(991) Unicorno

Dovremmo averne tutti uno. Da tenere segreto, da tirar fuori quando le cose non vanno proprio bene. Dai, trasferiamoci tutti a Fantasilandia ed è fatta!

In questa nostra pesante realtà, un Unicorno potrebbe essere la capacità di auto-sostenerci con spunti creativi che riescano a risolvere le nostre miserie. Fattibile ma impegnativo. Bisogna non perdersi d’animo e mantenere un certo livello di fede nel proprio potere. Se ce la fai sei il/la King.

In mitologia, la creatura magica è uno splendido cavallo bianco con un corno in mezzo alla fronte che non si fa avvicinare se non da un cuore puro. Avrebbe comunque vita dura qui da noi. Forse lo sa ed è per questo che ci sta alla larga. 

A me basterebbe vederlo da lontano, o con la coda dell’occhio, così tanto per saziarmi un po’ della sua bellezza. C’è una sorta di consolazione nel riuscire a immaginarsi meritevoli, immaginarsi capaci di avvicinare una creatura talmente potente da non guardare a sé stessa come proprietà d’altri. Sapersi appartenere e basta.

Certe distanze siderali affaticano la percezione, raramente intercettano quel calore che rincuora. Queste distanze pagano il dazio ogni volta che pensano di poter varcare certi confini per saldare vecchi conti e mettersi in pari.

Ci sono Unicorni che ci galoppano attorno, credo, e noi non ce ne accorgiamo perché siamo confinati in terre desolate dove sappiamo soltanto rotolare, senza mai trovare pace.

Cos’è poi la purezza se non la resa al bene più grande?

 

 

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(959) Fluttuare

Fluttuare leggera come un cavalluccio marino, una specie di danza che scivola e si confonde con l’ambiente. Così mi piacerebbe vivere. Mi ritrovo, invece, a muovermi a balzi e frenate, accelerate e virate, come stessi sugli autoscontri. Tutto perfetto.

È soprattutto l’umore che mi disturba, che non si riesce mai a stabilizzarlo per più di mezz’ora. Cioè: parto bene, col sorriso, poi per un qualcosa o un qualcuno o soltanto un pensiero… track, crolla tutto. Positività addio, benvenuto dramma. In loop.

Ho provato a tenere conto delle cose che mi fanno sorridere e sono tante, stesso vale per le cose che mi fanno incazzare (una bella lista, lo ammetto), e poi ho provato a contare tutti i cambiamenti emotivi che durante mezza giornata (manco una intera, soltanto mezza) si succedono dentro di me. Impressionante. So benissimo che con un po’ d’impegno si può curare quasi tutto, ma il punto è un altro: da dove iniziare? Da quello che provo? O dai motivi per cui lo provo? O dal fatto stesso che provo in questo modo anziché un altro? O dal solo dato che “provo” e che dovrei smetterla una volta per tutte?.

Si attaccano i pensieri a quello che sentiamo dentro. Non è solo questione di stomaco che si chiude, è che ci sono dieci pensieri da un lato e dieci dall’altro che spingendo lo chiudono. Tu dovresti parlarci con ognuno di questi venti pensieri e ridurli alla ragione: fa niente, lascia stare, vai avanti, stai tranquillo, fatti una dormita, rimanda a domani… insomma, terapia bella e buona. Personalizzata, o non serve a niente.

Una fatica disumana. Ignorare tutto viene più facile e forse viene meglio.

Siamo ormai assuefatti da decenni di psicologia e affini, sembra davvero che una volta che apri il tuo benedetto/maledetto subconscio per far pulizia, tiri fuori tutto, spolveri, sistemi ordinatamente tutte le tue miserie, una volta che lo richiudi sei come nuovo. Hai fatto l’inventario, sei a posto. E ti affidi a qualcuno che ti sviscera miseria per miseria e ci mette del suo, il suo carico di miseria, che si va a confondere con il tuo. Tutto questo sembra che aiuti. Non so chi di preciso, non voglio neppure saperlo. Fatto sta che quando si è in balìa di una mente e di un corpo che ti parlano no-stop e che ti danno anche messaggi discordanti, magari avresti voglia di avere tra le mani una mappa o di far partire il gps. Funziona fino alla prima rotatoria, poi le indicazioni si confondono e devi votarti ai santi o al tuo senso dell’orientamento.

Al momento il mio funziona discretamente. Sperando che le batterie reggano. Ma di fluttuare elegantemente non c’è proprio verso. Mai una gioia.

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(790) Vicolo

Non tutti i vicoli sono ciechi. Non tutti i vicoli ciechi lo sono sul serio. In tutti i vicoli ciechi, comunque, si può fare inversione di marcia per uscirne. 

I vicoli servono a collegare una strada principale con una secondaria, o due secondarie, o due principali, insomma… sono un collegamento. Sono una scorciatoia, spesso. Tagli passando da lì per arrivare là. Seguendo questa logica posso affermare serenamente che non ho fatto altro che passare da un vicolo all’altro senza mai arrivare alla strada principale, a volte sono incappata in una secondaria, ma non è durata mai troppo. Che ridere.

Devo dire che per certi versi i vicoli fanno meno paura, anche se in certi momenti sanno essere bui e minacciosi e ti tremano le gambe ad attraversarli. Te ne accorgi, però, sempre quando ti ci trovi dentro, in mezzo, e via di bestemmie. Ho quasi l’impressione che a forza di conoscere l’ambiente io mi sia un attimo adagiata. Insomma, so come ci si muove tra i vicoli e rimanerci dentro non mi sembra così male. Forse mi sbaglio. Forse me la sto raccontando perché è l’unico modo per ignorare la paura di ritrovarmi allo scoperto, alla luce.

Forse.

Certo che dovrei smetterla di pensare. Anziché alleggerirmi le cose sembra che ogni volta che m’immergo nelle mie miserie queste siano le uniche a contare davvero qualcosa. Il buio di questo vicolo non mi fa bene. Per niente.

 

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