(1024) Inciampare

Possiamo inciampare su tutto e tutti. Io, per esempio, in questo sono una maestra. Scegli una cosa a caso, una cosa innocua, inutile, invisibile, io posso inciamparci. E, nove volte su dieci, farmi male.

No, no, sembra una cosa da nulla, invece è un vero talento. Appena capisco come farlo fruttare diventerò ricca e famosa. Mi basterebbe ricca, a dire il vero.

Lo faccio da sempre, inciampare su tutto intendo, e l’ho sempre dato per scontato, come fosse una cosa che appartiene all’intero Genere Umano, una delle conseguenze del vivere quotidiano che tocca chiunque, nessuno escluso. Ho scoperto, troppo tardi ovviamente, che non tutti sono così fortunati da inciampare spesso e senza pregiudizi di sorta. Ci vuole proprio un talento preciso.

Quello che ancora non mi è chiaro è come io sia sopravvissuta a questa pratica naturale fino a oggi così coriacemente e così inconsapevolmente. È addirittura più inspiegabile del talento stesso. Fatto sta che a volte sono inciampata in persone che han portato nella mia vita grosse sorprese (no, non necessariamente belle), altre in cose che mi hanno dato accesso a luoghi di conoscenza benefici e proficui (altre volte meno, ovvio), a volte sono inciampata in occasioni che sembravano opportunità, altre in opportunità che si sono rivelate solo stupide occasioni. Sono inciampata in sassi che non c’erano, gradini di mezzo centimetro, fili d’erba innocenti, buche apparse all’improvviso (queste sono ovunque, non si possono schivare tutte, ma io posso prenderle tutte).

Oggi sono inciampata su una frase che mi ha ispirato il pensiero da cui questo post è partito. Non odiatemi, è un talento naturale. Inconsapevole. Inutile. E se lo si ignora, innocuo.

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(994) Effettivamente

Ok, sto giocando sporco sono passata agli avverbi. Quelli che non servono a niente, in pratica, se non a prendere tempo. È che proprio non riuscivo a trovare un titolo al post che non avessi già usato. Perdonatemi, ma mi rendo conto che mi stanno mancando le cartucce. 

Il pensiero di oggi è (in breve): effettivamente non si può mai sapere

Sembra una stupidata, ma fateci caso, ripetetevela più volte a bassa voce: effettivamente non si può mai sapere. Ancora una volta, come se fosse un mantra: EFFETTIVAMENTE-NON-SI-PUÒ-MAI-SAPERE-EFFETTIVAMENTE-NON-SI-PUÒ-MAI-SAPERE…

Mettiamocela via perché è proprio così. Anche quando sei sicuro che quella cosa lì è così, che non cambia, che è la stessa ecc… effettivamente non lo puoi davvero dare per scontato. Soltanto il tempo ti potrà dare torto o ragione, a prescindere dalle previsioni che ti sei fatto. Quante volte ci è successo? Troppe. Quante volte la questione ci ha sorpreso? Sempre. Perché abbiamo la memoria di Dory, non se ne esce. Facciamo esperienza e resettiamo la memoria. E ci stupiamo. Come fosse la prima volta che ci capita. Ma saremo scemi?

Se siamo affetti da cinismo cronico, invece, ci ripetiamo che effettivamente-già-lo-so-come-andrà-a-finire e, per non darci torto, agiamo in modo che la realtà ci sostenga nella disgrazia. Guai a chi cede all’ottimismo, siamo matti?!

Quindi questo avverbio che sembrava inutile, o per lo meno innocuo, si va a scoprire che potrebbe cambiarci la vita. A seconda che lo si usi in positivo (per accogliere con stupore le piccole sorprese della vita) o che lo si usi in negativo (per dare conferma ai nostri più cupi presagi), effettivamente le cose cambiano. Dentro la nostra testa, innanzitutto, e nel nostro agire. Effettivamente può cambiare tutto.

È vero che tutto è relativo, ma è anche vero che la casualità gioca un ruolo marginale quando si tratta di Esseri Viventi, e rileggiamoci ogni tanto La Profezia di Celestino perdio!

E poi, ci rendiamo conto di quanto può fare un solo avverbio?

Ve lo dico: gli avverbi hanno un potere che manco Dio se l’era immaginato quando li ha messi in terra. Provate a usarli meglio e scoprirete che un senso ‘sto post ce l’ha. 

Effettivamente…

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(722) Soliloquio

Non sono solita bere alcolici, mi sarò sbronzata un paio di volte in tutta la mia vita, eppure oggi ho riletto a casaccio alcuni dei post di questo mio blog e mi sono impressionata. Sembro un’alcolizzata all’ultimo stadio. 

Sto qui a scrivere di pensieri e cose che hanno forma solida soltanto nella mia mente da quasi due anni. Una sbronza bella lunga direi.

Non mi sono mai soffermata sul fatto che chi non mi conosce e passa di qui per caso a leggermi potrebbe farsi un’idea piuttosto squinternata di me – e molto probabilmente succede anche a chi mi conosce nella vita reale. Quindi, visto che non l’ho mai considerato un rischio fino a ora, ho deciso che continuerò a non pensarci. Mi viene più facile.

Quest’ennesimo soliloquio non è che una conferma di tutto quello che il mio stato perenne d’inebriamento comporta: pensieri concatenati che solitamente mi portano a zonzo senza alcuna meta e poi mi lasciano a un angolo o l’altro della strada. Strada deserta, il più delle volte. Che senso ha? Averceli, i pensieri, potrebbe non essere molto sensato ma non posso impedire loro di comparirmi in testa, non scriverli avrebbe ancora meno senso perché mi illudo ancora che uno di questi scritti potrebbe – col senno si poi – rivelarsi illuminante. Non tanto per gli altri quanto per me. Metti che a un certo punto mi viene un pensiero straordinario e poi me lo dimentico… ma scherziamo?!

Chi pensa troppo corre il rischio di intortarsi avvoltolandosi in se stesso. Perdi la bussola, perdi la misura, perdi il controllo. Bisogna ancorarsi a terra in qualche modo e ognuno trova il suo modo. Ecco, il mio modo è pressocché innocuo. Riguarda soltanto me, nessun danno collaterale. Non è mica poco.

Comunque stasera sono in ritardo rispetto al solito e sto crollando dalla stanchezza… questo soliloquio risulterà più alcolico che mai. Quasi quasi me ne faccio un altro. Anzi, ne prendo due. Due on the rocks, ovviamente.

Buonanotte.

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(482) Kazoo

Il kazoo è uno strumento musicale, non ci devi soffiare dentro – così non funziona, non è un’armonica – devi fare mmmmmmmmmm con la voce, in questo modo canti attraverso questo tubo che ha una membrana che vibra alla vibrazione del suono che parte dalla tua gola. Semplice.

Il kazoo è uno strumento musicale, ma non per me. Per me è una cavolata, del tutto inutile e addirittura fastidioso perché va a distorcere il suono di una voce per renderla qualcosa di simile ma peggiore. Ascoltare un pezzo storpiato con il kazoo per me è un’agonia, spaccherei tutto, specialmente la faccia di chi lo usa pensando che sia una figata.

Che sia definito uno strumento musicale, che sia usato – in rarissimi casi – in modo anche dignitoso, che sia considerato da tanti una figata, non mi basta. Non mi convince, non mi tange minimamente. Rimango della mia idea: detesto il kazoo per le ragioni sopra descritte.

Questo per dire che se riesco a essere così affermativa, chiara e spietata nei confronti di un innocuo kazoo – che tra l’altro nulla mi ha fatto (mi era stato regalato da bambina e io l’ho usato per qualche settimana per rompere i timpani a chiunque mi si avvicinasse) – immaginarsi come mi posso trasformare quando qualcuno cerca di convincermi che una piccola e sgualcita ideuzza (copiata e sminuzzata malamente) sia una genialata.

No, davvero, prova a convincermi che quella cosa lì sia un’idea, prova, dai. Provaci con tutte le tue forze, mettici il cuore, dai. Ti faccio a pezzi senza pietà. Quant’è vero che odio i kazoo, non hai scampo.

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(405) Fagocitare

Non esiste verbo che mi faccia rabbrividire come questo: fagocitare. Significa assorbire, divorare, incorporare, inghiottire, inglobare, e ogni immagine che mi suscita è orrenda. In ogni, e quando dico ogni intendo dire proprio ogni, situazione in cui mi sono trovata (dall’asilo in poi) ho sempre giocato sulla difensiva: voi lì e io qui, non scherziamo neh!?

Al di là dei facili giudizi che ci si può fare su di me (presuntuosa, arrogante, superba, saccente, o del tutto idiota) resta a chiunque un dubbio: “Cosa diavolo le passa per la testa?”. La chiave di lettura è sempre la stessa, sta tutta nel verbo “fagocitare”. Non c’è altro, garantisco. Una volta che nomini il mostro, il mostro perde forza e si fa addomesticare – è un incantesimo risaputo, bisognerebbe dargli più credito.

Questo mio mostro ora lo metto alla mercé di chiunque passi qui a leggermi, ben conscia del fatto che sarà ignorato e frainteso dai più, ma non lo faccio perché mi aspetto qualcosa dal resto del mondo, ma perché mi aspetto qualcosa da me. Vorrei anche lasciare un segno a chi ora mi sta leggendo, però, ed è un consiglio piccolo, da nulla, che vorrei vi fosse utile: attenti al mostro che vi sta fagocitando. Tutti ne abbiamo almeno uno, tutti dovremmo farne senza. Nominatelo e rendetelo innocuo. Siete voi il capo, voi decidete chi, cosa, dove, quando, come e anche perché. Sempre.

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(254) Bianco

Uno dei miei colori preferiti, il bianco, specialmente d’estate. Il nero? Sempre, assolutamente sempre e da sempre. Il blu è un altro dei miei prediletti. E poi c’è il viola, che chi mi conosce sa che è una fissazione. Non indosso mai il giallo né il verde, sono belli ma non su di me.

Bianco è il mio modo di affrontare la giornata, ci scrivo sopra. Bianco è il mio modo di relazionarmi con gli altri, ci faccio scrivere sopra da loro. Bianco è il mio modo di guardare il mondo, i colori ce li mette lui.

Credo abbia a che fare con la luce, anche troppa, e con la voglia di chiarezza. Ne sono sicura, un tocco di bianco può cambiare la vita. Ed è l’unico colore che non devi usare con parsimonia. Abbondare non nuoce, al massimo rischiara.

Quando un pensiero mi si colora di bianco si disperde. Diventa innocuo. I pensieri innocui sono i migliori, garantisco.

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