(413) Segni

I segni ci sono e li so leggere. Che io sappia cosa farne è tutto da vedere, ma intanto li vedo e li comprendo. Spesso basta solo aspettare e i segni diventano fatti, cose reali che si possono maneggiare meglio rispetto all’aria fritta di cui spesso mi occupo.

Ogni cosa lascia una traccia, evidente o meno, e sono quelle più leggere e dimesse che mi interessano perché hanno uno sviluppo, una trama, raccontano una storia. O anche più di una. Pensano che nessuno se ne accorga e quindi lavorano in pace, senza essere disturbate, e ricamano il proprio disegno. Ci sono cose che si raccontano molto bene da sé, altre che hanno bisogno di una traduzione. Ci sono cose che nell’omissione pensano di potersi nascondere, ma non è così perché i segni restano. Basta saperli captare.

L’amica che ti tradirà. L’uomo che ti ha già tradita. La collega che sta per tradirti. Una lista infinita di segni, che disegnano il tradimento e lui sta sotto qualsiasi segno di dolore. Ma anche la felicità lascia i suoi segni, magari sul viso di chi la sta provando o l’ha provata o si prepara speranzoso a provarla.

Niente è più importante del saper riconoscere e leggere i segni. Niente.

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(385) Ustione

La pelle ricorda tutto, ogni sgarro che le hai fatto le è rimasto impresso. I segni – cicatrici, smagliature, macchie ecc. – rimarranno con te per sempre per ricordarti quanto sei stato idiota in un dato momento della tua misera vita. Un modo simpatico per darti una svegliata e farti usare il cervello – cosa non troppo ovvia, evidentemente.

Mi sono ustionata durante una lunga giornata al mare, il mare di luglio, senza ombrellone e con la crema solare sbagliata (a dirla tutta l’avevo scambiata con l’autoabbronzate, non serve aggiungere altro). La mia pelle da quel momento rifiuta il sole, me lo urla facendomi salire la febbre.

Questa cosa super irritante me la devo tenere assieme alle conseguenze del caso, nonostante io ami a dismisura il mare. Racconto questa cosa perché è la più raccontabile, ho fatto un discreto numero di idiozie ben peggiori di questa e le conseguenze me le gestisco meno bene. Questo per dire che con il senno di poi avrei potuto benissimo evitarmi sofferenze e fastidi se al momento opportuno avessi usato il buonsenso. Mi sembrava poco importante, mi sembrava che non ci sarebbero stati strascichi e che tutto si sarebbe sistemato con poco.

L’idiozia è congenita, non si cura, ma la cosa che mi rode è che persone ben più idiote di me riescano a gestirsi le conseguenze decisamente meglio di me. Lo trovo ingiusto, ecco. Volevo soltanto dirlo: è profondamente ingiusto.

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(374) Tattoo

Farsi attraversare dal dolore non perché accidentale – e quindi inevitabile – ma perché volontario. Un dolore che vuoi, che ti sei cercato, si assorbe con una rapidità impressionante. Come se non dovesse lasciare tracce, anche se la lascia, anche se la traccia è più visibile delle altre, anche se la traccia ti ha cambiato – inevitabilmente.

La cosa più insopportabile è cadere dentro un dolore che non ti immaginavi volesse proprio te. Ti viene da chiedergli: ma che cosa ti ho fatto? Perché io?

Ogni tanto l’occhio mi cade sui tatuaggi che ormai sono la mia pelle da tanto tempo e non ricordo il dolore, ricordo il perché del dolore. Ricordo il perché di quei segni, ricordo il come e il quando. Di solito il dolore che ti arriva all’improvviso non si porta appresso un motivo e se il motivo lo trovi a posteriori è soltanto per giustificarlo, per renderlo meno inutile.

L’inutilità dei segni che il dolore ti lascia – e del dolore stesso – è un’altra cosa insopportabile. Si può passare tutta una vita a cercare i motivi dei segni che non volevi, che non ti sei cercato, che non vorresti e che non augureresti a nessuno, senza trovarli.

Oggi per me un nuovo tatuaggio che, anziché un dolore, segna un sollievo. Quasi una rinascita, anzi migliore perché non poggia sulle ceneri ma è radicata alla terra con solida tenacia. Tutto questo di certo non ha senso per il resto del mondo, e non mi dispiace. Dieci anni sono abbastanza per chiunque, dieci anni possono bastare per altre dieci vite. Capire il dolore non è affatto necessario, spesso è meglio trovare il modo di farlo scivolare via. Bisognerebbe saperlo fare, ma io non ne sono capace. Di questo mi dispiace. Davvero.

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(300) Profumo

Ogni tanto mi ricompare sotto il naso, come se non fossero passati 35 anni, il profumo che usava la mia nonna. Un misto di borotalco e di rosa. Altre volte il profumo del cibo che mi cucinava e ne posso sentire ancora il sapore.

Ogni tanto rieccolo il profumo del Mare del Nord e quello delle Highlands e quello del Tay River, e chiudo gli occhi e sono di nuovo in Scozia, di nuovo immersa in quella terra che mi faceva stare bene.

Ogni tanto vengo colpita con un pugno allo stomaco dal profumo di qualcuno che ho perso e che mi manca.

Il profumo delle persone e delle cose mi rimane nella carne e non c’è verso di farlo andare via. Non si può cancellare come fai con i segni della matita su un foglio, sono disegni radicati per sempre.

E certe volte fanno bene, altre fanno male. Certe volte bene e altre male. Bene e male, mescolati con nostalgia e struggimento. Alla fine della storia, credo di essere fatta di profumi più che di parole, e con questo ho detto tutto – almeno per oggi.

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(188) Volto

Sinonimi di volto sono anche: animo, carattere, indole, natura. La dice lunga, vero?

Sono affascinata dai volti umani, leggerli è diventata un’abitudine intrigante. Funziona soprattutto con le persone che non conosco, in questo modo non vengo influenzata da ciò che penso di loro o da ciò che so di loro.

C’è una sorta di magia che lega il nostro mondo interiore al nostro volto. Se stiamo male i segni possono alterare non solo la nostra espressione, ma anche le sue stesse fattezze. La felicità fa del nostro volto una tela su cui posare sberluccicanti cristalli che lo illuminano come una passata di glitter.

Se è vero (e lo è) che il volto si modella assecondando il sentire, l’odio ti sfigura i lineamenti  mentre l’amore abbraccia i cambiamenti del tempo e solleva il peso degli eventi.

Il volto, la voce, gli occhi, le mani. Siamo biblioteche affascinanti, e pressocché infinite, in movimento perpetuo. Quanta ricchezza ci portiamo addosso senza neppure accorgercene!

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(54) Geroglifici

Tutto sta nel trovare il codice d’entrata e poi mettersi lì a tradurre tutto. Pezzo per pezzo, parola per parola. Non solo: azioni, pensieri non detti, incontri, addii, chiusure, apertura, inizi, fini. Ogni singolo dettaglio. Siamo esseri antichi, e questo è un fardello che dovremmo portare con più leggerezza perché è un valore aggiunto più che un peso.

Se lo prendi come esercizio quotidiano, prima o poi, vedrai quei segni indecifrabili che compongono la geografia della tua esistenza assumere un significato.

Non è detto che il significato ti piaccia. In realtà, non è tenuto a farti piacere. Lui se ne frega, è più forte di tutto, anche del tuo giudizio. Sicuramente più forte di ogni fraintendimento, tanto nonostante te al dunque ci arriva.

Questi geroglifici che ci sostengono come una ragnatela, noi siamo il ragno, sono affascinanti. Lo credo davvero. Sono segni che riconosci, anche se spesso lo neghi, e che alla fine hanno la meglio e ti incantano.

Ho spesso davanti a me questo papiro, dove i geroglifici, che ormai conosco perché me li rigiro dentro da molto molto tempo, mi parlano e mi spiegano e mi incantano.

Oggi ne vado fiera.

b__

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