(653) Jazz

Un ricamo, un volo con ritorno e nuovo volo, un dare per raccogliere altrove, un passo e poi un altro in direzione arzigogolata, ma efficace. Tenere il ritmo a suon di Jazz è un’impresa. Ma si può fare.

Devi solo essere disposto a rischiare un po’. Ti affidi al Cielo e a quel che verrà.

In questi giorni sto vivendo un’avventura Jazz che non mi sarei manco mai immaginata, a raccontarla ora mi vien difficile perché ne sono immersa fino oltre il collo e le parole vanno dove vogliono senza chiedermi il permesso. Non ho voglia di fermare i pensieri, non ancora. Allora perché sono qui a scrivere? Perché il mio impegno l’ho preso sul serio, mi ero promessa che nonostante tutto lo avrei fatto, anche quando completamente incapace di tenere le briglie in mano – nonostante non abbia bevuto un solo goccio d’alcool. Eccomi qui, allora.

Avere la festa nel sangue, le orecchie alla Dumbo che sventolano seguendo note e voci. Così mi sento.

E mi rendo conto che si tratta di uno stato d’animo benedetto che dovrei metterlo al sicuro per tirarlo fuori quando l’energia scarseggia, quando il grigio sale al trono usurpando il potere, quando le risorse mancano così come manca l’aria. Dovrei pensarci ora, ma come si fa?

Rincorrere il cuore che saltella? Domare i neuroni che sfrigolano? Ma perché? Lascia che il caos faccia il suo lavoro, ci sarà altro tempo per rimettere in ordine.

And all that jazz!

Come on babe, why don’t we paint the town, and all that Jazz
I’m gonna rouge my knees and roll my stockin’s down
And all that Jazz
Start the car, I know a whoopee spot
Where the gin is cold but the piano’s hot
It’s just a noisy hall, where there’s a nightly brawl
And all – a-that – Ja-yazz
Slick your hair and wear your buckle shoes, and all that jazz
I hear that Father Dip is gonna blow the blues, and all that jazz
Hold on hon, we’re gonna bunny-hug
I bought some aspirin down at United Drug
In case we shake apart and want a brand new start
To do – a-that – Ja-yazz
No I’m no-one’s wife, but oh I love my life
And all… that… Ja-yazz… that Jazz!

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(316) Ricamo

Ognuno si ricama la vita a proprio gusto, col proprio estro, con i mezzi che ha a disposizione, con desideri e piccoli/grandi sogni che si è cullato lungamente nelle notti in cui dormire era fuori questione.

L’arte del ricamo richiede pazienza, abilità e un disegno sotto. Non ricami improvvisando, ricami seguendo un disegno. Quindi prima disegni, poi ci ricami sopra. Perché? Perché il ricamo è così. Se non ti garba cambia attività.

L’arte del ricamo è quella cosa che non ti rende una stella, ma ti scopre stella nel tuo intimo. Questo credo e constato nel mio andare e incontrare.

Una cosa c’è da dire, però: se qualcuno incontra il tuo ricamo e ci si immerge scoprendone la Bellezza dei dettagli, allora è lì che questo qualcuno brillerà – ed ecco esplicitata la magia.

Non so se ho reso l’idea, ma nella mia testa è così chiara che ridurla in parole equivale a mortificarla. Ricamare la propria esistenza seguendo il nostro intimo disegno è la strada per il Nirvana (per la serie: Perle di Saggezza de no’altri).

 

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(18) Improvvisare

Ho sempre lavorato molto e, anche quando facevo lavori che non mi piacevano, ho sempre lavorato con l’intento di fare le cose per bene. Sono stata cresciuta così e, a dirla tutta, sono grata ai miei genitori per avermelo insegnato con il loro esempio più che a parole.

Non mi piace chi s’improvvisa, chi pensa di saper fare e invece non sa fare ma si vende bene e quindi la cosa passa via così, senza colpo ferire (si dice così, no?). Credo che qualsiasi mestiere, qualsiasi professione, abbiano bisogno di basi solide su cui improvvisare. Ogni lavoro porta con sé un mondo di sapere, di abilità, di talento, di capacità.

Mai sottovalutare il lavoro degli altri. Mai.

La vita, comunque, è anche improvvisazione. L’ho imparato facendo una fatica del diavolo perché è difficile buttarsi quando guardi giù e non c’è rete di protezione. O sei scemo o sei pazzo, se lo fai. O sei obbligato a farlo. Ecco, la vita mi ha obbligata a farlo e mi ha obbligata a farlo spesso, mi ha forzata a imparare. L’ho odiata: ero sempre piena di ematomi, contusioni, distorsioni, escoriazioni e sempre dolorante. Non è facile apprezzare i colpi quando ti stanno facendo a pezzi, ma dopo (se sei fortunato e sopravvivi) puoi guardarli in modo diverso.

Improvvisare, ora, significa tirare fuori il meglio da me stessa quando non so cosa diavolo sta succedendo e sono chiamata comunque a fare o a dire qualcosa.

Smetti di pensare e agisci: parla o fai.

Questo è l’ordine che mi do quando mi trovo in una situazione critica e non posso fare finta di niente. Improvviso, forte di quello che ho attraversato in questi miei anni, di quello che ho capito, di quello che ho visto, sentito, letto, sperimentato, sbagliato, azzeccato, fatto morire e fatto vivere. Forte di quella che ero e di quella che sono diventata.

Non è improvvisare dal niente, è più un ricamo jazz.

No, la paura di dire la cosa sbagliata, di agire causando danni a destra e a manca, mi è rimasta. Faccio solo finta di essere un po’ sorda o troppo distratta dal resto per farci caso. Smetto di pensare e vado.

La verità è che il jazz, ora che lo bazzico da un po’, mi piace e la mia libertà è fortemente legata all’improvvisazione, e anche questo mi piace.

b__

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