(1029) Corda

Mi rendo conto che sto tirando troppo la corda e che le mie sinapsi e il mio corpo dolorante si stanno ribellando. Ma io continuo imperterrita a impormi di fare i salti mortali perché penso che non ci sia altra scelta.

Ovvio che il mondo non cade se mi fermo io. Ma quello che sto facendo mi impone di continuare perché se mollo crolla tutto. Tutta la mia vita intendo. Questa condizione non mi rende infelice, ma perennemente stanca. Tirare la corda stanca.

Partendo da qui va anche detto che non sto lavorando in miniera per cui non sono di certo io la più stanca zombie che si aggira sulla Terra, ma ognuno sente il suo perciò dichiararmi sfinita non mi pare brutto. Direi piuttosto doveroso. Cambia qualcosa? No, ma lo dico lo stesso.

Allargando il discorso, vorrei soffermarmi sul pensiero che ci sono nel mondo, e sono tantissime, persone che di gran lunga hanno più diritto di me di dichiararsi sfinite, e che queste persone sono costrette a tirare la corda e impiegare ogni grammo di energia residua per portare a termine le proprie giornate. E poi ci si ammala, e poi si sbrocca, e poi succedono casini inenarrabili.

Tirare la corda lo si fa per inerzia, senza pensare di essere arrivati agli sgoccioli, si sottovaluta la propria situazione e ci si convince che quel fantomatico ancora-un-po’ non ci ammazzerà. Siamo fatti così.

Il punto è che Iron Man se lo può pure permettere, noi umani-normo-dotati no. Quindi? Quindi fermarsi mezzo metro dal burrone potrebbe non essere sufficiente, bisogna bloccarsi un paio di km prima almeno.

Lo dico a me e lo dico a chiunque passi di qui a leggere queste righe: bisogna fermarsi quando il burrone non è ancora visibile. Tanto lo sappiamo che c’è, dobbiamo tenerne conto in modo da salutarlo da lontano senza finirci dentro.

Quindi… abbiate cura di voi, ovunque voi siate, sempre.

Buonanotte Folks.

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(977) Eureka!

Nessuno parla di quello che sta dietro all’ispirazione. Di quella cosa appiccicosa che ti intacca il cervello e che finché non sei riuscita a tirarne fuori qualcosa non c’è verso di liberartene. Nessuno ne parla. Forse perché capita soltanto a me.

Nella solitudine di questa constatazione cercherò di parlarne io. Non perché sia così interessante, ma piuttosto per la sua natura inedita. Una volta tanto parlo di qualcosa che conosco soltanto io. Entuasiasmante.

Allora, il tutto si può sintetizzare così: l’ispirazione arriva e ti lascia una gran bella sensazione. Quella cosa non ha ancora una forma, ma sai che in qualche modo una forma da lì dentro riuscirai a tirare fuori. Questo perché hai un’alta considerazione delle tue capacità (che sfiora l’autoesaltazione) e finché non dimostri a te stessa il contrario (il che non succede raramente) perseveri nella ricerca. Tieni botta perché hai fiducia in quell’energia che prima o poi ti solleverà e ti farà trovare ciò che stai cercando. Anche quando non sai cosa diavolo stai cercando. Insomma, per gli altri sei una folgorata mentale, per te è tutto nella norma quindi si procede.

L’ispirazione è veloce ad arrivare e veloce ad andarsene. Se non l’acchiappi al volo non ne resta nulla, ma diamo per scontato che ce la fai e che ora la tieni in pugno. Diamo anche per scontato che come apri il pugno, addio ispirazione. Fatto sta che giri per giorni giorni e giorni con il pugno chiuso, sperando che arrivi una buona idea che ti risolva la situazione. Giorni giorni e giorni e non arriva niente.

Niente.

Niente.

E allora il tuo umore cambia. Da sicuro e strafottente diventa buio. Poi nel buio dilaga la depressione. Che si trasforma in incazzatura, che si traduce in un odio viscerale per tutto quello che sei e che fai.

Il niente si è preso tutto. E quando ti sei stancata, deponi le armi. E lì succede.

Eureka!

Hai trovato quel che ti serve. No, non quello che pensavi ti servisse, un’altra cosa che non c’entra niente. Ma non quel niente che si sta dissolvendo, un niente che puoi modellare per far diventare qualcosa.

Ecco.

Forse ho davvero il cervello folgorato, ma le mie sinapsi seguono ‘sta dinamica per funzionare e non ci posso fare niente.

Niente.

Niente.

Proprio niente.

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(777) Febbre

Ogni tanto mi capita. Siccome non mi fermo mai, capita che il mio corpo mi dica stop. Stavolta è arrivata la febbre, che è una vecchia amica che non vedevo da tempo. Ogni volta che lei arriva prende il mio pseudo equilibrio emotivo e lo butta nel cesso. In un istante più niente.

E allora mi commuovo ascoltando una canzone dei Bee Hive (no comment) o ricordo tutti gli episodi più idioti della mia vita per farmi pesare il tempo che passa o, ancora peggio, ricomincio con la solfa che non valgo a niente e sono un essere da buttare.

Questo fa la febbre con me. Mi ricorda l’umiltà.

Ora, non è che ‘sta cosa mi faccia proprio piacere, solo che una volta che mi ci trovo in mezzo non riesco a difendermi. La debolezza devasta ogni grammo guerriero che ho in corpo e si esplicita una sorta di Caporetto diffusa (corpo-mente-spirito). Insomma, una schifezza.

Sto comunque scrivendo, ciò significa non solo che sono ancora viva, ma che non mi si sono bollite tutte le sinapsi… è già qualcosa. Vuol dire anche che la prima cosa che mi viene voglia di fare, dopo la disfatta totale, è scrivere. Sarebbe ridicolo, se non si trattasse di me – sono solita prendere molto sul serio tutto ciò che mi riguarda (altrimenti non avrei aperto questo diario, eh!) – e io alla fine dei conti inizio da 0 e arrivo fino a 10, non fino a 100.

La vecchia amica si tratterrà ancora qualche ora, penso, sto cercando di convincerla che è stato bello rivederla, ma che le cose belle finiscono presto e che la prossima volta potrebbe soltanto mandarmi un’email che già sarebbe sufficiente. Oltre a questo discorso – interessante ma fino a un certo punto – la sto stordendo con la tachipirina e spero che sappia essere più seducente delle mie parole. Non è detto.

Facendo due calcoli, neppure 24h di febbre e già mi sembra di aver perso un anno di vita. Sono incurabile, lo so.

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(436) Organizzare

Che si tratti di pensieri, eventi o che-ne-so-io, quando sei lì che cerchi di far combinare tutto al meglio e qualcuno si intromette… parte l’embolo. Dovrebbe partire, deve partire. A me parte di brutto e ormai non lo nascondo più.

Ma santiddddio, son qui col cervello che mi fuma e ti intrometti per dirmi la tua perché sicuramente mi sarà d’aiuto… ma come ti viene in mente? Ma chi pensi di essere? Ma te l’ho chiesto io?

Ecco. L’embolo parte, l’occhiata fulminante raggiunge l’obiettivo, il silenzio tombale rafforza l’effetto e se il cielo vuole l’intruso capisce e si allontana (incolume) – se insiste è a suo rischio e pericolo.

Io funziono così, ma il 99% degli Esseri Respiranti funziona così, perché è sacrosanto che certi ambienti mentali siano protetti e rimangano fuori dalla portata degli altri. Se sto seguendo il mio pensiero, non posso avere quelli altrui che mi intralciano, non si va da nessuna parte così!

Il brain storming funziona solo per chi ha bisogno di una martellata alle sinapsi per dar loro una mossa, ma se le mie viaggiano a velocità supersonica che faccio anche fatica a seguirle, capisci che un brain storming mi rende nervosa? Lo capisci? Ecco.

Chiarito questo concetto, voglio anche precisare che il confronto con le menti altrui è una preziosità irrinunciabile, ma ci sono certi momenti delicati che se li tocchi combini un disastro. Si sbriciola tutto, si polverizza, evapora e poi non resta più niente. Come si fa a non capirlo? Come si fa a non proteggere quei benedetti momenti di delicatezza sinaptica? Come si fa a ignorare il crollo emotivo e la frustrazione del dopo, quando ti ritrovi tra la polvere e devi prendere l’aspiratutto per far pulizia? Come? Come? Come?

Usare un minimo di attenzione e tatto ci permetterebbe di non distruggere ciò che di buono sta cercando di palesarsi. E poi ci lamentiamo che la magia esiste solo nei libri di Harry Potter. Eh!

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(402) Indolenzimento

Ci sono dei periodi, mai troppo lunghi grazie al cielo, in cui mi ritrovo semiparalizzata da un indolenzimento sinaptico che ha dell’imbarazzante. Mi rendo conto che per chi mi guarda dall’esterno sembro un’idiota zombizzata che si trascina di qua e di là senza senso. A pensarci bene sembro così anche a guardarmi dall’interno, e non è affatto bello.

Non ci posso fare nulla, arriva quando arriva e se ne va quando se ne va, al massimo posso cercare di dissimulare la cosa e sperare di non fare troppi danni nel mentre. Ho sempre attribuito queste fasi a una questione di overload, un sovraccarico di pensieri e tensioni varie che mi fa andare in sciopero il discernimento. Ma non è detto, voglio dire che non è una diagnosi sicura, è più che altro un’ipotesi.

Di stronzate ne ho fatte parecchie e non è che le ho fatte sempre in questi periodi di semiparalisi sinaptica, quindi non sono qui a giustificarmi nascondendomi dietro questo, sia mai. Sto solo riflettendo sul fatto che il silenzio in cui sono immersa, mentalmente parlando, scopre vuoti che non vorrei vedere-sentire-avere. Credo che la dinamica sia: più non li voglio e più ci sono.

Non è una diagnosi, è un’ipotesi. E di ipotesi è pieno il mondo. La mia testa, invece, sembra essere vuota. Sembra, ma non è detta l’ultima parola. La ruota gira, sempre, e venire schiacciati è un attimo pertanto: run babsie run.

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