(890) Mostri

Bisognerebbe fottersene. Tutto quello che ci fa paura bisognerebbe metterlo in una scatola e basta. Una volta che hai individuato i tuoi mostri li metti al sicuro. Li convinci a starsene lì, tanto mica li puoi distruggere, quelli non se ne vanno. Quindi li metti al riparo. Uno scarto logico, nient’altro che un escamotage per non vivere nell’ossessione del adesso-muoio-nel-modo-peggiore-mai-immaginato-da-un-essere-umano-nei-secoli-dei-secoli-amen. 

No, non sto inneggiando a fare lo struzzo nascondendo la testa nella sabbia. Questa è un’altra cosa. Si tratta soltanto di razionalizzare la situazione e ottimizzare l’energia. 

In questo momento sto lottando contro un mio mostro, tiratomi fuori a forza dalle viscere da una persona. Cioè, non posso neppure scriverlo. Non ci posso credere di esserci cascata. Non riesco a capire perché sto dedicandoci energia e perché mi sento succhiare via la gioia da questa persona. Si tratta di un Essere Umano miserevole. Sul serio. Una persona che usa mezzi disonesti per raggiungere i propri obiettivi, passando sopra agli altri, è davvero miserevole. Ovvio che si andrà a schiantare da sola da qualche parte, farà tutto lei, non ci sarà bisogno di aiutarla. Andrà incontro a quel che si merita: il deserto. Ok, lo so, va bene, facciamo fare alla Giustizia il lavoro che è solo suo. Ottimo.

Il problema, però, non è la persona che mi sta causando l’ira funesta, il problema sono io che mi faccio prendere dall’ira funesta – santiddddio! Il problema è il potere che sto dando a questa persona, un potere che mi toglie la serenità. Allora mi chiedo: che mostro mi stai facendo uscire da ogni poro? Come lo devo battezzare? Se-mi-tagli-la-strada-ti-spacco-le-ossa? Passami-sopra-un’-altra-volta-e-ti-defenestro? Stammi-lontano-o-non-rispondo-più-di-me? 

Perché una volta che nomini il mostro, il mostro perde forza. Si umanizza. Un dato di fatto, succede così e basta. Quindi si tratta solo di trovare il nome giusto.

Ci vuole strategia e buonsenso, quindi: bisogna ribaltare la questione, cambiare punto di vista, stravolgere la dinamica. E la cosa peggiore è che o lo faccio io o non lo farà nessuno. La miseria umana rimane miseria umana, da qualsiasi parte la si prenda, quindi da lì non si passa. Bisogna guardare altrove. Dove? Dentro. Me.

Riproviamoci. Mostro io ti battezzo: anche-se-ci-provi-con-tutte-le-tue-forze-non-avrai-la-meglio-vinco-io-perché-il-fair-play-non-è-un’-opzione-è-l’-unica-scelta. 

Ok, nome un po’ lungo, ma esplicativo. E piuttosto esaustivo. Mi piace. 

E, come dice il vecchio Jack Burton in situazioni come queste: “Basta, adesso”.  [cit. “Grosso guaio a Chinatown”]

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(849) Fuoco

Il fuoco ci insegna la giusta misura: riscalda e brucia. Il giusto fa bene, il troppo stroppia. Per l’acqua è lo stesso, per l’aria pure. Di terra, invece, sembra non ce ne sia mai abbastanza… quella ti sparisce sotto i piedi che è una meraviglia appena ti distrai un attimo. Gli elementi della natura cercano di riportarci a quelle leggi che ci governano – nonostante quello che ci raccontiamo – e che noi puntualmente sfanculiamo [il termine potrebbe risultare volgare, ma nel contesto non saprei infilarci uno migliore, il concetto rimane: ce ne fottiamo allegramente di quello che dovremmo invece mai dimenticare]

Il fuoco è associato alla passione. Avere il fuoco dentro è un’espressione che rende bene, no? Ti dà proprio l’idea che quel fuoco ti nutre, ti motiva, ti emoziona… ti infiamma (giustamente, che altro potrebbe fare?). L’idea è sbagliata. O per lo meno è parziale. 

Il fuoco deve essere alimentato, deve essere monitorato, deve essere convogliato. Non lo fa da solo, ha bisogno di una mente pensante che lo gestisce in modo che faccia quel bene che sa fare e non finisca col distruggere tutto. Questo metterci il discernimento in un concetto che d’istinto lo si sente come selvaggio, puro, esaltante, abbassa la temperatura drasticamente. Sauna finlandese. Eh. Allora facciamo così: mettiamo il cervello in salamoia e bruciamo tutto. Alé.

E lo si fa bene se hai quindici anni, ma se ne hai cinquanta le cose cambiano. La ricerca spasmodica del fuoco bruciante, tanto per sentire qualcosa, è profondamente grottesca. Uno scempio di possibilità, di potenzialità, di visione. Fammi capire: sei sopravvissuto per cinquant’anni e ora pensi di bruciare selvaggiamente di passione come non hai mai fatto neppure da adolescente? Se non l’hai fatto quand’era il tempo giusto, parti male, sei destinato al fallimento. Se l’hai fatto già, per quanto tu faccia non sarà mai la stessa cosa. Ti salirà l’amarezza e sarà lei a seppellirti.

Il fuoco.

Se ce l’hai, usalo bene santiddddddio!  [se non ce l’hai… vedi tu]

 

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(610) Verosimiglianza

Il massimo a cui si può ambire, il massimo che ci si può augurare, è una vita il più possibile verosimile. Punto.

Dopo una giornata estenuante, in procinto di buttarmi a letto sperando che l’insonnia mi ignori, m’è venuto in mente ‘sto concetto che sembra un aforisma e che molto probabilmente è il risultato del mio vissuto nelle ultime diciasette vite – tutte debitamente archiviate ma ancora simultaneamente presenti nel mio sub-subconscio (con tutta probabilità).

Sì, a volte stupisco pure me stessa per queste uscite che stanno a metà tra il genio e l’insensatezza – un limbo battezzato: IdiozieSopraffine. Cose come questa mi escono perché in qualche modo sono state pensate e digerite, quindi non posso che ripercorrerle a ritroso finché ne scopro l’origine. Stasera non je la posso fa’, quindi azzardo un’ipotesi tanto per non mancare di coraggio.

Sono quello che faccio e che non faccio. E quello che faccio e non faccio è il risultato di un pensiero che mi nasce, che seguo e che supporto fino a farlo diventare realtà. Mi conviene essere plausibile/credibile/attendibile o il castello di fandonie mi cadrà addosso, seppellendomi, al minimo cedimento strutturale.

Avere l’apparenza di vero non significa bluffare, se è vero che il Vero è condizione puramente soggettiva. L’apparenza verosimile se poggia sul nulla si sgretola. Una verosimiglianza onorevole è un’ambizione non perfezionata che parte da buone intenzioni. Questo basta, secondo me. Basta per gli altri ai miei occhi e basta per me agli occhi degli altri. Deve bastare.

Però, santiddio, se non sei bravo a costruire verosimiglianze solide meriti ti essere seppellito dal tuo stesso inganno. Ognuno ha il guadagno che si merita, o così dovrebbe essere.

Meglio di così non so fare. Ho dato il meglio di me (sigh) tra parole e pause. Verosimilmente lo posso imputare alla stanchezza, ma vi permetto di dubitarne. Questo sì. Sempre.

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