(820) Mira

Tirare a casaccio non funziona, bisogna prendere la mira. Spesso sottovalutiamo questo dettaglio, a meno che non siamo praticanti di tiro con l’arco o appassionati di bowling o di sport o di altre pratiche che t’impongono di farci attenzione. Prendere la mira non è un dettaglio, è IL dettaglio che può decretare la vittoria.

Mettendo in pratica l’assunto qui sopra, proviamo a immaginarci cosa può succedere se desideriamo trovare un lavoro, un lavoro qualsiasi. Cosa diavolo può capire l’universo di questo nostro desiderio? Un lavoro qualsiasi. Dall’arrotino all’uomosandwich, va tutto bene. Davvero andrebbe bene tutto? Nove volte su dieci no. No, non va bene qualsiasi lavoro, va bene il lavoro dove: sono trattato con rispetto, dove vengo pagato il giusto, dove oltre che la fatica mi posso godere anche qualche gratificazione. Giusto? Ok, già con questa breve sinossi posso dichiarare che sto mettendo a fuoco l’obiettivo, sto prendendo la mira.

Volere un fidanzato o una fidanzata non significa nulla. Volere un fidanzato/a che sia alto/biondo/con gli occhi azzurri è già un’indicazione. Io, personalmente, ci andrei bella carica con la descrizione perché se ti dimentichi qualcosa di importante poi son cavoli amari. Se desideri devi desiderare al top, non ti puoi accontentare di uno scarto. Devi prendere bene la mira, insomma.

Dopo questi due esempi demenziali, spero di essermi spiegata per bene: prendere la mira è indispensabile. Non solo: allenarsi a centrare il bersaglio è la pratica a cui non ci si può sottrarre. Inoltre: anche se non becchi il centro, anche se non ottiene il punteggio massimo, anche se non ti conquisti il top… bé, ci sarai andato vicino e credo che già questo potrebbe essere una buona cosa. D’altro canto se vuoi il top devi poter garantire di essere il top e lo stress annesso e connesso dove lo metti? Naaaaaaaaaaaaaaaaa. Restiamo in quota, sogniamo con dignità una vita alla nostra altezza, potremo sempre guardare il sole e farci baciare dai suoi raggi senza invidia soltanto con sincera ammirazione. No?

Ok, allora prendiamo bene la mira… e buona fortuna!

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(726) Altezza

Non è che soffro di vertigini, è che l’altezza – se la guardo dal basso – mi disorienta. Dall’alto la gestisco, dal basso no. Questo dà il quadro perfetto di come io sia fatta al contrario – e in un certo senso saperlo può essere pure rassicurante. 

Non ho mai pensato di dover scalare un’ipotetica montagna o un grattacielo per arrivare chissà dove nella vita. Non ci ho mai pensato ma in fin dei conti è quello che ho fatto. Non ho fatto altro che arrampicarmi, santidddio! Una sorta di freeclimber drogato di adrenalina. Presente. Ecco spiegato perché la questione del No Limits e degli sport estremi non mi tocca minimamente, già do e non mi serve altro.

Dall’alto si vede meglio, le cose si ridimensionano. Se plani sulle cose, queste non ti possono crollare addosso – e già qui ci metterei la firma. Quindi quello che faccio è un quotidiano esercizio per restare in quota. Non per essere sempre al top ma per evitare di perdere i punti di riferimento e ritrovarmi a girare a vuoto tra sensi unici, rotonde e incroci inverosimili. Ammetto che ci riesco abbastanza, mai perfettamente, ma abbastanza a lungo e con una certa costanza. Questione di allenamento, senza dubbio. E c’è anche un altro elemento da tenere in considerazione: bisogna non aver paura di cadere. Contando sbucciature e contusioni che mi hanno accompagnato negli ultimi quarantasei anni, cadere non è più una paura per me è una certezza. Io cado. Cado spesso. Cado anche frantumandomi, altroché, quindi lo do per scontato e anziché temerlo me lo aspetto. Quando non cado mi preoccupo: com’è possibile?!

Un paio di volte son precipitata mentre stavo davvero in alto – con l’umore intendo – e forse il mio ironico cinismo è nato per evitarmi la terza volta. Me ne sono bastate due, grazie, la terza me la posso risparmiare – so già quanto male fa.

Quindi, ricapitolando: meglio in alto che in basso. Si cade comunque, inutile procedere con paura, magari dei paraginocchia e un paracadute possono aiutare. Non so davvero se basti un po’ di filosofia e due attrezzi tecnici per affrontare i prossimi mesi, ma visto che non ho altro per le mani è così che procederò. Ci sono tante cose che spingono per entrare in gioco, chi sono io per vietare loro l’entrata? Eh.

Ai posteri l’ardua sentenza.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(406) Know-how

Tutto quello che sappiamo, o che pensiamo di sapere, fa di noi ciò che il mondo riceve. Se quello che dici di sapere lo sai davvero, offrendolo agli altri avrai la tua bella soddisfazione. Se al contrario dici di sapere e non sai, riceverai come feedback qualche ben assestato calcio in culo. Questo è quello che auguro a tutti, perché questa è quella che io definisco Giustizia.

Partendo da qui, cercherò di rendere più evidente la mia posizione. Ci sono state volte in cui mi sono talmente vergognata di non sapere quello che avrei dovuto sapere che sprofondare al centro della terra non sarebbe stato abbastanza. La presa di coscienza mi faceva correre ai ripari: studio, studio e ancora studio. Altre volte, cose che pensavo sinceramente di sapere si sono rivelate essere soltanto la punta dell’iceberg e la conseguenza diretta è stata quella di mettermi al lavoro per recuperare tutto quello che potevo recuperare sull’argomento e colmare il vuoto.

Dopo anni e anni e anni di batoste mi sono messa l’anima in pace: non so un tubo. Quello che so non basterebbe a riempire un secchio d’acqua, cosa che non può essere d’aiuto a nessuno, specialmente nel caso scoppiasse un incendio.

Questa consapevolezza mi ha liberata da un enorme cruccio: essere all’altezza. Partendo dal presupposto che mi manca sempre un pezzo di conoscenza per poter raggiungere la soglia di presenza minima per ritenermi adeguata, mi pongo nei confronti di tutto quello che non so come secchio da riempire. Nient’altro. Che poi io voglia offrire al mondo quel poco che so è soltanto un modo per tracciare ponti che mi permettano di comunicare, perché comunicare per me significa strada da percorrere a doppia direzione di marcia e quindi scambio e quindi crescita.

Ho avuto la fortuna di incontrare persone che davvero potevano farmi sentire piccola e insignificante, forti del proprio sapere, e non lo hanno fatto. Ho incontrato molte persone che mi hanno fatto sentire meno di niente, vendendomi aria fritta. Ho imparato a riconoscere l’odore dell’aria fritta e non ci casco più.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF