(920) Bus

Conoscevo l’ombra di un uomo che saliva sui bus random e scendeva al capolinea. Qualsiasi capolinea fosse lui scendeva. Qualsiasi ora fosse lui scendeva. Non sapeva, spesso, dove si trovasse. Si risvegliava in un altro luogo e in un tempo che non controllava più. 

No, non è una storia inventata, ma potrebbe essere l’incipit di una bella storia. Terribile, ma bella. Questa storia prima o poi la scriverò, ricorderò ancora quell’uomo e la sua ombra e ne farò qualcosa di utile. No, non per lui, forse per me, per liberarmi di quell’ombra e di quell’uomo e forse di tutti gli uomini e di tutte le loro ombre che ancora mi occupano la mente. Quelli reali e quelli no. 

Un bel traffico, lo ammetto e lo constato con una malcelata costernazione. Come si sono potute sommare tutte queste ombre dentro di me? Perché non ci ho fatto caso prima? Consapevolezza, questa sconosciuta. 

I bus che ho preso e da cui sono scesa non li conto più, forse dovrei. Ma ho idea che mi sentirei ancora più vecchia di quel che già mi sento e al momento preferirei non focalizzarmi troppo sulle somme che con il peso mi sotterrerebbero prima del tempo.  Comunque è quello che faccio ancora, prendere e scendere dai bus, penso di non aver fatto altro per tutta la vita in effetti. Che sia un’abitudine o un per-forza-di-cose? Non è quello che facciamo tutti? E le nostre ombre che fanno?

Il dubbio che la mia ombra ormai ne abbia piene le palle di seguirmi mi resta. Specialmente in questo momento. Non so perché ma mi sento più sola. 

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(768) Vetrina

Si mette in mostra il meglio di sé sperando di vendersi. Questa dovrebbe essere la regola. Se lo fosse sarebbe tutto chiaro. Compri non solo quello che vedi – presumibilmente il meglio – ma anche quello che ci sta sotto e sopra, dentro e dietro.

Non funziona così, però, perché non sempre oltre quello che vedi c’è dell’altro. E se fosse solo un bene o solo un male sarebbe tutto molto più semplice. Eppure, se compri soltanto quello che vedi e c’è potrebbe non bastarti, se compri anche tutto quello che non vedi – nove volte su dieci – ti maledici per non averci pensato almeno mille volte prima di portartelo via. Tirando le somme: mai una gioia.

Poi ci sono quelli come me, e qui – modestamente – si aprono le voragini dell’inferno. Chi non ci ha mai puntato nulla su quello che stava mettendo in vetrina: per insicurezza, per incapacità strategica, per impossibilità reale o immaginata, per pigrizia, per indolenza e per qualsiasi altra ragione. In ogni caso, alla fine dei conti, sempre uno sbaglio. Enorme.

Concentrarsi su tutto quello che sta sotto, sopra, dietro, in parte, probabilmente per chi è fatto della mia stessa pasta, è prioritario rispetto a ciò che sta mettendo in vetrina. Per la serie: non capire un cazzo. Lo dico ora, ora che è tardi per mettere in mostra il meglio perché – evidenza dei fatti – è svanito con il passare dei troppi anni e delle vicissitudini maledette della vita. Infatti, ci ho riflettuto solo ultimamente. Voglio dire, ero così impegnata con le millemila idiozie che mi riempiono il cervello che la cosa più ovvia m’è passata sotto il naso e io… niente. Girata dall’altra parte.

Mi sorprendo sempre di quanto il mio “vedermi” fuorvia il 99% del mio “vivermi”. Considerato che la mia vista s’è ridotta – notizia fresca fresca e alquanto traumatizzante – e che nuovi occhiali stanno per posarsi sul mio naso, mi posso solo augurare che con le nuove lenti io possa scoprire ciò che ancora di me non ho saputo vedere. Così, tanto per approfittare del tempo che mi separa dalla cataratta senile. Perché se dice male dice male, e girarsi dall’altra parte non serve mica. Eh.

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(246) Jackpot

Ho sempre pensato che la somma di ciò che fai, giorno dopo giorno, darà a un certo punto come risultato il tuo jackpot da ritirare. La tua vincita. Per tutti diversa, in qualità e quantità. Del tutto personale.

Lo penso ancora. Stavo, però, riflettendo sul fatto che molto probabilmente non ci accorgiamo del jackpot che ritiriamo – di periodo in periodo – perché sono somme modeste e le diamo per scontate, anzi: pensiamo siano solo un acconto.

Ritiriamo piccoli jackpot, periodicamente, da parte della vita e non ne abbiamo mai abbastanza perché pensiamo che solo un enorme jackpot sia degno di nota, solo un esorbitante jackpot sia la giusta ricompensa per il nostro faticare, il nostro sofferto vivere.

Grossa idiozia. So da molto tempo che spesso il jackpot che ho incassato era tutto quello che avevo accumulato in quel dato periodo e se da una parte posso non essere soddisfatta perché voglio di più, dall’altra non posso lamentarmi perché ho ricevuto molto e va bene così.

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