(973) Stormo

Uno stormo fa effetto. Quelli belli diventano nastro o nuvola o fuoco d’artificio che quando esplode sfarfalla. Quando si posa uno stormo sui rami degli alberi sembra di stare dentro il film di Hitchcock, un brivido ti scorre. E il casino? Indicibile. Mille e mille voci squillanti che si dicono chissà che cosa e ti immagini che si stiano mettendo d’accordo per attaccarti insieme senza pietà. 

Uno stormo è fatto di tanti cuori, fatti ognuno a modo suo se lo stormo è umano.

Volare in stormo ti dà una certa sicurezza, sei meno attaccabile e meno individuabile come singolo. Ti puoi nascondere bene. E nel contempo ti senti invincibile. Questo fa uno stormo, ti rende temibile agli occhi di chi vola in solitaria. Ma uno stormo può esplodere. Basta che uno o due si dimenino un po’ di più e già la compattezza va a farsi friggere. Non è semplice stare in stormo, ci sono dei precisi segnali da seguire, non puoi fare di testa tua. E se non hai voglia di volare, ma l’ordine è quello, non puoi fare altro che sbattere le alucce e volare.

Cosa voglio dire? Niente. È una riflessione come le altre, le mie solite, che mi porta qui o lì per vedere se c’è qualcosa di più di quello che sospetto. E c’è sempre. Arrivata a questo punto penso che la compattezza di uno stormo denunci una debolezza dei singoli. Da soli volerebbero insicuri, disorientati, vulnerabili. Da soli si perderebbero. Da soli andrebbero a sbattere contro muri che conoscono o immaginano soltanto, ma che comunque temono. Da soli sarebbero vittime di predatori, reali o di fantasia, che in stormo pensano di poter vincere. 

Chi vola sicuro e sereno da solo si accompagna volentieri, di tanto in tanto, ad altri compagni di viaggi e magari si unisce a uno stormo per divertirsi un po’, per farsi solidali e resistere a certi attacchi, ma non ha bisogno di uno stormo per sentirsi invincibile. Sa di non esserlo mai. Basta un niente per volare giù e sfracellarsi al suolo. 

Chi vola da solo sa che è da solo che deve saper volare. Lo stormo è la famiglia a cui guardare e a cui tornare, non è il motivo per sentirsi superiore né intoccabile. 

Volare da solo è una conquista di pochi. Bisognerebbe almeno provarci, però, perché ridimensiona tutto.

 

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(847) Neologismi

Oggi mi sono persa nei meandri di un sostantivo che mi motiva parecchio: opportunità. 

opportunità s. f. [dal lat. opportunĭtas-atis]. – 1. [l’essere opportuno: sostenerel’o.diunprovvedimento] ≈ adeguatezza, appropriatezza, convenienza, pertinenza. ‖ necessità, utilità, vantaggio. ↔ inadeguatezza, inopportunità, intempestività, sconvenienza. ↑ dannosità. 2.[circostanza opportuna, favorevole: averel’o.difarequalcosa] ≈ adito, destro, occasione, possibilità, spazio.

Per quanto mi riguarda interagire con una persona opportuna è una benedizione. Non è affatto facile esserlo, bisogna fare attenzione agli spazi e ai tempi (nostri e degli altri).  Mirabolanti acrobazie per il 99% delle volte. Eh.

Passo oltre: l’opportunità – dal mio punto di vista – è quella cosa che si discosta dalla semplice occasione perché porta in sé una crescita. Se la prendi al volo ti porta del bene. La vivo così. Mi sono sbagliata spesso confondendo le opportunità con quelle che erano soltanto delle occasioni, ma non mi sono mai sbagliata quando ho deciso di raccogliere per vedere dove mi avrebbero portato. Hanno una voce suadente, sono delle bellissime sirene, non puoi far finta di nulla. 

Ok, detto questo, mi sconvolge enormemente (sono una dalle facili enfasi, ormai lo sapete) come nella nostra splendida lingua italiana si passi dal positivo opportunità al negativissimo opportunismo :

opportunismo s. m. [der. di opportuno, sull’es. del fr. opportunisme]. – 1. [comportamento di chi sfrutta spregiudicatamente le opportunità del momento] ≈ ‖ camaleontismo, funambolismo, [in politica] trasformismo. 2. (estens.) [spec. in competizioni sportive, capacità di saper cogliere e sfruttare il momento opportuno] ≈ tempismo.

Sfruttare spregiudicatamente le opportunità del momento, e molto probabilmente, creando danno a qualcuno… che pessimo talento, n’evvero? E qui scatta la confessione: il mio annusare le opportunità per muovermi in sintonia con esse (ho usato esse, devo essere proprio ispirata, santidddddio!) è stato molto spesso scambiato per opportunismo sebbene io non mi sia mai permessa – e se dico mai lo dico perché è proprio mai – di creare danno a qualcuno. Mai. Negli anni scorsi m’ha fatto molto soffrire questo giudizio che si trasformava istantaneamente in condanna. Poi ho capito che non condannavano tanto il mio muovermi per acchiappare le opportunità al volo, quanto il mio coraggio di muovermi per tentare di acchiapparle. Ci vuole coraggio per lanciarsi sperando di prendere l’opportunità giusta, quella capace di farti crescere. Io ce l’ho di natura questo coraggio, ma mi sono accorta soltanto in questi giorni che manca un verbo opportuno per definire questa cosa qui, ovvero: opportunità+coraggio = ????

Per-l’amor-del-cielo, ‘sto coraggio m’ha fatto frantumare ossa e naso parecchie volte, ma niente mi ha mai fermato. Un’opportunità, se hai il coraggio di misurarti con onesto sentire, ti porta sempre un po’ più in alto. Innalza la tua vibrazione, la conoscenza di te stesso, la percezione del mondo e di te che ti muovi nel mondo, col mondo, anche in opposizione al mondo intero – se servisse – non importa quali siano le conseguenze. Voli alto.

Ok, non sono malata di opportunismo, ma di OPPORTUNAGGIO. La qualità – si tratta di un valore positivo – di afferrare con audacia un’opportunità che senti ha potenziale, che potrebbe farti volare. Non è detto succeda, ma potrebbe succedere. E quando succede, tu voli. Poi l’atterraggio è quel che è, magari ti tocca farne uno di fortuna e ti maledici per il tuo azzardo… ma non te ne penti. Sei pronto a rifarlo ancora. Non te ne potrai mai pentire perché lo hai fatto, non lo hai soltanto pensato, non lo hai soltanto sognato, non te lo sei ripromesso per poi tirarti indietro. Lo hai fatto. Basta. Puoi morire tranquillo.

Opportunaggio. Fateci caso, funziona.

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(710) Sassi

I sassi si possono tirare. E fanno male a riceverli, se non li prendi al volo. I sassi che ti colpiscono ti vien voglia di rimandarli al mittente in presa diretta, se non lo fai è perché non sei fatta così, tu i sassi non li tiri.

Non li tiri un po’ perché non ti viene in mente, nel senso che sei impegnata a fare altro, un po’ perché sai che fanno male e alla fin fine fare il male con intenzione non ti farebbe dormire bene la notte, e un po’ perché i sassi son come boomerang, tornano indietro facendo un bel giro largo e ti colpiscono con precisione svizzera.

Con i sassi ricevuti ho riempito diversi vuoti, soltanto perché non sapevo dove metterli e li ho messi lì dove pensavo mi sarebbero stati utili a qualcosa. In realtà, i sassi non si deteriorano, si fanno prove eterne di ciò che hai ricevuto e non è un bel servizio che ti fanno, ricordare fa persistere il dolore.

Fatto sta che con tutti questi sassi non sapevo che fare, e li ho messi un po’ qua e un po’ là. Ogni tanto li conto e non ne manca mai uno. Si sono proprio affezionati. Vorrei trovare un posto lontano da me per lasciarli liberi, per farli respirare un po’, ma non è che posso buttarli addosso a qualcuno come se la cosa non mi riguardasse. C’è scritto il mio nome sopra, eh.

Quando li guardo vorrei rilanciarli ai mittenti, perché non sono buona e il pensiero vendicativo lo conosco bene, ma poi lascio sempre perdere e non lo so neppure io il perché. Ora che ci penso: e se li togliessi dai miei vuoti e li raggruppassi per farne una montagnetta? Dall’alto la visuale migliora…

Ecco, forse ho capito a cosa mi possono servire. Ora mi arrampicherò fin lassù per vedere che aria tira. Una volta raggiunta la cima un’altra idea mi verrà di sicuro. Sono pronta.

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(653) Jazz

Un ricamo, un volo con ritorno e nuovo volo, un dare per raccogliere altrove, un passo e poi un altro in direzione arzigogolata, ma efficace. Tenere il ritmo a suon di Jazz è un’impresa. Ma si può fare.

Devi solo essere disposto a rischiare un po’. Ti affidi al Cielo e a quel che verrà.

In questi giorni sto vivendo un’avventura Jazz che non mi sarei manco mai immaginata, a raccontarla ora mi vien difficile perché ne sono immersa fino oltre il collo e le parole vanno dove vogliono senza chiedermi il permesso. Non ho voglia di fermare i pensieri, non ancora. Allora perché sono qui a scrivere? Perché il mio impegno l’ho preso sul serio, mi ero promessa che nonostante tutto lo avrei fatto, anche quando completamente incapace di tenere le briglie in mano – nonostante non abbia bevuto un solo goccio d’alcool. Eccomi qui, allora.

Avere la festa nel sangue, le orecchie alla Dumbo che sventolano seguendo note e voci. Così mi sento.

E mi rendo conto che si tratta di uno stato d’animo benedetto che dovrei metterlo al sicuro per tirarlo fuori quando l’energia scarseggia, quando il grigio sale al trono usurpando il potere, quando le risorse mancano così come manca l’aria. Dovrei pensarci ora, ma come si fa?

Rincorrere il cuore che saltella? Domare i neuroni che sfrigolano? Ma perché? Lascia che il caos faccia il suo lavoro, ci sarà altro tempo per rimettere in ordine.

And all that jazz!

Come on babe, why don’t we paint the town, and all that Jazz
I’m gonna rouge my knees and roll my stockin’s down
And all that Jazz
Start the car, I know a whoopee spot
Where the gin is cold but the piano’s hot
It’s just a noisy hall, where there’s a nightly brawl
And all – a-that – Ja-yazz
Slick your hair and wear your buckle shoes, and all that jazz
I hear that Father Dip is gonna blow the blues, and all that jazz
Hold on hon, we’re gonna bunny-hug
I bought some aspirin down at United Drug
In case we shake apart and want a brand new start
To do – a-that – Ja-yazz
No I’m no-one’s wife, but oh I love my life
And all… that… Ja-yazz… that Jazz!

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(375) Lisergico

Rifuggo per natura tutto quello che chimicamente può spingere oltre le mie sinapsi. Ho sempre avuto la sensazione che basterebbe una spinta un po’ più forte e per me non ci sarebbe ritorno. Credo anche che rientrare in una realtà/gabbia dopo che ti sei fatto un bel volo sia il modo migliore per non voler più ritornare in quella gabbia. In poche parole: accetto la mia condizione e cerco di fare tutto quello che posso per non morire soffocata. Per esempio, scrivo.

Non giudico chi vola al di là di se stesso usando metodi pericolosi, penso soltanto che non ne valga la pena. La vita reale non fa schifo, a meno che tu non voglia solo vederla e viverla nei suoi momenti peggiori.

Ho fatto scelte diverse da molti miei coetanei, né migliori né peggiori, e nel bene e nel male mi posso prendere tranquillamente tutte le responsabilità del caso. Ero in me, non ho giustificazioni. Ero in me, non ho meriti pazzeschi. Ero in me e ho sperato che bastasse. Molte volte non è bastato, essere me non è il modo migliore per raggiungere risultati esorbitanti. Essere Einstein sicuramente sì.

Tutto questo pensiero grottesco m’è uscito da non so dove, forse da un commento che spesso ho colto di qua e di là riguardo a quanto faccia bene questo e quanto faccia male invece quello (marijuana vs alcool) e io non so mai se posso dire quello che penso oppure no, perché ogni volta che estrinseco il mio modesto pensiero qualcuno si incazza e mi dice che sono una bacchettona. E a me la marija mi fa vomitare e la grappa mi fa sputare i polmoni, non ci posso fare niente.

Mi domando, però, perché se sono in una stanza – sobria tra ubriachi – devo essere io quella che si scusa. Sicuramente sono io quella che se ne va. Ma senza rancore, solo un po’ perplessa su come le cose si ribaltino in fretta e io riesca a finire sempre con il culo per terra.

C’est la vie.

 

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(152) Decollo

La fase di decollo è cosa delicata. Prendi velocità e ti stacchi dal suolo e poi con una certa costanza prendi quota. Tutto lì. Quello che può andare storto, però, richiederebbe una lista lunga – dal guasto al motore fino alla lepre che può attraversare la pista e colpire il carello.

Non è che per decollare a te serve sapere nei dettagli la rosa dei possibili disastri. Ti basta averne una parvenza di idea laggiù in fondo al tuo cervello, e ostinatamente ignorarla. Altrimenti il volo si trasforma in un incubo.

Non soffro il mal d’aereo, amo volare. Non dico che sia una cosa fisicamente che mi galvanizza (qualche fastidio lo sento), ma passa assolutamente in secondo piano e – ripeto – amo volare. Ovvero: decido di ignorare qualsiasi cosa mi possa togliere, o anche solo dimezzare, il piacere di spiccare il volo.

Detto questo: sento che sto decollando. Breve o lungo che sia/sarà il volo, so che la lista di tutto quello che può andare storto è consistente. Decido di ignorarla. Non vedo l’ora di staccarmi dal suolo per godere di quella nuova prospettiva che ti fa sentire le farfalle nella pancia.

Amo volare.

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(35) Originale

L’ambizione ormai sfiora l’utopia, se prendiamo in considerazione il primo significato di Originale cadiamo malissimo: creare qualcosa che non s’è mai visto prima? Impossibile.

Eppure, se passiamo oltre e ci apriamo al secondo significato del termine troviamo un bellissimo:

autentico, genuino, vero

Lì bisogna andare a parare. Trovare le condizioni per realizzare qualcosa che in modo autentico rappresenti non te stesso bensì la tua Visione.

Una Visione mica si copia, o la si ha o non la si ha. Ci nasci con una Visione, non funziona se ti aggrappi alla Visione di qualcun altro. Puoi copiare i gusti degli altri e farli passare come tuoi, puoi scimmiottare desideri e sogni… le Visioni, no.

Nascono da un genuino bisogno di raggiungere l’orizzonte in volo.

Nessun uccello vola allo stesso modo di un altro anche se tutti sanno toccare il cielo. Ognuno sente il vento a modo suo. Ognuno può osare secondo la propria natura.

Ambire all’autenticità, al bisogno genuino, al vero della propria natura, non è utopia è piano per la propria esistenza.

Non c’è fucilata di cacciatore che potrebbe fermare un volo che parte da queste premesse. Tsé!

b__

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