(810) Taglio

Dare un taglio si può. Pensa te… una vita per capire questa regola salvavita, questa quisquiglia, questa piccola idiozia. Una vita. Meglio tardi che mai, si dice no? Ecco, io sempre tardi. Sempre. Tardi.

Vabbé, se considero il fatto da niente che prima di dare un taglio ai capelli devo farmi mesi di training autogeno non è che mi posso stupire della mia incapacità di valutare quest’azione per tutto il resto che mi concerne. Non è proprio segnato nel mio DNA, si tratta di una dimenticanza al momento del concepimento. Rimarchevole n’evvero? Eh.

Quindi la notizia di questi giorni è che ne sono capace pure io. So dare un taglio. E questa è una rivelazione di un certo tenore, specialmente perché mi consideravo una causa persa (in tutto e per tutto), invece sembra non sia così.

In poche parole, anch’io mi posso rompere le palle di una situazione/cosa/persona, anch’io posso decidere che non mi interessa più, anch’io posso pensare che – nonostante tutto e tutti – è mio diritto darci un taglio. Netto, definitivo. Yes I can. Mica poco, no?

Come ci sono arrivata? Semplice, per sfinimento. Perché è l’unico modo che mi permette di bypassare i contraccolpi dei sensi di colpa e fottermene. Perché quando è troppo è troppo e bla bla bla. Lo so, lo so, ma una cosa è sapere e un’altra è mettere in atto, pertanto: è arrivato il momento di passare all’azione.

Sto cercando un’ascia, una di quelle che sanno avere la meglio sui tronchi più coriacei. Ecco, si tratterà di un leggero disboscamento dei terreni che mi circondano, forse non sarà indolore (cosa lo è d’altro canto?), ma me ne farò una ragione.

Fare spazio, questa è la priorità.

Pronti, attenti… via!

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(785) Angolo

Anche se “nessuno può mettere Baby in un angolo” (cit. Johnny in “Dirty Dancing”), spesso è Baby che si mette in un angolo. Lo fa per diverse ragioni, per lo più per essere lasciata in pace, per poter pensare senza intromissioni, per fare mente locale su dov’è, chi è, cosa deve fare, cosa vuole fare, cosa fa e sciocchezze del genere.

Baby in quell’angolo, quando ci si mette da sola, sta perfettamente. Se ce la costringono, è tutta un’altra storia.

Non reagisce subito, perché comunque da quell’angolo la visuale è interessante. Sempre. Chi ti ci ha messo pensa che te ne resterai lì in silenzio e che il suo problema (ovvero tu) sia archiviato, quindi non bada più a te. Questo Baby lo sa. Prende questa cosa e la sfrutta finché ne ha abbastanza e se ne va. Semplicemente così, ogni sacrosanta volta, con freddezza clinica e sempre con lo stesso risultato: la consapevolezza che spinge alla scelta e quindi all’azione. La strategia di Baby non solo funziona, ma non viene percepita come strategia da nessuno. Nessuno la guarda, in quell’angolo, nessuno la pensa in ascolto, in attesa. Nessuno.

Quando il quadro è stato esaminato a sufficienza, e una certa idea della questione se l’è fatta, Baby si alza e se ne va. Anche se Johnny non arrivasse (e quando mai arriva un Johnny che ti toglie davvero dall’angolo, ma va là!) lei sarebbe pronta ad andarsene a costo di strisciare, di scavare, di spiccare il volo, di saltare come uno stambecco anche se stambecco non è. In qualche modo Baby farà. Lo ha già fatto migliaia di volte e sa come fare, quindi lo farà.

“Nessuno può mettere Baby in un angolo”, vero. E quando Baby è davvero costretta all’angolo non è detto che ci resterà. Sarà lei a decidere “chi, quando, come, dove” (ma questa è Vivian in “Pretty Woman” che è la stessa storia ma senza mambo in mezzo e comunque finisce bene anche lì perché le donne cazzute in un angolo sanno sempre cosa fare e per chi ce le ha messe non è mai indolore, dopo).

Fuck.

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(132) Sogni

Da dove io provengo, i sogni non sono stimati come valore aggiunto della persona, tutt’altro: sono una perdita di tempo. Da dove io sono partita, nessuno mai ti chiederà se e che cosa sogni o come immagini la tua vita futura, di cosa vorresti fosse fatta la tua felicità. Da dove io arrivo, era per tutti così e così abbiamo imparato che deve essere. 

Infatti, non ho mai pensato che qualcuno fosse tenuto a interessarsi ai miei sogni, o alla mia felicità e neppure a me, se devo dirla tutta.

I sogni, questo l’ho sempre saputo senza bisogno che qualcuno me lo spiegasse, non te li porta Babbo Natale, i sogni non ti cadono tra le braccia come manna dal cielo, i sogni non se li può inventare qualcun’altro al posto tuo. Sta a te farlo: se ti va e se sai osare.

Io credo che chi vive senza darsi la possibilità di sognare, togliendosi in un colpo solo la magia della vita da dentro il petto e cadendo inevitabilmente nel baratro del cinismo, lo faccia per ragioni diverse, sì, ma tutte con la stessa origine: la paura.

Paura delle delusioni, del fallimento, di cadere nel ridicolo, di perdere il controllo, di che-ne-so-cosa-ma-dev’essere-terribile.

Dare la colpa agli altri perché i nostri sogni sono morti non serve a nessuno e diventa con il tempo piuttosto patetico. Non riceverai mai le scuse di qualcuno, soltanto perché lo incolpi di averti ucciso i sogni. Se i tuoi sogni muoiono è perché tu hai smesso di sognarli. Il mondo non ne è responsabile perché il mondo non ti deve nulla. Tu devi qualcosa al mondo, alla vita, a guardare per bene la realtà delle cose.

La vita ci è stata donata come possibilità per rendere il mondo migliore. Non è realistico e non è granché utile per nessuno pensare che per il solo fatto che esistiamo il vivere deve esserci facile, comodo e indolore. Il fraintendimento si è palesato, credo, nel cuore della mia generazione ed è la mia generazione quella che ha mollato i propri sogni arrendendosi al cinismo e al disfattismo programmato.

No, nessuno ci ha rubato nulla, siamo noi ad aver permesso a noi stessi di lasciarci andare, assistendo inermi alla morte dei nostri sogni. Incapaci di sognare, ora, insegniamo ai nostri figli a rinunciare ancora prima di averci provato, perché? Perché la vita è dura, la vita è sacrificio, la vita è ostacoli-problemi-dolore. Colpa di chi? Del resto del mondo.

Facile, vero? Dovremmo fermarci un attimo e recuperare noi stessi, quel che rimane dei nostri sogni, e metterci seriamente al lavoro. Abbiamo una vita da sistemare. Subito.

PS: facciamoci pure aiutare dai ragazzi, loro si ricordano ancora cosa significa essere felici soltanto immaginandosi una vita migliore. E smettiamola di rompere loro le scatole quando vagano con la testa tra le nuvole. Stanno costruendosi una bella immagine del mondo per vivere meglio.

immagine presa dal web (come tutte quelle presenti su questo blog)
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