cristiana), ma dare a chiunque la possibilità di colpirmi per la seconda volta – considerato che il mio punto debole si è rivelato – mi sembra una dichiarazione di imbecillità. Un suicidio.

Ecco, preferisco andare cauta. Grazie.

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(259) Fiducia

Si dice: riporre la fiducia in qualcuno/qualcosa. Quando si ripone qualcosa in un luogo la si pensa al sicuro. La si può tenere lì per sempre, volendo. E se quando te la vai a riprendere, magari per darle una spolverata, non la trovi più o è ammaccata… insomma, ci rimani di sale, no?

Ecco, mi succede spesso di riporre la mia fiducia in luoghi poco poco poco sicuri. Viene spesso frantumata e io me ne accorgo solo quando non c’è più nulla da fare.  La questione è che la fiducia è cosa delicata, e io lo so e ci sto pure attenta, ma periodicamente succede. Luogo sbagliato. È scocciante, è frustrante, è anche doloroso. Diamine, ma non posso fare più attenzione?!

Mi rendo conto che nella vita si prendono fregature e si danno fregature, che spesso sono in buona fede e che farla tragica non serve a risolvere e a sistemare le cose. Eppure, sto qui a riflettere sul da farsi.

Probabilmente prendere sul serio la questione fiducia è un dato positivo, significa che ne ho ancora qualche grammo da parte da riporre in qualche luogo. Eh! Buona fortuna a me.

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(258) Orgoglio

Consegnare a qualcuno la propria fragilità è un suicidio. Questa è una delle lezioni che ho dovuto imparare e credo che questa lezione sia arrivata a me per un motivo ben preciso: fare i conti con il mio orgoglio.

Non è una battaglia che vincerò, d’altro canto a fare i conti io sono proprio negata. Eppure la vita si ostina a mandarmi in loop situazioni in cui io e il mio orgoglio ci mettiamo uno di fronte all’altra a vedere chi di noi due la spunta. Lui è forte, forte perché le sue ragioni non sono da poco. Le sue ragioni si fondano su terra antica, terra di sacrificio, di lavoro, di testardo mai-mollare. Le sue ragioni mi hanno permesso di arrivare fino a qui e non era scontato, anzi tutt’altro.

Mi dicono che c’è un punto, però, in cui lui si dovrebbe fare da parte. Io con la testa ci posso anche arrivare, può essere una tattica con delle reali potenzialità, ma lo stomaco è conquista sua e me lo fa urlare talmente tanto che ha sempre lui la meglio.

Non sono una che gioca di tattiche, imboscate, controtempi e chissà che altro. Affronto a viso aperto e occhi dritti negli occhi ciò che devo affrontare e vada come vada. Ammetto che va spesso male, ma l’ho sempre saputo che i vincitori sono altri e non me ne sono mai fatta una malattia.

E sono ancora qui a ringraziare il mio orgoglio che mi fa stare in piedi nonostante i colpi non smettano di arrivare. Sì, fa male, ma le radici non le puoi bruciare solo perché non sono comode. Anche questo ho imparato e questo sono costretta a ricordare. Senza mai smettere.

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(257) Neutro

Fino a qualche tempo fa, tutto ciò che si presentava come neutro mi metteva a disagio, anzi, mi faceva arrabbiare. Neutro non era una condizione che ritenevo dignitosa, neppure per un sapone.

Come si cambia per non morire, canta la Fiorella nostrana. Eh!

Da un po’, e non so dire neppure da quanto, tutto ciò che si dichiara essere neutro mi mette addosso un senso di delicata cura, qualcosa che va a colmare un bisogno evidentemente forte che mi è nato: quello di non essere attaccata da un lato o l’altro dello schieramento.

Ho scoperto che non sempre so da che parte stare. Ci sono questioni talmente complicate che mantenere una posizione neutra per me significa ammettere con umiltà che non ho capito abbastanza per decidere se stare da una parte o dall’altra. Mi dichiaro insufficiente, inadeguata, non all’altezza, questo per non millantare una preparazione che non ho.

Dire “non lo so” una volta per me equivaleva a dichiarare una manchevolezza che mi feriva. Ora mi suona come una ammissione di finitezza, magari non definitiva, ma pur sempre in essere e di cui tenere conto.

Neutro è quel colore che ti permette di osservare le cose finché non ne capisci il senso. Solo dopo puoi onestamente prendere una posizione e dire o agire di conseguenza. Perché le cose sono spazi immensi da esplorare, specialmente in relazione agli Esseri Viventi, ora lo so. Almeno questo lo so.

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(256) Limiti

Odio ammetterlo, ma il concetto di limite ha determinato il mio fare e il mio non fare per tutta la vita. Spesso, per superare ostacoli nel realizzare ciò che desideravo, ho giocato d’azzardo e ho spinto l’acceleratore perché andare oltre era per me vitale. Non ho mai, però, superato il limite della decenza, del decoro, e non perché qualcuno me l’abbia imposto, soltanto perché oltrepassare quella linea mi avrebbe frantumato la dignità. Questa è la parte ok.

Ho creduto per molti anni che certi miei limiti fossero invalicabili perché più di così non mi sarebbe stato possibile migliorare. Una visione parziale di me stessa, una semplice bozza, che si mortificava e si ridimensionava ogni volta per non dover affrontare la cruda realtà. Non so neppure io come spiegarlo, ma proiettata dentro di me la luce si spegne, non ha strada. Solo nella scrittura si espande, ma non grazie a me, nonostante me. Questa parte non è affatto ok.

Oggi tutti i miei limiti archiviati come invalicabili sono qui davanti a me e mi sembrano ancora più mostruosi di un tempo, forse perché l’energia dei vent’anni è solo un pallido ricordo ormai. Me li trovo intatti e interi e intollerabilmente forti, rispetto a come mi sento adesso. E ancora non mi vedo. Ancora la luce non trova la sua strada.

Mi viene da piangere.

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(255) Zitta

Ogni tanto me ne sto zitta. Cerco di dimenticare un po’ il suono della mia voce. Uso molto la voce e quando si stanca se ne va.

La seconda volta che se ne è andata era pieno inverno scozzese, non era affatto facile lavorare afona, ma mi sono rimessa al suo volere. Ero sorpresa, non usciva un suono dalla mia bocca per la prima volta dopo anni e non ero costretta a ribattere, non ero obbligata a interloquire, potevo evitare di dire la mia – una volta tanto. Una pausa benedetta.

La prima volta che è successo mi erano state tolte le tonsille. Una settimana di bigliettini su cui appoggiavo le parole con l’inchiostro blu, nero, rosso o viola – assecondando l’umore. Dapprima irritata, poi compiaciuta: nessuno si aspettava nulla da me, potevo pensare e basta.

Dare modo alla mia voce di riprendersi il sacrosanto diritto al silenzio è un dovere che mi sono negata per troppo tempo. Spesso sono stata zittita malamente da qualcuno, ma ha funzionato soltanto per il tempo dello stupore. La reazione ha sovrastato ogni aspettativa. Se resto parlo, e posso dire troppo, se me ne vado ti consegno il mio silenzio imposto e quello urla a più non posso.

Ecco, ogni tanto me ne sto zitta. Non tutto il giorno e non per sempre, ma mi prendo lunghe ore per lasciare libera la mia voce di viversi silente. È quando la sento in affanno, furiosa o confusa. Le lascio il tempo di riprendersi, d’altro canto è lei il mio sostegno.

E, zitta zitta, osservo e ascolto. Osservo e ascolto. Qualche volta scrivo. Anzi, spesso scrivo.

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(254) Bianco

Uno dei miei colori preferiti, il bianco, specialmente d’estate. Il nero? Sempre, assolutamente sempre e da sempre. Il blu è un altro dei miei prediletti. E poi c’è il viola, che chi mi conosce sa che è una fissazione. Non indosso mai il giallo né il verde, sono belli ma non su di me.

Bianco è il mio modo di affrontare la giornata, ci scrivo sopra. Bianco è il mio modo di relazionarmi con gli altri, ci faccio scrivere sopra da loro. Bianco è il mio modo di guardare il mondo, i colori ce li mette lui.

Credo abbia a che fare con la luce, anche troppa, e con la voglia di chiarezza. Ne sono sicura, un tocco di bianco può cambiare la vita. Ed è l’unico colore che non devi usare con parsimonia. Abbondare non nuoce, al massimo rischiara.

Quando un pensiero mi si colora di bianco si disperde. Diventa innocuo. I pensieri innocui sono i migliori, garantisco.

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(253) Chimica

È quella cosa che anche se non la conosci, anche se la eviteresti, anche se non ne vuoi sapere… c’è. È parte di te, funziona a prescindere da tutto. Ti sorregge o ti sotterra, ti asseconda o ti si oppone, ti fa spaccare tutto o ti fa in pezzi. Dipende da come funziona e dipende da te controllare che funzioni bene.

A un certo punto della mia vita ho deciso che dovevo saperne di più. Ho iniziato a leggere e ad approfondire il discorso, pensando che una volta capito avrei gestito meglio le cose. Ecco, mi sbagliavo.

Non è che capisci come funziona la chimica del tuo corpo e lo gestisci meglio. Funziona, invece, che riesci appena appena a capire cosa ti sta succedendo riconoscendone certe dinamiche, e prendendo atto delle conseguenze dirette scatenatesi nella tua mente e nel tuo corpo.

Io, maniaca del controllo, mi sono arresa. Non voglio più controllare nulla. Mi arrendo alla chimica, mi arrendo alla vita, mi arrendo al flusso d’energia che comunque mi sovrasta.

Anzi, no: mi affido. Meglio.

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(252) Capolavoro

Per molti anni ho preso sul serio la fine del mondo. Nel senso che ogni volta che mi capitava qualcosa di spiacevole e doloroso io pensavo fosse destinato a durare per sempre e che la fine del mio mondo sarebbe sopraggiunta di lì a subito per stroncarmi definitivamente.

Mi sbagliavo.

Sopravvivere ai dolori è una stramberia perché ti passa piano piano la paura e diventi un po’ spavaldo e un po’ sborone. Quasi arrogante. Certamente supponente. Guardi chi si dichiara felice e privo di patemi con un certo distacco, come fosse un essere inferiore. Oppure il contrario: tutto il dolore che hai attraversato ti rimane addosso come una maledizione e muori un po’ ogni giorno, perché non vedi più niente se non quel buio che ti inghiotte.

Dove sono finita io? Ho vagato da un evento all’altro cercando di capire di cosa mi importava e di cosa potevo fare a meno, per molto molto molto tempo. Non mi sono persa, mi sono spesa, temo troppo. E quando sei esausto ti stacchi da tutto e vuoi solo dormire. Il distacco è la chiave.

Vedi un’altra piccola fine del tuo mondo, ma la distanza ti permette di non crogiolarti nel dolore o nella nostalgia. A distanza scorgi la rete intricata della tua ragnatela e ti sembra un capolavoro. Allora aspetti che la stanchezza passi perché sai che sarai di nuovo pronta a camminare. Non correre, no. Camminare.

 

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(251) Gioia

Provo gioia, quella autentica, tutti i giorni. Dura qualche secondo o qualche minuto, raramente tutto il giorno. In realtà, non lo pretendo. La durata della gioia non mi riguarda, è la variabile che me la fa apprezzare ancora di più.

L’ho sempre riconosciuta e l’ho sempre cercata come prima cosa. Non me la sono mai fatta mancare, anche quando ero a pezzi. Un istante di gioia. La salvezza.

Se qualcuno mi chiedesse cosa vorrei donare agli abitanti della Terra, tra le tante benedizioni ne sceglierei una, questa: la gioia. La capacità di provare una profonda e autentica, pura e splendente gioia una volta al giorno. Sarebbe la cura di tutto.

A chi verrebbe in mente di farsi esplodere e di far esplodere qualcuno, quando ha conosciuto, toccato, assaporato, assimilato in ogni sua cellula la gioia? Io lo so: a nessuno.

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(250) Estate

Sto cominciando a credere in questa estate. Non sto parlando di aspettative, sto parlando di desideri da realizzare che potrebbero realizzarsi. Non ho intenzione di focalizzarmi su questo, ho una tabella di marcia bella tosta da seguire e che intendo rispettare, ma adesso, proprio adesso ho avuto questo pensiero.

L’estate è sempre stata crudele per me, anche quelle estati dove c’era divertimento e giovinezza e cose belle. La luce impietosa del sole estivo è crudele, per me. Ogni estate vorrei scappare in un luogo dove l’autunno imperversa, mentre il mondo normale si gode quello che per me è insopportabile – e non so neppure il perché. Un’altra delle mie stramberie, eh.

Questa estate, però, la voglio diversa. Anzi: la sento diversa. Forse sono io diversa – il che sarebbe cosa buona e giusta, lo ammetto pubblicamente.

Sta di fatto che sono stupita di sentirmi così. E sono curiosa di vedere cosa saprò fare con questa novità. Mah!

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(249) Pietre

Ci sono parole che ti arrivano come pietre. Se ti colpiscono, se non riesci a schivarle, se senti il dolore, allora quelle pietre fanno la differenza. Non ne vuoi più e quindi due opzioni ti si parano davanti: o impari a schivarle o eviti chi te le sta lanciando.

Io evito.

Questo può essere letto in molti modi, come arroganza o come vigliaccheria o come che-ne-so-io, ma il motivo è semplice: schivare le pietre mi stanca. Stare sul chi va là continuo, mi stanca. Quel tipo di mortificazione mi stanca. Convincere il mittente a smetterla di tirarle è inutile – in generale è inutile prodigarsi per far cambiare idea a qualcuno che ha voglia di tirarti le pietre. Lo farà comunque, anzi, sempre più convinto che fa bene a farlo visto che le ricevi così male.

Il vecchio Antoine aveva ragione, non ha importanza che tu sia bello/brutto buono/cattivo comunque pietre in faccia prenderai, pertanto sta a te decidere: resti o te ne vai? Ecco, io me ne vado. Grazie.

 

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(248) Mantenere

Credo che sia un verbo potente, mantenere, forse il più potente di tutti. Lo vedo come il Re del controllo di se stessi. Il mantenere la calma, mantenere una promessa, mantenere uno stato di benessere, mantenere una posizione in cui si crede, mantenere fede a un sogno… quanta potenza può contenere?

La cosa preoccupante è che la stessa potenza si esplicita quando si mantiene una posizione o uno stato che crea malessere, dolore, frustrazione, umiliazione. La potenza non si misura in base al bene o al male, soltanto valutando la forza delle conseguenze. Un verbo che ci tiene tutti per la gola, con cui fare i conti ogni giorno.

Per riuscire a maneggiare un verbo così devi dimostrare senza tregua di essere coraggioso, di essere presente a te stesso, di essere… essere pienamente.

Mantenere un impegno, una promessa, una posizione, un’idea. Provvedere a mantenere te stesso integro, cosa ci può essere di più potente?

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(247) Tenerezza

Sfugge al controllo, può scaturire da qualsiasi situazione, può avere origine in un altro cuore o in un oggetto che pare inanimato e in realtà vive di ciò che si ripone in esso. Se ne scrivo anche la mia scrittura cambia, va alla ricerca di parole morbide, delicate.

Quando mi capita di scorgere una luce tenera sul viso di qualcuno mi si accende la speranza che quel qualcuno sia soltanto uno dei tanti milioni di esseri viventi capaci di provare un sentimento così delicato e così irruente. La tenerezza che nasce all’improvviso, e sorprende più te che gli altri, è un primo passo all’apertura, all’accoglienza, all’empatia.

Amo smisuratamente le persone capaci di donare la propria tenerezza a chi sta loro accanto. Ne vorrei incontrare mille al giorno.

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(246) Jackpot

Ho sempre pensato che la somma di ciò che fai, giorno dopo giorno, darà a un certo punto come risultato il tuo jackpot da ritirare. La tua vincita. Per tutti diversa, in qualità e quantità. Del tutto personale.

Lo penso ancora. Stavo, però, riflettendo sul fatto che molto probabilmente non ci accorgiamo del jackpot che ritiriamo – di periodo in periodo – perché sono somme modeste e le diamo per scontate, anzi: pensiamo siano solo un acconto.

Ritiriamo piccoli jackpot, periodicamente, da parte della vita e non ne abbiamo mai abbastanza perché pensiamo che solo un enorme jackpot sia degno di nota, solo un esorbitante jackpot sia la giusta ricompensa per il nostro faticare, il nostro sofferto vivere.

Grossa idiozia. So da molto tempo che spesso il jackpot che ho incassato era tutto quello che avevo accumulato in quel dato periodo e se da una parte posso non essere soddisfatta perché voglio di più, dall’altra non posso lamentarmi perché ho ricevuto molto e va bene così.

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(245) Ordinare

Mettere in ordine. Arrivo fino all’esasperazione, poi metto in ordine. Dal preciso istante in cui inizio arriva piano piano e inesorabile il sollevamento. Respiro meglio.

Mi arrabbio con me stessa per aver atteso tanto, ma forse è così che funziono e non ci posso fare niente. Conclusione troppo comoda? Forse. Assicuro che non è affatto comodo il tormento che ci sta in mezzo, però. Leggera forma di masochismo? Eh, vabbé, mi arrendo.

Mettere in ordine, per me, significa fondamentalmente buttare il superfluo e la scelta di ciò che è superfluo mi è fastidiosa, a tratti dolorosa. Il caos, a modo suo, può essere confortante. L’ordine no. Non è per nulla confortante, l’ordine è crudele, ti fa vedere esattamente tutto ciò che c’è e ciò che non c’è più.

Non fa piacere a nessuno questo tipo di crudeltà… soltanto ai masochisti. Quindi? No, forse sono pigra e codarda, ma non masochista. Ecco.

Mi sento meglio? Ni. Ora che ho visto e scelto, mi prendo il mio carico odierno di crudeltà sulle spalle e cerco di smaltirlo con un buon sonno. Di più non so fare.

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