(790) Vicolo

Non tutti i vicoli sono ciechi. Non tutti i vicoli ciechi lo sono sul serio. In tutti i vicoli ciechi, comunque, si può fare inversione di marcia per uscirne. 

I vicoli servono a collegare una strada principale con una secondaria, o due secondarie, o due principali, insomma… sono un collegamento. Sono una scorciatoia, spesso. Tagli passando da lì per arrivare là. Seguendo questa logica posso affermare serenamente che non ho fatto altro che passare da un vicolo all’altro senza mai arrivare alla strada principale, a volte sono incappata in una secondaria, ma non è durata mai troppo. Che ridere.

Devo dire che per certi versi i vicoli fanno meno paura, anche se in certi momenti sanno essere bui e minacciosi e ti tremano le gambe ad attraversarli. Te ne accorgi, però, sempre quando ti ci trovi dentro, in mezzo, e via di bestemmie. Ho quasi l’impressione che a forza di conoscere l’ambiente io mi sia un attimo adagiata. Insomma, so come ci si muove tra i vicoli e rimanerci dentro non mi sembra così male. Forse mi sbaglio. Forse me la sto raccontando perché è l’unico modo per ignorare la paura di ritrovarmi allo scoperto, alla luce.

Forse.

Certo che dovrei smetterla di pensare. Anziché alleggerirmi le cose sembra che ogni volta che m’immergo nelle mie miserie queste siano le uniche a contare davvero qualcosa. Il buio di questo vicolo non mi fa bene. Per niente.

 

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(539) Osanna

osanna /o’zan:a/ [dal lat. tardo hosanna, gr. ōsanná, adattam. dell’ebr. hōs-hī’ah-nnā “salva!”]. – ■ interiez. (relig.) [voce ebraica di acclamazione e di preghiera, passata nella liturgia cristiana] ≈ alleluia. ■ s. m., invar. [spec. al plur., grido di esultanza e di esaltazione: gli o.della folla] ≈ evviva, urrà, viva. ‖ acclamazione, giubilo. ↔ abbasso. ‖ contestazione, disapprovazione. ⇓ fischio, pernacchia.

Mi piaceva fare le prove con il coro della chiesa del mio paese quando ero ragazzina. Facevo finta di cantare, ma mi piaceva stare lì. Per inciso: io amo cantare, ma in quel coro facevo finta di cantare. Perché? Semplice: le altre voci mi entravano nella testa come una siringata di adrenalina in pieno petto e la mia voce mi scompariva dentro. Temendo di stonare e fare brutta figura mimavo il canto senza emettere suono. L’ho fatto per anni, nessuno se n’è mai curato.

Le cose che mi infastidiscono solitamente me le gestisco così. So che è assurdo, ma raramente mi impunto per far finire il fastidio. Me lo gestisco come posso.

Che io ancora non abbia sbroccato mollando un pugno sul naso a qualcuno ha dell’incredibile, me ne rendo conto. Conscia di questa mia condizione borderline qualche tempo fa decisi di iniziare a far presente al mio prossimo che NO non mi va tutto bene e NO non ho più intenzione di sopportare/tollerare cose che superano la mia soglia di sopportazione/tollerabilità. Così ho iniziato a fare cose e dire cose che non ho mai fatto/detto e le persone hanno iniziato a reagire. Prima lo stupore, poi il contrattacco con dimostrazione palese di un sentimento di offesa profonda e poi l’affermazione della propria posizione. Questo in generale. In alcuni casi, la reazione ha stupito me per il passo indietro e per le scuse che mi sono state offerte senza per altro averle pretese.

In altre parole: ho smesso di fingere di cantare e mi sono unita al coro. Primo step nella giusta direzione.

In questi ultimi mesi, però, ho dovuto fare un ulteriore passo per una presa di posizione più decisa. Ho iniziato a cantare con forza, per farmi sentire. Dopo il putiferio iniziale, durato qualche mese, le cose si stanno sistemando. Nel senso che si stanno sistemando a mio favore. Niente di eclatante, piccoli spostamenti, ma importanti.

No, non dico che sia finita qui, anzi. Mi aspetto il colpo di coda, ovvio, ma per il momento posso cantare a squarciagola il mio Osanna! senza temere di stonare.

No, sembra cosa da nulla, ma è cosa da far tremare le ginocchia. Fidatevi. Provate.

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(487) Onore

Come molte parole contenitori di importanti, se non fondamentali, valori umani, anche “onore” è stata depredata e ridotta a una cosa da nulla o addirittura una cosa sporca, cosa di CasaNostra. Spaventoso. Se svuoti le parole migliori del loro significato, svuoti l’anima dell’uomo che trova nelle parole la traduzione del proprio sentire.

Credo fortemente nel decoro della persona, che è onore, nella dignità, che è anch’esso onore. Sono sinonimi, i sinonimi possono aiutarci a riportare le cose nella giusta prospettiva ecco perché mi piacciono.

A un certo punto della propria crescita personale si inizia ad avere un’idea – dapprima abbozzata e poi sempre più precisa – del tipo di persona che si vuol diventare. Non sto parlando di che lavoro fare, di chi vuoi sposare (se ti vuoi sposare), di quanti figli vuoi (se li vuoi dei figli, mica è obbligatorio) e via di questo passo, sto parlando di una questione intima, di una decisione che riguarda solo te e che dal momento che la inquadri bene e la indossi, tu sai se le stai rendendo onore oppure no. Nessuno può giudicarti meglio di te stesso, in tutto quello che fai e che pensi. Nessuno può. Se tu te lo eviti, allora significa che la persona che hai deciso di diventare è una persona che poco lotta, poco cresce, poco sceglie liberamente e poco vale.

Sono contenta di essere cresciuta in una famiglia dove mi si sono palesate per bene le diverse conseguenze di ogni scelta: ho conosciuto chi ha saputo essere dignitoso e chi no. Ho imparato sia dall’uno che dall’altro, ho deciso con i modelli davanti agli occhi a chi volevo assomigliare. Ho scelto bene, ma non ho scelto la via più facile. Cos’ha significato per me? Tutto. Ogni passo è stato segnato da quella mia scelta, ogni passo fino a ora. Non me ne sono mai pentita, mai.

In questi giorni ho fatto un altro passo, segnato più fortemente che mai da quella mia scelta originaria. I dubbi che prima si accompagnavano a me per mettermi alla gogna, ridendo dei miei mancati goals, si sono zittiti. Per questa volta, ho agito senza tremare, senza pensare che forse stavo sbagliando. Forse perché mi sono stancata di guardare a me stessa come se fossi sempre sbagliata. O forse, prima o poi, anche i dubbi si prendono una vacanza.

Non lo so. So che per me un no è sempre un no, un sì è sempre un sì, ed entrambi hanno i loro solidi perché. Adesso come adesso, i miei perché sono indistruttibili.

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(460) Imponderabile

Cercherò di prenderlo in mano, l’Imponderabile, e farne buon uso. Questo è il mio proposito per il 2018, che è anno nuovo ma non del tutto perché non mi posso inventare dal nulla un’altra me e questo toglierà all’Imponderabile un bel quintale di fantasia.

Un po’ mi dispiace, meriterebbe di più, ma non so che farci, mi è impossibile smantellare antichi inghippi mentali e brutte abitudini che nei miei oltre quarant’anni di vita si sono sistemati qui e là facendo massa, spingendomi a terra.

Se riuscissi a posare l’Imponderabile sul palmo della mia mano per rimirarlo in santa pace mi farebbe di sicuro meno paura. Sarebbe una conoscenza ravvicinata capace di sciogliere almeno il pregiudizio. Certo, prima dovrei chiederglielo, sarebbe buona educazione e lui potrebbe anche rifiutare, mica lo si può obbligare. Dovrei essere pronta anche a ricevere un rifiuto, sperando sia un rifiuto gentile perché i no secchi mi irritano.

Lo penso un gentiluomo, l’Imponderabile, vestito bene, profumato e sbarbato. Lo immagino elegante di modi e delicato nel farsi presente, anche quando butta male. Credo lui debba comunque seguire direttive da un Altrove difficile da individuare, molto probabilmente fare la parte del bastardo non gli piace, ma deve farselo andare bene perché sa che quello è il suo ruolo – che si tratti di un piccolo miracolo o un grande disastro non fa alcuna differenza.

Mi piacerebbe che la sua comparsa fosse, di tanto in tanto, accompagnata a una breve spiegazione, perché anche le cose brutte si possono digerire meglio se capisci le motivazioni e non sono più bastonate che piovono dall’alto con violenza ingiustificata. Le cose buone non hanno bisogno di spiegazioni, la bontà copre ogni vuoto e questo fa parte del gioco.

Non sono abituata a un Imponderabile troppo benevolo, questo è un cruccio perché sembra quasi di non meritarmelo. Forse per questo gli ho imposto una certa distanza, una certa freddezza, perché già so che quando mi si presenta alla porta non è proprio una festa – neppure quando lo sembra. Temo sarà questo lo scoglio più ostico da superare: le ferite che mai si cicatrizzano e che lasciano il sospetto attorno a fare da barriera respingente.

Ormai, però, l’ho scritto: cercherò di accogliere sul palmo della mia mano l’Imponderabile per tutto il 2018. Magari la mano mi tremerà, ma farò in modo di non stringerla a pugno perché c’è sempre una possibilità che il gentiluomo in questione possa rendermi la vita migliore. Chissà.

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(424) Bersaglio

Non è bello essere il bersaglio, chi ci è passato lo sa. Lo dovrebbero sapere tutti com’è, così a nessuno verrebbe in mente di scegliersi un bersaglio per sfogare i propri istinti bestiali. Il colpire per fare male, per far morire  – fosse anche solamente l’amor proprio. La crudeltà, la fogna dei sentimenti.

Si fa leva sulla propria presunta forza, come se questa fosse una certezza, ma si sa che di certo a ‘sto mondo c’è ben poco. La supponenza di non essere nel bisogno e per questo essere superiore, come se il bisogno fosse una conseguenza di una mancanza di capacità o intelligenza, ma si sa che come la fortuna non c’è niente di più cieco del bisogno.

Possiamo anche far finta di nulla, pensarci invincibili, ripeterci che il nostro bersaglio se la sia meritata e che prima o poi doveva pur capitare che ci fosse qualcuno capace di fargliela vedere. Possiamo, ma si sa che certe coperte son troppo corte e che il sangue è difficile da lavare via.

Essere un bersaglio ti fa correre come una lepre, anche se le gambe ti tremano, anche se il cuore ti scoppia. E ti fa pregare, anche se non hai mai creduto in nessun Dio. Essere un bersaglio ti fa tirare fuori la tua fame di vita, ti scopre la forza che mai avresti sospettato di avere, ti acuisce i sensi e ti fa pensare in fretta. Soluzioni che arrivano e ti sembrano la salvezza, e anche se non lo sono a quel punto va bene lo stesso, sempre meglio che niente.

Essere un bersaglio, se sopravvivi, ti rende più duro e pronto a quel che sarà. Ti giuri che non capiterà di nuovo e sei pronto a tutto pur di mantenere la promessa. Chi gioca a tiro a segno non si aspetta una reazione. E fa male.

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(320) Terra

Un pianeta piccolo, il nostro, eppure enorme. Enorme per quante meraviglie contiene, impossibile non innamorarsene o smettere di esserne innamorati. Vero?

Gli Esseri Umani hanno saputo creare e prosperare, usando tutto quello che il pianeta aveva a disposizione. Impossibile non essergliene grati, impossibile non prendersene cura, impossibile non fermarsi a deporre le armi quando si è decisamente andati oltre. Vero?

Ora ci sono due piccoli esseri vermicefali velenosi che scuotono la Terra come se fosse un salvadanaio da cui estrarre monete risparmiate. La Terra che ci ha riempito le mani con la sua incredibile ricchezza ci guarda attonita: “Ma come? Non vi basta? Tutto quello che c’è non vi basta?”.

Noi alziamo le spalle come se non ci riguardasse. La Terra trema, frana, s’indigna e noi ci lamentiamo per quanto la troviamo crudele. I due vermicefali ridono. Noi andiamo in vacanza. Se fossi la Terra mi sbarazzerei dell’intera Umanità. Subito.

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