(1028) Bivacco

Mai avuto la sensazione  che la vostra vita sia un bivacco? In procinto di ripartire, di traslocare, di andare altrove? Di vivere come se non apparteneste a quel luogo, ma esservi fermati in una tappa lì nel mezzo del cammin di nostra vita perché la notte vi ha sorpreso durante il viaggio… insomma, qualcosa del genere. Mai?

Ecco, non è concettualmente una cosa brutta, ma in certi giorni la realtà può schiacciarti al suolo e di ripartire hai proprio zero voglia. Eppure, devi farlo. Raccogli le tue poche cose e ti incammini di nuovo sul sentiero che ti porterà altrove. Dove? Boh. Altrove.

Che nella pratica, è bene sottolinearlo, non significa che cambi vita, che cambi casa o lavoro o fidanzato o testa. No. Tutto rimane lo stesso. Questo è lo scollamente che provoca la sottile devastazione intima che ti accompagna. Il paradosso letale.

Va bene, so che di ogni cosa so farne un dramma e – comunque – non mi prendo così sul serio come sembra, ma questa cosa qui, questo bivaccare in procinto di spostarsi, è veramente logorante. E le frasi di consolazione tipo “nulla è per sempre”, non è che sollevano il morale, ti fanno piombare in un baratro di cinismo alla Jessica Jones (che tutti i torti non ha, po’ra stela).

La vita non è mai troppo chiara, neppure quando ti dà segnali forti che sembrano inequivocabili tu sai che parla per metafore, e io con le figure retoriche non sono bravissima, me le confondo, e soprattutto mi confermo un’incapace davanti ai rebus, alle sciarade e agli anagrammi… un’ebete totale. Quindi – va da sé – riuscire a capire cosa diavolo significhi davvero questo bivacco di vita in cui sono intrappolata diventa abbastanza faticoso.

Ok, capire è forse un verbo sopravvalutato – se riguarda me in primis – ma qualcosa vorrà pur dire, qualcosa sotto c’è di sicuro. 

Ah, già… è martedì. Questo spiega tutto.

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(973) Stormo

Uno stormo fa effetto. Quelli belli diventano nastro o nuvola o fuoco d’artificio che quando esplode sfarfalla. Quando si posa uno stormo sui rami degli alberi sembra di stare dentro il film di Hitchcock, un brivido ti scorre. E il casino? Indicibile. Mille e mille voci squillanti che si dicono chissà che cosa e ti immagini che si stiano mettendo d’accordo per attaccarti insieme senza pietà. 

Uno stormo è fatto di tanti cuori, fatti ognuno a modo suo se lo stormo è umano.

Volare in stormo ti dà una certa sicurezza, sei meno attaccabile e meno individuabile come singolo. Ti puoi nascondere bene. E nel contempo ti senti invincibile. Questo fa uno stormo, ti rende temibile agli occhi di chi vola in solitaria. Ma uno stormo può esplodere. Basta che uno o due si dimenino un po’ di più e già la compattezza va a farsi friggere. Non è semplice stare in stormo, ci sono dei precisi segnali da seguire, non puoi fare di testa tua. E se non hai voglia di volare, ma l’ordine è quello, non puoi fare altro che sbattere le alucce e volare.

Cosa voglio dire? Niente. È una riflessione come le altre, le mie solite, che mi porta qui o lì per vedere se c’è qualcosa di più di quello che sospetto. E c’è sempre. Arrivata a questo punto penso che la compattezza di uno stormo denunci una debolezza dei singoli. Da soli volerebbero insicuri, disorientati, vulnerabili. Da soli si perderebbero. Da soli andrebbero a sbattere contro muri che conoscono o immaginano soltanto, ma che comunque temono. Da soli sarebbero vittime di predatori, reali o di fantasia, che in stormo pensano di poter vincere. 

Chi vola sicuro e sereno da solo si accompagna volentieri, di tanto in tanto, ad altri compagni di viaggi e magari si unisce a uno stormo per divertirsi un po’, per farsi solidali e resistere a certi attacchi, ma non ha bisogno di uno stormo per sentirsi invincibile. Sa di non esserlo mai. Basta un niente per volare giù e sfracellarsi al suolo. 

Chi vola da solo sa che è da solo che deve saper volare. Lo stormo è la famiglia a cui guardare e a cui tornare, non è il motivo per sentirsi superiore né intoccabile. 

Volare da solo è una conquista di pochi. Bisognerebbe almeno provarci, però, perché ridimensiona tutto.

 

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(903) Nervi

La tenuta dei miei nervi ha un limiti. Credo sia una cosa positiva avere dei limiti, almeno sai dove ti dovresti fermare. I limiti dei miei nervi li ho sempre un po’ sottovalutati. Sbagliando.

A questo punto della situazione, loro hanno deciso di farmelo presente. E hanno fatto bene, mi hanno fatto male, ma hanno fatto bene.

Negli ultimi due mesi ho ignorato volutamente i segnali, ho pensato che non potevo fermare le cose pertanto avrei dovuto comunque estenuarmi finché non si sarebbero sistemate. Così ho fatto. Non tutto è a posto, ma si sta sistemando. Sollievo, giusto? Ecco. No. No, perché i miei nervi mi stanno facendo presente che non è che sono elastici, che li tiri e li molli a seconda di come ti pare a te.

Mi stanno facendo sgambetti poco piacevoli che devo in qualche modo gestirmi. I primi sono stati inaspettati. E sono finita a terra. Ripetutamente. Ora, ho capito e li vedo arrivare. Quindi se finisco a terra non sono più sorpresa, soltanto rassegnata perché così dev’essere.

Qui potrei anche psicanalizzare tutto il mio operato dalla nascita all’età odierna, ma mi sembra davvero inutile. Voglio dire, interessantissimo certo, ma piuttosto fuorviante considerato che c’è ben poco di nascosto per quel che riguarda le mie magagne da tirare fuori per estrinsecare traumi e sofferenze. Evitiamo, grazie. Quello che posso fare, invece, è focalizzarmi sui limiti della mia tenuta-nervi, che è pur sempre un argomento affascinante (almeno per me).

Ho capito che li ho sottoposti a uno stretching di parecchi parecchi parecchi anni contro il loro volere. Ho capito che il loro volere è comunque da tenere in considerazione. Ho capito che a fermarmi prima magari avrei evitato quello che adesso mi ha shakerato (no, non è stato bello), ma forse non sarebbe bastato. Forse mi avrebbe soltanto shakerato meno. Forse.

In pratica ho camminato sopra un lago ghiacciato, con la pretesa di non farlo crepare, e seppur io ce l’abbia fatta a raggiungere l’altra sponda, la superficie del mio lago è decisamente crepata. Di brutto. Che fare quindi? Non lo so. So che sta entrando la primavera e comunque ci sarà il disgelo e comunque io sono ormai sulla riva e comunque è andata bene anche stavolta.

Ma, comunque, sono esausta.

Eh.

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(756) Segnali

Le coincidenze non esistono, esistono i segnali: questo mi ha insegnato “La Profezia di Celestino” (quando avevo circa 22 anni). Da allora non fui più la stessa, divenni in tutto e per tutto una cacciatrice di segnali.

Non è un bel vivere, ve lo garantisco. Tutto quello che accade ha un significato ben più profondo di quello che in superficie si è in grado di scorgere. La vita è un intricato miscuglio di presenze misteriose, apparizioni significative e codici da decifrare. Neppure le ore ti dicono il vero, lo scorrere del tempo è un muoversi di dimensione parallela in dimensione parallela fino a perdere il senso di tutto. Un vero inferno.

Vero, ma non del tutto. Ci sono segnali che son lì apposta per te. Non stanno aspettando nessun altro. Vogliono aiutarti a capire qualcosa. Se fai finta di niente peggio per te.

Ecco, questo peggio-per-te mi è più insopportabile del pensiero della morte, perché significa che me la sono voluta io. Ora: cosa sarà mai una vita trascorsa a elucubrare sui massimi sistemi al confronto di un maledetto peggio-per-te che ti si può palesare in qualsiasi istante per qualsivoglia motivo con violenza incontrollabile e mai davvero indolore? Nulla.

Quindi sto attenta. Sto attenta a quello che mi capita, a quello che mi tocca, a quello che mi circonda, a quello che sembra uno stramaledetto caso ma… potrebbe non esserlo. Anzi: sono sicura che non lo è. E nove volte su dieci, udite udite, è proprio così. D’altro canto non è che con un’indole del genere e un tardo-imprinting di ‘sto calibro potevo diventare altro se non una che viaggia con le storie h24/7, eh!

Però. Però li trovo davvero i segnali. Però non solo li trovo davvero, ma poi significano davvero qualcosa. E ammetto che una certa soddisfazione ce l’ho, e che in questo inferno di ricerca e lavorio sinaptico mi ci diverto un sacco.

Evviva Celestino, evviva la Profezia!

 

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