(928) Bambola

Destinate fin da piccole a confrontarci con queste creature che non parlano, non pensano, non fanno nulla se non glielo fai fare tu, che sono pressocché perfette di fattezze e che restano così per sempre. Siamo messe bene, no?

E poi le rivoluzioni sessuali, le rivoluzioni sociali, le rivoluzioni che ci hanno viste in prima linea per accapparrarci diritti che erano già nostri ma che nessun uomo si sarebbe mai sognato di concederci.

E poi, ora, di nuovo bambole. Che se pensano, parlano, e fanno cose che magari non ti aspetti, non vanno bene. Non vengono prese sul serio, vengono trattate con malcelato fastidio. Bambole che dovrebbero essere perfette e non lo sono. Dovrebbero stare lì dove le hai messe e non ci stanno. Noi donne. Tutte.

E non ti sembra sia vero finché non ne paghi le conseguenze, e tutte le donne prima o poi le conseguenze le pagano. In quel momento ti svegli e inizi ad avere paura di pensare, di dire, di fare. Finché non ti stanchi di aver paura e magari inizi a pensare meglio, a dire di più, a fare senza bisogno di chiedere il permesso a nessuno.

Gli sbagli, i sensi di colpa, il ricominciare ostinato, il risbagliare ostinato, la costante domanda: non era meglio rimanere una bambola?

L’unica risposta possibile: no.

Mai.

M

A

I

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(857) Ribelle

Il significato da dizionario è: che rifiuta l’obbedienza. Mi sembra riduttivo, mi sembra un impoverimento del concetto che intristisce il mito. Essere ribelli significa saper disobbedire quando il sopruso incombe. Essere ribelli significa saper usare la propria testa per valutare ogni situazione e saper ascoltare le proprie viscere quando stanno urlando no.

NO!

Ecco, a quest’urlo il ribelle si alza, annusa il vento, sguaina la spada, sale la scalinata e tira fendenti a destra e a manca finché fa fuori ogni fellone che ha sotto tiro. Lo fa perché quel no lo scuote fino alle radici e sa che se farà finta di niente una parte di lui morirà. Un ribelle non ha intenzione di morire prima che sia giunta la sua ora e spaccherà il culo a chiunque cerchi si sopraffare la sua libertà. Un ribelle fa così.

Bene, ma non sempre, perché ci sono diversi tipi di ribellione. Per esempio c’è anche quella più quieta, più studiata, più focalizzata sul lungo periodo. Quella implacabile di chi sa che anche a tirare pugni non è detto che non ti capiti  addosso Iron Fist e ciao ciao mondo, quindi decide di darsi al dribblaggio. Quella che manco un’anguilla potrebbe, quella che mi vedi qui e invece lo scarto mi porta là, quello che basta appena appena che mi sottovaluti e non mi prendi più. Ecco quella. 

Una ribellione così pensata e messa in atto non te la manda a dire. Te la ripete a martello finché non ti arrendi all’evidenza. NON-MI-AVRAI. Il messaggio arriva sempre dalle viscere e ha origine sempre da quel NO potente che ti scuote, ma dopo che ti ha attraversato esce esplicitandosi in una costante energia d’avanzamento a stile libero. Una sorta di ariete-maradona che non intende passarti sopra, ma è intenzionato a lasciarti alle sue spalle. Senza pietà.

Ogni tanto un fendente l’ho tirato anch’io, ma mai letale. Sono un’abile dribblatrice, lo sono diventata ovviamente. Ho preso il toro che c’è in me (mi si addice di più) e l’ho fatto diventare un po’ meno kamikaze, un po’ meno ottuso, un po’ più astuto. Sicuramente col tempo è diventato sempre meno vulnerabile e disposto a farsi obbediente quando il sopruso incombe.

E badate bene: il sopruso a incombere ci mette proprio un attimo.

 

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