(928) Bambola

Destinate fin da piccole a confrontarci con queste creature che non parlano, non pensano, non fanno nulla se non glielo fai fare tu, che sono pressocché perfette di fattezze e che restano così per sempre. Siamo messe bene, no?

E poi le rivoluzioni sessuali, le rivoluzioni sociali, le rivoluzioni che ci hanno viste in prima linea per accapparrarci diritti che erano già nostri ma che nessun uomo si sarebbe mai sognato di concederci.

E poi, ora, di nuovo bambole. Che se pensano, parlano, e fanno cose che magari non ti aspetti, non vanno bene. Non vengono prese sul serio, vengono trattate con malcelato fastidio. Bambole che dovrebbero essere perfette e non lo sono. Dovrebbero stare lì dove le hai messe e non ci stanno. Noi donne. Tutte.

E non ti sembra sia vero finché non ne paghi le conseguenze, e tutte le donne prima o poi le conseguenze le pagano. In quel momento ti svegli e inizi ad avere paura di pensare, di dire, di fare. Finché non ti stanchi di aver paura e magari inizi a pensare meglio, a dire di più, a fare senza bisogno di chiedere il permesso a nessuno.

Gli sbagli, i sensi di colpa, il ricominciare ostinato, il risbagliare ostinato, la costante domanda: non era meglio rimanere una bambola?

L’unica risposta possibile: no.

Mai.

M

A

I

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(924) Importante

C’è un essere orribile dentro di me che si nutre delle cose importanti. Ho una lista di cose importanti da fare, ce l’ho, ma appena si apre un varco per affrontarle scopro che sono sparite. Ovvio che qualcuno sta remandomi contro. L’orribile mostro appunto. 

La lista di cose importanti che ho da parte ricompare davanti ai miei occhi periodicamente, suggerita dai sensi di colpa per il tempo che passa e per la mia pigrizia. Una volta ero decisamente più attiva, prima che arrivasse l’orribile mostro ovviamente.

Non può essere che io mi sia ridotta ai minimi termini soltanto perché sto invecchiando, voglio dire che ci sono persone ultraottantenni ben più vispe di me. Evidentemente sono state capaci di debellare l’orribile mostro preservando così la loro tenace attività.

Insomma, le cose importanti che devo fare non sono diventate meno importanti con il tempo, sono sempre ugualmente importanti. Certo, non urgenti, ma onorevolmente importanti. L’avevo deciso che erano importanti e quando penso a loro ne sono ancora convinta. Cosa c’è da capire che ancora non ho capito?

Mi dico che l’orribile mostro prima o poi si stancherà e io ricomincerò a fare il mio dovere e che per il momento potrei semplicemente vivermi senza stress ulteriore quella parte di me che si dimentica delle cose importanti da fare.

Importante è che io me lo ricordi che sono importanti. E che continui a nutrire i miei inossidabili sensi di colpa. Importante anche buttare un occhio ogni tanto all’orribile mostro, nel caso si volesse allargare troppo. 

Importante. Già. Importante.

 

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(810) Taglio

Dare un taglio si può. Pensa te… una vita per capire questa regola salvavita, questa quisquiglia, questa piccola idiozia. Una vita. Meglio tardi che mai, si dice no? Ecco, io sempre tardi. Sempre. Tardi.

Vabbé, se considero il fatto da niente che prima di dare un taglio ai capelli devo farmi mesi di training autogeno non è che mi posso stupire della mia incapacità di valutare quest’azione per tutto il resto che mi concerne. Non è proprio segnato nel mio DNA, si tratta di una dimenticanza al momento del concepimento. Rimarchevole n’evvero? Eh.

Quindi la notizia di questi giorni è che ne sono capace pure io. So dare un taglio. E questa è una rivelazione di un certo tenore, specialmente perché mi consideravo una causa persa (in tutto e per tutto), invece sembra non sia così.

In poche parole, anch’io mi posso rompere le palle di una situazione/cosa/persona, anch’io posso decidere che non mi interessa più, anch’io posso pensare che – nonostante tutto e tutti – è mio diritto darci un taglio. Netto, definitivo. Yes I can. Mica poco, no?

Come ci sono arrivata? Semplice, per sfinimento. Perché è l’unico modo che mi permette di bypassare i contraccolpi dei sensi di colpa e fottermene. Perché quando è troppo è troppo e bla bla bla. Lo so, lo so, ma una cosa è sapere e un’altra è mettere in atto, pertanto: è arrivato il momento di passare all’azione.

Sto cercando un’ascia, una di quelle che sanno avere la meglio sui tronchi più coriacei. Ecco, si tratterà di un leggero disboscamento dei terreni che mi circondano, forse non sarà indolore (cosa lo è d’altro canto?), ma me ne farò una ragione.

Fare spazio, questa è la priorità.

Pronti, attenti… via!

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(808) Sottile

Potresti non farci caso, ma ci fai caso. Quindi avresti potuto non farci caso, ma ci hai fatto caso e si sa che quando ci fai caso è la fine. Rimane quel sottile fastidio che, per quanto tu cerchi di distrarti, ti ricorda che lo sai che devi fare qualcosa. Più aspetti a farlo e più il sottile si ispessisce e diventa senso di colpa perché non lo stai facendo. Uno strameledetto cappio al collo.

Ricapitoliamo: sai che devi fare qualcosa, ma qualcos’altro ti impedisce di farlo. Quel qualcos’altro si chiama anch’esso senso-di-colpa. Quindi hai dentro di te due differenti e opposti sensi di colpa: uno perché non fai quello che devi fare (e quindi sei un quaquaraquà) e l’altro perché quando lo farai qualcuno ti odierà.

Sì, perché è chiaro che lo farai, ci metti solo un secolo a deciderti, ma poi lo farai. Perché l’idea di essere un fake ti è insopportabile e con te ci devi vivere, non è mica uno scherzo. Il fatto che qualcuno ti odierà, poi, è un ostacolo alla partenza, ma una volta che hai fatto partire il primo big-domino-rally capisci anche che hai smesso di preoccuparti dell’odio e dell’amore che c’è in ballo. Ti basta sopravvivere agli stramaledetti sensi di colpa. Perfetto, è tutto chiaro, non fa una grinza. Quindi?

Quindi appena il sottile fastidio diventa spesso malessere (e ci siamo quasi), sarai pronto ad agire. Intanto ci pensi, litigando quotidianamente con gli stramaledetti sensi di colpa. Ovvio.

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(805) Ambiente

L’ambiente in cui siamo immersi ci determina. E ci sono miliardi di dettagli che fanno di un ambiente un posto sano o malsano, accogliente o respingente, amico od ostile, talmente tanti che le varianti prodotte proliferano all’ennesima. Troppe da contare, troppe da controllare. Il nostro potere si fa minuscolo quando l’ambiente è così forte da schiacciarci senza neppure un perché valido.

Nessun ambiente al mondo è totalmente protetto, le condizioni possono cambiare improvvisamente e dare il via a una valanga di conseguenze (anche) devastanti. Tutto può succedere, come in un film, o peggio.

Se riuscissimo a essere appena appena onesti con noi stessi, allora ammetteremmo che non ci sentiamo mai al sicuro e che non abbiamo mai pensato (se non da bambini) che il mondo fosse un luogo privo di pericoli. Infatti non lo è. Noi siamo sopravvissuti a numerose apocalissi, i fossili parlan chiaro. E se fossimo davvero onesti, riusciremmo anche ad ammettere che da bambini ci siamo trovati in diverse situazioni dove il male ci ha toccato e ci ha ferito. Se fossimo così coraggiosi da ricordare, ricordare cosa significa essere in balìa del male, allora non penseremmo neppure per un istante che l’ambiente in cui viviamo si possa curare dei bambini, dei ragazzini, degli adolescenti. Non possiamo credere a una bestialità del genere. Il nostro ambiente evoluto se li mangia e se li mastica per bene questi giovani cuori, sono loro le vittime più appetitose e questo – soprattutto – perché noi adulti ci giriamo dall’altra parte.

Diamo la colpa a chi non si cura di loro, ma siamo noi i primi a pretendere che loro siano autonomi e che si guardino le spalle da soli. Una sorta di fai-da-te che ci sollevi da responsabilità e sensi di colpa.

Se un bimbo cresce in un ambiente sano e amoroso non va in cerca dell’inferno. Se l’inferno ce l’ha in casa non fa altro che cercare un inferno che gli assomigli quando è fuori, perché non conosce altro. Se a un bimbo gli insegni cosa significa amare, amare sé stesso e amare gli altri, non si trasformerà in un’arma contro nessuno. Il problema siamo noi, noi che non ci ricordiamo più com’è essere ingenui e fiduciosi, speranzosi e pieni di vita. Non ce lo ricordiamo perché fa male. Per proteggerci dalla nostra perdita, distruggiamo il bene nei cuori dei nostri figli.

Facciamo proprio schifo. Ma schifo tanto.

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(760) Sposa

Non ci ho mai pensato. Non ho mai pensato a me stessa come una possibile sposa. Chiaramente se non c’è pensiero non c’è concretizzazione di nulla. Chiaramente per me non è un vuoto, è esattamente come sono: così.

Non mi sono mai immaginata indaffarata nel cercare il mio vestito da sposa, a fare liste di invitati, assaggi di menu e torte e via di questo passo. Mai e poi mai. I miei pensieri sono sempre stati altrove

Voglio fare un ulteriore passo indietro: non mi sono mai immaginata un Principe Azzurro, una fiaba felice, un idillio amoroso. Mai e poi mai. Ho avuto però passioni, ossessioni e grandi amori, li ho avuti comunque, li ho vissuti comunque.

Non mi sono mai confusa con un’altra Anima, mai pensato di essere la metà della mela di qualcun altro, mai sognato due cuori e una capanna, mai voluto condividere il mio Cornetto Algida con chichessia. Il pensiero che ha queste origini non mi appartiene, può piacere o meno ma rimane così.

L’allarme mi suona di orecchio in orecchio quando si usa l’appartenenza come vincolo di sangue, come promessa del per-sempre. L’Amore non pone veti, non traccia limiti, non lega con corde e non benda gli occhi. Chiamiamolo con altri nomi quel gioco, ci sono molti altri nomi con cui chiamarlo.

Trovare l’anima gemella è il tranello, l’anima gemella è l’inganno. La sua immagine è la menzogna di un malefico incantesimo che ci rende supplichevoli, arrendevoli, vittime. Se scartiamo la tagliola scopriamo la Potenza che senza neppure essere nominata ci trasporta verso un Uomo con la voglia di scoprire com’è il mondo dall’altra parte, dove il femminile è guardato e studiato ma ben poco vissuto per quello che realmente può essere.

Non sono sposa, non lo sarò. Una scelta che non mi ha mai tormentata con dubbi e sensi di colpa scaturiti da ridicoli dictat sociali. Ho amato, amo e amerò. Non ho bisogno d’altro. E se mi chiedete ancora il perché è giusto che sappiate che non ho più intenzione di cercare altre risposte che vi possano compiacere. Ho terminato le scorte di pazienza e anche quelle della compassione. Vi beccate quel che è senza filtri. Perché “Così è (se vi pare)” (cit. Luigi Pirandello).

 

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