(1049) Unica

Non ho mai avuto l’amichetta immaginaria, anche perché non ne avevo bisogno visto che vivevo in un paesino dove c’erano un mucchio di bambini di tutte le età e restare soli diventava pressocché impossibile.

Ecco, a dirla tutta, riuscivo a ritirarmi in solitudine, sparivo per un po’ e lì – ovunque fosse – mi parlavo. No, ripeto: non avevo un’amica/un amico immaginaria/o, ero ben conscia delle storie che mi raccontavo e di ciò che facevo succedere. Potevo gestire i dialoghi esattamente come volevo io: il botta e risposta non andava mai a perdersi, ci si capiva. Era piuttosto soddisfacente.

Ora, pure se sono cresciuta e invecchiata, tendo a farlo ancora. Mi faccio dei gran discorsi e mi immagino dialoghi frizzanti e ritmati dove succede di tutto e tutto quello che succede lo decido io. È ancora piuttosto soddisfacente, bisogna dirlo.

Non parlo mai di politica né di religione, so bene quello che penso di entrambi gli argomenti, e non ho mai voluto scrivere di politica né di religione qui dentro. Oggi sono stata sopraffatta dagli avvenimenti di queste settimane: la Siberia che brucia, le centrali nucleari che scoppiano, le persone che muoiono in mare, le bufere che si abbattono random in tutta la penisola, il confino dei bimbi negli Stati Uniti, le proteste sacrosante a Hong Kong, il nostro parlamento che è diventato un circo… tutto insieme è oggettivamente troppo, ammettiamolo.

E non è che non ne parlo perché voglio sempre avere ragione, non ne parlo perché sono veramente senza parole. Provo un profondo scoramento, una vergogna senza pari. Vorrei succedesse qualcosa di buono, buono per tutti. Vorrei svegliarmi e trovare un mondo umano diverso, migliore. Vorrei che tutta questa merda fosse inghiottita da un buco nero e che si rimanesse qui il numero giusto che è quello delle persone perbene. Ecco.

Sono infantile, me ne rendo conto, ma i discorsi intelligenti li sanno fare gli altri, io qui dico soltanto quello che mi passa per la testa e senza che questo conti qualcosa per nessuno e, forse, neppure per me (che non sono unica).

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(777) Febbre

Ogni tanto mi capita. Siccome non mi fermo mai, capita che il mio corpo mi dica stop. Stavolta è arrivata la febbre, che è una vecchia amica che non vedevo da tempo. Ogni volta che lei arriva prende il mio pseudo equilibrio emotivo e lo butta nel cesso. In un istante più niente.

E allora mi commuovo ascoltando una canzone dei Bee Hive (no comment) o ricordo tutti gli episodi più idioti della mia vita per farmi pesare il tempo che passa o, ancora peggio, ricomincio con la solfa che non valgo a niente e sono un essere da buttare.

Questo fa la febbre con me. Mi ricorda l’umiltà.

Ora, non è che ‘sta cosa mi faccia proprio piacere, solo che una volta che mi ci trovo in mezzo non riesco a difendermi. La debolezza devasta ogni grammo guerriero che ho in corpo e si esplicita una sorta di Caporetto diffusa (corpo-mente-spirito). Insomma, una schifezza.

Sto comunque scrivendo, ciò significa non solo che sono ancora viva, ma che non mi si sono bollite tutte le sinapsi… è già qualcosa. Vuol dire anche che la prima cosa che mi viene voglia di fare, dopo la disfatta totale, è scrivere. Sarebbe ridicolo, se non si trattasse di me – sono solita prendere molto sul serio tutto ciò che mi riguarda (altrimenti non avrei aperto questo diario, eh!) – e io alla fine dei conti inizio da 0 e arrivo fino a 10, non fino a 100.

La vecchia amica si tratterrà ancora qualche ora, penso, sto cercando di convincerla che è stato bello rivederla, ma che le cose belle finiscono presto e che la prossima volta potrebbe soltanto mandarmi un’email che già sarebbe sufficiente. Oltre a questo discorso – interessante ma fino a un certo punto – la sto stordendo con la tachipirina e spero che sappia essere più seducente delle mie parole. Non è detto.

Facendo due calcoli, neppure 24h di febbre e già mi sembra di aver perso un anno di vita. Sono incurabile, lo so.

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(765) Assetto

Ieri sera una cara cara amica mi ha mandato un messaggio del tutto inaspettato e bellissimo. Un dono caduto dal cielo. Non immaginavo mi vedesse in quel modo attraverso i suoi splendidi occhi verdi. Mi ha fatta sentire apprezzata, mi ha commossa profondamente. Quando l’affetto arriva da una donna il valore raddoppia perché non ci sono dinamiche di rivalità o di sottile competizione. Una condizione assolutamente rara e preziosa. Sono andata a dormire con il cuore felice, tutto qui. Mica è poco, giusto?

E anche questa mia giornata è finita e devo dire che è finita bene nonostante sia stata attraversata da un piccolo shock che manco sto a raccontare perché mi vengono i brividi. La questione principale è, e rimane, che ho ripreso il mio assetto in normal position e sono grata al cielo (e alla mia oculista).

Ripensando a tutto, anche a quelle mille cose che non sto a dire perché non hanno grande rilevanza se prese singolarmente, mi sento come se fossi passata sotto un rullo compressore e non tanto fisicamente quanto emotivamente. Che io poi riesca a fare come se nulla fosse è soltanto perché vado avanti finché non crollo sfinita a letto.

Lo so, non ci avrete capito un bel niente, ma è proprio questo il punto: credo sia sacrosanto non capirci un bel niente mentre si vive. Le cose le si capiscono – se siamo fortunati – sempre un po’ dopo e forse è il nostro modo per andare avanti senza farci prendere troppo dal panico. Volevo solo arrivare a questo piccolo punto d’origine dove il caso è sempre Signore inarrivabile: siamo delicati e siamo immersi per tutto il tempo in un dannato frullatore che va a velocità 5 (almeno). Cosa possiamo pretendere da noi stessi se non la mera sopravvivenza?

Eh. Ci sto appunto pensando.

‘notte.

 

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(413) Segni

I segni ci sono e li so leggere. Che io sappia cosa farne è tutto da vedere, ma intanto li vedo e li comprendo. Spesso basta solo aspettare e i segni diventano fatti, cose reali che si possono maneggiare meglio rispetto all’aria fritta di cui spesso mi occupo.

Ogni cosa lascia una traccia, evidente o meno, e sono quelle più leggere e dimesse che mi interessano perché hanno uno sviluppo, una trama, raccontano una storia. O anche più di una. Pensano che nessuno se ne accorga e quindi lavorano in pace, senza essere disturbate, e ricamano il proprio disegno. Ci sono cose che si raccontano molto bene da sé, altre che hanno bisogno di una traduzione. Ci sono cose che nell’omissione pensano di potersi nascondere, ma non è così perché i segni restano. Basta saperli captare.

L’amica che ti tradirà. L’uomo che ti ha già tradita. La collega che sta per tradirti. Una lista infinita di segni, che disegnano il tradimento e lui sta sotto qualsiasi segno di dolore. Ma anche la felicità lascia i suoi segni, magari sul viso di chi la sta provando o l’ha provata o si prepara speranzoso a provarla.

Niente è più importante del saper riconoscere e leggere i segni. Niente.

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