(1008) Pesci

Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.
(Albert Einstein)

Innanzitutto bisognerebbe fare mente locale e capire che tipo di pesce siamo. Per esempio: un pesce con poca memoria a breve termine, tipo Dory, è un pesce che mi assomiglia molto. Ma quello che intendevo dire è che pensarti un pesce o una giraffa cambia parecchio, ma anche crederti uno squalo mentre sei soltanto un pesce rosso può darti qualche disturbo in certe situazioni.

Pertanto già decidere che pesce siamo è un bel punto di partenza.

Da lì si parte con una bella introspezione per capire se ci piace essere un pesce o se vorremmo magari essere uno scoiattolo per salire e scendere dagli alberi in scioltezza. E poi valutare come/quanto/perché chi ci sta attorno ci pretenda altro da ciò che siamo. Completato il giro, ci si fa due conti e si procede.

Lasciamo da parte i geni, quelli hanno tutta un’altra storia, parliamo di persone comuni, come me, persone che vogliono solo fare quello che gli riesce meglio senza rompere le palle a nessuno. Ok, queste persone, tanto per dire, non è che si immaginano di essere condor e sono soltanto girini, queste persone si vedono esattamente come sono e cercano di trovare un posto nel mondo dove esserlo senza chiedere il permesso e senza chiedere scusa. Trovare il proprio posto, insomma.

Ora: le pretese che ci afferrano per la gola sono quelle che alla fine ci fanno soffocare. E, in tutta sincerità, le acrobazie le fanno gli acrobati, che son dotati e sono pure allenati, quindi si arriva fino a pagina 2 e a pagina 3 ci si può pure fermare. Giusto?

Io mi propongo di farci attenzione d’ora in poi, perché va bene tutto, ma non è che la vita è sempre un dimostrare qualcosa a qualcuno (neppure a sé stessi). La vita è viversi con serenità, che dove non arrivi tu magari arriva qualcun altro e le cose vanno  comunque avanti senza bisogno di tragedie. Giusto?

Ok, tanti pesci ci sono in mare, a me basta esserne uno ed esserlo in totale tranquillità e in santa pace.

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(711) Presupposti

A volte penso che siamo fatti di anelli, come gli alberi. Ogni persona vive la propria vita a periodi e ogni periodo si sviluppa allo stesso modo: inizio-crescita-apice-decrescita-fine. Un anello. 

Se facessimo attenzione a questo particolare ci renderemmo conto che non è affatto facile leggere gli anelli che compongono una persona, non sono evidenti sulla pelle che la ricopre, bisognerebbe far entrare il nostro sguardo fin nelle viscere e allora sì potremmo avere una mappa veritiera del suo Sé, potremmo dichiarare: la conosco.

Ogni anello è una storia, una storia lunga anche anni perché non tutti i cicli hanno la medesima durata. Ogni storia parte da premesse conosciute per incasinarsi con incidenti di percorso e sorprese varie, leggere ogni anello comporta una conoscenza intima del Essere Umani. Solo pochi possono affrontare un’impresa del genere.

Quando raccontiamo agli altri i nostri anelli ne dobbiamo per forza fare un riassunto, tralasciamo le cose che non ci sembrano importanti e magari ci dilunghiamo su particolari che amiamo o che riteniamo fondamentali. Non siamo obiettivi, non possiamo esserlo. Mettiamoci poi il carico del pudore, della cautela, del buonsenso, del buongusto ecc. – tutto sacrosanto e lecito – come possiamo pensare che il nostro modo di raccontarci sia verosimile? In tutta buona fede, sarebbe comunque impossibile.

Chi riceve il nostro racconto si porta appresso i suoi anelli e il suo modo unico di mettersi all’ascolto – chi più distratto, chi meno – e anche lì in tutta buona fede, come possiamo pensare che riescano a leggerci in modo verosimile?

La comunicazione tra Esseri Umani non si può basare sull’ascolto o sul raccontarsi, bisogna spingerla oltre, bisogna spingerla oltre con l’intento dell’incontro. I nostri anelli e quelli del nostro prossimo se confrontati risulteranno molto simili per forma, non per suono forse, ma per forma sì.

Ogni albero differisce dall’altro, per specie se non altro, ma se li tagli scopri che gli anelli sono gli stessi. Ogni albero è un magnifico esemplare di vita, esattamente come noi. Mi domando, quindi, se non sia una questione di presupposti quella che fa crescere alcuni di noi storti. Se così fosse è da lì che bisognerebbe iniziare a lavorare, sui presupposti. Sarebbe già qualcosa, no?

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(603) Cromatico

La storia delle sfumature è stata ufficialmente sputtanata da un qualcuno senza rispetto per il buongusto (50 + 50 + 50 = 150 stronzate in 1000 pagine è davvero un record, gliene do atto), quindi inevitabilmente se parlo di colori devo evitare di far riferimenti fuorvianti, ci proverò.

Ogni cosa che mi riguarda è questione cromatica, io che viaggio di bianchi-neri-grigi,  e spesso di neri-e-basta, mi sono scoperta essere piuttosto sensibile ai colori. In certi momenti avere davanti agli occhi un verde acido o un giallo (giallo? GIALLO? Giallo!) mi comporta uno svarione emotivo imbarazzante. 

La percezione visiva dei colori, per me, è un barcamenarmi tra nausee e vertigini che mi offende. Davvero. Cavoli, ma perché? Perché ogni volta che vedo una persona con una t-shirt giallo canarino mi manca l’equilibrio? Una gonna rossa a pois viola, una camicia blu a righe verdi, un cappellino fucsia con elefanti azzurri… non lo so, mi parte l’embolo.

E mi rendo conto di essere un caso patologico, mi rendo conto che non tutti possono girare in stile Morticia Addams, mi rendo conto di tutto, ma…

Il Cielo è azzurro in tutte le varianti possibili ed è sempre una meraviglia…

I boschi, i prati, gli alberi, le piante sanno essere verdi in modo spettacolare e inimitabile…

I fiori, cosa si può dire dei fiori? Ogni gradazione di qualsiasi colore è una gioia e un piccolo stupore per gli occhi e il cuore di chiunque…

I marroni e i beige della terra sanno essere perfetti in ogni luogo del pianeta… 

E l’arcobaleno? Devo proprio commentarlo?

E vogliamo passare alla fauna? I giochi cromatici delle piume degli uccelli e dei loro becchi, i rettili, gli insetti, i mammiferi e gli ovipari… ma dai, siamo seri, non c’è competizione!

Siamo più morigerati nell’uso dei colori, fratelli e sorelle… ve ne prego.

Sigh.

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(305) Albero

Nel mio paese d’origine, piena campagna friulana, c’era una collinetta chiamata: Il Castelletto. Non c’era un castello là sopra, ma una bellissima compagnia d’alberi. Alti e con mille sfumature di verde. Se ti arrampicavi e raggiungevi i primi rami già potevi goderti la vista dei campi di mais e di frumento che si perdevano a distanza.

In mezzo alla collinetta c’era un tavolo di pietra con tre panchine attorno, sempre di pietra, e noi ci mettevamo lì da ragazzini per chiacchierare dei fatti nostri e poi rubare pannocchiette tenere da abbrustolire. Buonissime.

Gli alberi ci proteggevano, ci ascoltavano, ci facevano compagnia con il fruscio delle foglie e lo scricchiolio degli insetti che ospitava. Uccelli e qualche riccio e topi, ovviamente.

Una mia amica li sapeva riconoscere, catalogati per genere e forma delle foglie, la invidiavo moltissimo perché io non riuscivo a memorizzare tutti quei dettagli, dopo un paio di minuti di spiegazione già la mia testa era partita per la tangente immaginando quanta terra avrei visto se fossi stata capace di arrampicarmi fino in cima al più grande di tutti.

Oggi ho un albero tutto mio, è un melograno. Non lo faccio potare da un bel po’, non mi piace l’idea che qualcuno lo possa ferire, ma probabilmente sbaglio punto di vista. Comunque, fa tanti melograni ogni anno (che mangio solo io perché sono asprissimi) e a ogni stagione lo fotografo perché mi sorprende sempre constatare la sua impressionante capacità di mutare veste e restare sempre bellissimo.

Vorrei potessero parlare, gli alberi, sono sicura avrebbero storie pazzesche da raccontare.

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