(1025) Difesa

S’impara tardi a difendersi dalle parole.  (Erri De Luca)

Giocare in difesa è brutto, stai lì a parare colpi che arrivano random e i nervi saltano da una parte all’altra ad ogni alito di vento. Quindi, quando so che non posso fidarmi, mi allontano.

Certo che so prenderli i colpi, ma dopo un po’ ti stanchi. Non fanno meno male col tempo, fanno più rabbia.

Le cose non dette, le strategie viscide – dove niente è chiaro e non capisci cosa sta succedendo – mi hanno stancata. Prima o poi me ne accorgo e non è che te ne viene in tasca qualcosa, quindi lascia stare. No, non lo dico. Lo penso e basta. Lo penso e mi allontano.

Perché bisogna anche imparare a difendersi, non si nasce già sapendo. Impari con i colpi presi e la cosa più difficile è rendersi conto che non andrà mai meglio, ma che la difesa è necessaria per preservare la tua salute fisica e mentale sempre. Sempre. Credo sia l’unico per-sempre su cui si possa davvero mettere la mano sul fuoco.

La difesa migliore è l’attacco, dicono, e ho imparato anche ad attaccare, ma non riesco mai a essere efficace, manco di cattiveria. Posso però cancellare dal mio presente chi voglio, questo è provato, quando scopro il gioco procedo e via. Un attacco discreto, anche indolore, silenzioso di sicuro. Nessuno se ne accorge, ma io so. E mi basta.

I lucchetti ai cancelli? Sì, ma quelli al cuore pesano di più.

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(962) Sicuro

Sentirsi al sicuro. Avere un posto sicuro in cui stare. Il senso di “casa” è questo no? E il massimo sarebbe poter trovare un posto così anche quando non siamo chiusi in casa nostra, magari quando siamo al lavoro o quando usciamo a divertirci. 

Spesso diamo per scontato che i posti in cui stiamo siano sicuri. Ci affidiamo, ci adagiamo – in un certo senso – a quell’idea. Quel “essere al sicuro” ci permette di vivere tranquilli e dare il meglio (e a volte anche il peggio) di noi stessi.

Non doversi continuamente difendere dagli attacchi di qualcuno o di qualcosa. Non dover stare perennemente all’erta nell’attesa che qualcosa di brutto capiti o che qualcuno ci arrivi addosso per distruggere quello che c’è o quello che siamo. Non dover preoccuparci continuamente della nostra sopravvivenza, ma allargare il nostro sguardo con l’ambizione di vivere bene e non semplicemente vivacchiare.

Dovrebbe essere questa la nostra priorità: sentirci al sicuro.

Non chiusi in casa, barricati, ma sicuri fuori e assieme agli altri. Non nascosti dietro a un muro, ma a cielo aperto con il vento che ci attraversa e senza per questo esserne devastati.

Sentirsi al sicuro ci fa dormire bene, ci fa mangiare bene, ci fa parlare bene a noi stessi e ci fa interagire bene con gli altri e in ogni contesto. Sentirsi al sicuro ci fa sorridere, ci fa prendere le cose brutte della vita con più leggerezza perché sappiamo che le cose brutte comunque succedono e dobbiamo comunque affrontarle.

Sentirsi al sicuro ci aiuta a comprendere chi al sicuro non è, ci rende più sensibili e più empatici?

No, non credo. Purtroppo il gap del “sentirsi al sicuro” è questo: ci si occupa solo di sé stessi e di accrescere la propria sicurezza, fregandocene di chi al sicuro non è. Dovremmo lavorare per colmare questa imperdonabile lacuna, credo. Perché sentirsi al sicuro è l’unica cosa che conta se pensiamo alla vita come al bene più prezioso che abbiamo.

Credo.

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