(460) Imponderabile

Cercherò di prenderlo in mano, l’Imponderabile, e farne buon uso. Questo è il mio proposito per il 2018, che è anno nuovo ma non del tutto perché non mi posso inventare dal nulla un’altra me e questo toglierà all’Imponderabile un bel quintale di fantasia.

Un po’ mi dispiace, meriterebbe di più, ma non so che farci, mi è impossibile smantellare antichi inghippi mentali e brutte abitudini che nei miei oltre quarant’anni di vita si sono sistemati qui e là facendo massa, spingendomi a terra.

Se riuscissi a posare l’Imponderabile sul palmo della mia mano per rimirarlo in santa pace mi farebbe di sicuro meno paura. Sarebbe una conoscenza ravvicinata capace di sciogliere almeno il pregiudizio. Certo, prima dovrei chiederglielo, sarebbe buona educazione e lui potrebbe anche rifiutare, mica lo si può obbligare. Dovrei essere pronta anche a ricevere un rifiuto, sperando sia un rifiuto gentile perché i no secchi mi irritano.

Lo penso un gentiluomo, l’Imponderabile, vestito bene, profumato e sbarbato. Lo immagino elegante di modi e delicato nel farsi presente, anche quando butta male. Credo lui debba comunque seguire direttive da un Altrove difficile da individuare, molto probabilmente fare la parte del bastardo non gli piace, ma deve farselo andare bene perché sa che quello è il suo ruolo – che si tratti di un piccolo miracolo o un grande disastro non fa alcuna differenza.

Mi piacerebbe che la sua comparsa fosse, di tanto in tanto, accompagnata a una breve spiegazione, perché anche le cose brutte si possono digerire meglio se capisci le motivazioni e non sono più bastonate che piovono dall’alto con violenza ingiustificata. Le cose buone non hanno bisogno di spiegazioni, la bontà copre ogni vuoto e questo fa parte del gioco.

Non sono abituata a un Imponderabile troppo benevolo, questo è un cruccio perché sembra quasi di non meritarmelo. Forse per questo gli ho imposto una certa distanza, una certa freddezza, perché già so che quando mi si presenta alla porta non è proprio una festa – neppure quando lo sembra. Temo sarà questo lo scoglio più ostico da superare: le ferite che mai si cicatrizzano e che lasciano il sospetto attorno a fare da barriera respingente.

Ormai, però, l’ho scritto: cercherò di accogliere sul palmo della mia mano l’Imponderabile per tutto il 2018. Magari la mano mi tremerà, ma farò in modo di non stringerla a pugno perché c’è sempre una possibilità che il gentiluomo in questione possa rendermi la vita migliore. Chissà.

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(434) Imprevisto

Senza peso, senza misura, senza sostanza. Senza.

Certe volte agire “senza” causa danni e sofferenze, altre volte permette il fluire della vita, tutto sta nel valutare quando e se mettere in atto un “senza”. Credo entri in gioco un certo tipo di sensibilità, ai pieni e ai vuoti o anche al qui e lì – che ne so, e anche un certo tipo di intelligenza. Quel tipo che è raro e che non ha un posto preciso dove mettersi, la trovi volteggiare sopra le cose per posarsi sempre un po’ più in là, come per caso anche se per caso non è.

Ho valutato sommariamente quanti “senza” ci sono stati nella mia esistenza, quanti sono ancora qui e quanti se ne sono rimasti appesi come calzini spaiati appena usciti dalla lavatrice in cerca di un po’ di calore che li faccia sgocciolare sempre meno, finché non ho smesso di fare i conti perché tanto non arrivavo a nulla. Quello che c’è è quello che posso vedere, tutto sommato può bastare.

Allora perché quel non-so-che di imponderabile mi ha determinato e soffocato così pesantemente, come ho potuto permettere che accadesse? Se è un Tir che ti blocca il passaggio allora un motivo per fermarti ce l’hai, ma se è un granello di polvere cosa ti inventi per giustificare il tuo stop?

Ti fermi per un niente, ti struggi per un niente, di annienti per un niente. Ridono i tanti “senza” e ridono anche gli imponderabili ritorni di coscienza, mentre annichilita ti guardi la punta del naso dove si poggia il tuo amabile quanto inutile Sé che gioca con la polvere come se niente fosse.  Ma niente non è.

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