(975) Stimoli

Sono la cosa più difficile da trovare, giorno dopo giorno dopo giorno dopo giorno… appena smetti cadi giù. Depressione cosmica. Immagino abbia a che fare con l’adrenalina, la serotonina, o qualcos’altro che finisce con -ina (cocaina o stricnina? Scherzo… quasi).

Fatto sta che la curiosità a un certo punto si appoggia da qualche parte e se non le dai una scossa lei si assopisce. Non è che dipende da quello che il mondo attorno a te ti butta addosso, volendo lui non smette mai di scuoterti (non si può stare in pace un secondo). E forse proprio per questo, quando siamo stanchi abdichiamo a qualcun altro la voglia di reagire agli stimoli. Passo.

Il che va bene, ma bisognerebbe farlo con un certo criterio. Cosa che negli ultimi tempi io non faccio. Non faccio le cose con quel certo criterio mio solito, le faccio alla vaffa. Non va bene, ma gli stimoli m’arimbarzano. Non ho ancora capito se è perché sono stanca o perché sto diventando vecchia o perché sono scema e mi lascio scivolare le cose addosso come se non ci fosse un domani. Ancora non lo so. So però che sta arrivando l’estate (dicono) e che la temperatura si alzerà vertiginosamente e che la mia voglia di reagire agli stimoli si azzererà istantaneamente. 

Il mondo vivrà l’estate e io no.

Non è una presa di posizione, come alcuni potrebbero pensare, è proprio un passare. Passo. Semplicemente. Senza colpo ferire. Senza rimorsi, senza rimpianti, senza nulla. Passo e basta.

Gli stimoli sono quelle cose che tu raccogli (da ovunque) per farne qualcosa (qualsiasi cosa). Ecco, faccio fatica a considerarli come un tempo.  

C’è qualcosa che non va. Eh. Forse. Ma sai che c’è? 

Passo.

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(974) Arrendevolezza

Parliamone: soltanto per sfinimento o perché sono d’accordo. E basta. Non sono capace di farmi andare bene quello che non mi va bene, me lo si legge in faccia. Così è se vi pare e anche se non vi pare.

Per quanto riguarda lo sfinimento, devo proprio essere esausta per arrendermi all’evidenza. Cioè, non devo proprio avere neppure un grammo di energia rimasta. E qui casca l’asina (me medesima).

Al di là di ogni buon senso io ci credo, ci spero, ci provo. Non mi voglio arrendere all’idea che sia tutto perduto, che non ci sia nulla da fare, che sia tutto qui/lì. Un’ostinata idea di happy-ending-maledetto mi stringe in una morsa dove il sangue al cervello circola poco e malvolentieri e smetto di essere ragionevole. Mi piacerebbe fare quella che si siede e aspetta la sua fine, con dignità, con una certa fatalità tatuata in fronte. Mi piacerebbe. Non sono così. Mi duole, ma bisogna farsene una ragione. Passo.

Quindi la storia del non-facciamoci-illusioni con me non attacca. Io sono quella che pensa: massì, facciamoci ‘ste illusioni che tanto se deve andare male ci va lo stesso e almeno nel frattempo me la sono raccontata bene. Perché non significa che non prenda in considerazione che andrà storta, penso solo che potrebbe anche andare dritta. Voglio dire: 50% di possibilità per uno. Mi sembra onesto.

Evitiamo di dare troppa enfasi al cuore spezzato che ne conseguirebbe, il cuore mi si spezza di continuo per ricomporsi come se niente fosse, pronto per spezzarsi di nuovo. È la prassi, non mi fa alcuna differenza. Ci vuole un enorme dolore per spezzarlo definitivamente, e non sarà una delusione derivante da una delle mie illusioni che se ne è andata in briciole a dargli il colpo letale.

Che sia chiaro, mi arrendo solo per sfinimento o perché mi sono convinta e per me va bene anche così. Non ci sono altre opzioni. Prendere o lasciare.

Click.

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(367) Kryptonite

Per riuscire a sfangarsela nella vita, Superman insegna, bisogna capire il più velocemente possibile qual è la nostra letale kryptonite. Il resto della tua esistenza la trascorrerai a schivare come la peste questo elemento e vivere nel pieno delle tue forze il più a lungo possibile.

La mia kryptonite è: l’ottusità. A ogni scontro con questo stramaledetto componente della natura umana, io perdo. Robe che se fossi almeno un po’ furba non mi ci metterei nemmeno, ma non solo non sono furba, sono anche recidiva. Eppure la riconosco, la annuso da lontano, cerco di aggirarla – assicuro in buonafede che l’intenzione è quella – ma non dura molto. Appena abbasso la guardia… zak! Eccola lì, davanti a me che senza neppure salutare mi molla un diretto sul naso e finisco stesa a terra. Sempre.

L’ottusità, c’è da aggiungere a mia discolpa, sa celarsi bene. Sa vendersi bene. Sa carpire la tua fiducia per sbatterti a terra e piombarti a braccio teso sulla giugulare. Senza respiro si ragiona male e lei lo sa.

L’ottusità permette alla gente che si reputa normale di covare odio profondo fin nelle viscere e sputarlo in faccia alla prima occasione, al primo venuto, al primo segnale di vulnerabilità che intuiscono. E la gente ottusa ha grande intuito e ottima mira, c’è da rendergliene atto.

L’ottusità obnubila la ragione e chi ne è affetto non se ne rende conto perché la sua capacità dialettica, la sua retorica, la sua preparazione culturale sono ottima base per portarti lì dove ti darà il colpo di grazia.

Una sola cosa manca alla persona ottusa: la gentilezza. E una volta che lo hai capito, allora tu puoi essere la kryptonite da cui scappare, quella capace di neutralizzare il piano criminale messo in atto contro la Bellezza e l’Umanità.

Sii Kryptonite, sii gentile.

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(321) Parare

Se pari un colpo, significa che qualcuno te lo ha sferrato. Se lo pari, significa che in un qualche meandro del tuo cervello lo avevi previsto – anche seppur a livello inconscio – e che la tua reazione è stata veloce ed efficace. Se in qualche modo lo mettevi in conto, significa che una parte attiva nella questione ce l’hai. Potevi evitare che il colpo partisse? Nove volte su dieci sì. Si può, stando attenti.

Attento a quello che dico, a quello che faccio, a chi mi accompagno, a chi si avvicina, a chi mi gira intorno, a chi mi porto a casa e via avanti. Attenzione significa presenza, consapevolezza, responsabilità. Una fatica? Certo, lo è. Eppure ci permette di prevedere, prevenire, presagire…

PRE(…) = evitare che le cose si spingano fino al punto da essere costretti a parare il colpo.

Se davanti a me ho un collerico con poco cervello, evito di dire (giusto?) e faccio passi lunghi e ben distanti da lui. Evito di dover, ad un certo punto, parare un colpo che sicuramente arriverà perché è nell’ordine delle cose, perché è così che funziona, perché la dinamica non subirà inceppamenti anche se noi speriamo che lo farà. Non-lo-farà.

Nessuno ha il coraggio di affermarlo a voce alta, ma noi siamo responsabili di noi stessi. Siamo adulti, possiamo prevedere, prevenire, presagire e quindi evitare. Possiamo stare attenti, possiamo gestire meglio la nostra emotività, possiamo imparare a non farci pilotare dal panico e a dar retta alla paura – che è uno stato emotivo sano perché ci mette in allerta e ci permette di agire in modo utile alla nostra sopravvivenza.

Preferiamo pensarci vittime e guardare agli eroi con commozione. Preferiamo dare ad altri il potere e dichiararci vulnerabili. Solo perché prenderci le nostre responsabilità ci spaventa. Ci spaventa ESSERE. Credo che il grottesco ci abbia devastato l’anima, con il nostro permesso ovviamente.

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(153) Parvenza

Soffermarci soltanto un istante in più ci permetterebbe di andare oltre la parvenza. Farlo troppo poco non ci aiuta ad apprezzare tutto quello che non vuol essere evidente, farlo troppo non ti aiuta ad attraversare il mondo con leggerezza. E una certa leggerezza ci vuole per non mollare il vivere. Ci vuole.

Bisognerebbe concederci dei momenti in cui arrendersi e farsi trasportare ignorando la parvenza delle cose, perdersi un po’.

Le scoperte che ci aspettano potrebbero cambiare il corso della nostra vita o almeno dei nostri pensieri – che già solo questo merita il rischio e l’azzardo.

Oscurare allo sguardo impietoso del mondo parte di ciò che la nostra parvenza sa ingannare, sembra l’unico modo per garantirsi la sopravvivenza. Eppure scegliere con chi poter deporre le armi senza temere un colpo infingardo, questo rimane un lusso che ben pochi si possono permettere.

Io posso, grazie al cielo.

 

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