(1005) Notte

Quando la notte scende la testa mi rallenta. È come se riconoscesse questa dimensione come il suo luogo, dove espandersi e mettersi comoda. Va, indipendentemente da me, dove vuole andare e trova esattamente quello che le serve per sostenersi e sostenermi durante il giorno. Questo quando è in stato di veglia, una volta addormentata non so che fine faccia e dove si vada a cacciare. Preferisco quasi non saperlo, evitiamo di incrementare l’ansia, per favore.

La mia notte ideale parla di energie assopite che si risvegliano, di sguardi che si fanno più lucidi, di vicinanze che se ne infischiano dei confini e cose così. La mia notte ideale non fa casino, assorbe significati e brilla di luce calda.

C’è chi approfitta della notte per uscire allo scoperto, io preferisco nascondermi con lei. Di giorno è tutto troppo pieno, la luce acceca. Di notte la vista si concentra sulla percezione più che sulla forma. L’intensità della sostanza, anche quella più impalpabile, si palesa senza bisogno di forzarla.

Ci sono sottili trame che aspettano nella notte. Ci sono suoni che vibrano suadenti nella notte. Ci sono anime che si fanno trasportare dai sogni di chi non le può toccare, non temendo trappole.

E ci sono io. Che vago senza meta. Ma questa è un’altra storia. E per nulla interessante.

 

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(991) Unicorno

Dovremmo averne tutti uno. Da tenere segreto, da tirar fuori quando le cose non vanno proprio bene. Dai, trasferiamoci tutti a Fantasilandia ed è fatta!

In questa nostra pesante realtà, un Unicorno potrebbe essere la capacità di auto-sostenerci con spunti creativi che riescano a risolvere le nostre miserie. Fattibile ma impegnativo. Bisogna non perdersi d’animo e mantenere un certo livello di fede nel proprio potere. Se ce la fai sei il/la King.

In mitologia, la creatura magica è uno splendido cavallo bianco con un corno in mezzo alla fronte che non si fa avvicinare se non da un cuore puro. Avrebbe comunque vita dura qui da noi. Forse lo sa ed è per questo che ci sta alla larga. 

A me basterebbe vederlo da lontano, o con la coda dell’occhio, così tanto per saziarmi un po’ della sua bellezza. C’è una sorta di consolazione nel riuscire a immaginarsi meritevoli, immaginarsi capaci di avvicinare una creatura talmente potente da non guardare a sé stessa come proprietà d’altri. Sapersi appartenere e basta.

Certe distanze siderali affaticano la percezione, raramente intercettano quel calore che rincuora. Queste distanze pagano il dazio ogni volta che pensano di poter varcare certi confini per saldare vecchi conti e mettersi in pari.

Ci sono Unicorni che ci galoppano attorno, credo, e noi non ce ne accorgiamo perché siamo confinati in terre desolate dove sappiamo soltanto rotolare, senza mai trovare pace.

Cos’è poi la purezza se non la resa al bene più grande?

 

 

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(893) Vita

Quello che ti aspetti da parte della vita, quando sei giovane, e quello che ricevi mentre vivi – il gap può lasciarti davvero con l’amaro in bocca. Ma come si fa a non aspettarsi nulla quando si è pieni zeppi di energia e sogni? Ad averlo saputo magari ci avrei provato, forse mi sarei rovinata tutto quello che di bello m’è arrivato e forse mi sarei difesa meglio ogni volta che il peggio si faceva presente. Non lo so.

E forse parlare di vita significa puntare troppo in alto. Non l’ho capita granché, come faccio quindi a scrivere di qualcosa che non ho ancora chiaro?

Ogni post di questi oltre due anni partono dal presupposto che sto parlando di qualcosa che vivo e quindi la mia versione, la mia traduzione, della questione è in qualche modo giustificata. Sono dettagli, solo dettagli. Quello che è, invece, l’argomento che comprende tutto (il titolo di questo post) è difficilmente affrontabile partendo da basi solide di ignoranza.

Pertanto temo che stasera mi limiterò a ribadire la mia incapacità a comprenderla, a gestirla, a renderla assolutamente mia. Ne prendo sempre e soltanto un pezzetto, il resto mi scivola via. Ne ho una percezione talmente bassa da sorprendermi di non essere ancora stata imbalsamata. Mummificata.

Quando sento la gente parlare di vivere-la-vita-pienamente, mi soffermo a pensare a quanto quel pienamente possa significare. Lo trovo un po’ vago, vorrei un po’ più di precisione. Se mi esorti a muovermi pienamente nella mia vita, pretendo almeno un paio di specifiche in più. A destra, a sinistra, in alto, in basso? Pienamente rispetto a chi o a che cosa? Stare sul vago è poco corretto, dai!

Non so se sarei capace di vivere pienamente comunque, secondo me è troppo. Come fa il mio cuore a tenere il passo? Pienamente è decisamente fuori dalla mia portata, siamo seri!

Posso forzarmi a vivere un po’ di più, questo posso. Ogni giorno un po’ di più. Finché il cuore reggerà. Ovviamente.

 

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(868) Disturbare

Disturbare il flusso dei pensieri di qualcuno è sempre delicato. Ti introduci senza essere invitato in una festa che non solo non è tua, ma che rovinerai con la tua presenza senza se e senza ma. In linea di massima non si fa. Poi ci sono le eccezioni. Quelle ci sono sempre, lo sappiamo.

L’attività disturbante che uno può mettere in atto in qualsiasi momento, a scapito di qualcuno e addirittura di sé stesso, se strategica porta alla vittoria, se senza discernimento porta a un calcio nel sedere. Ben meritato, aggiungerei.

Essere disturbati può attirare diverse conseguenze: perdi il filo dei pensieri (e può essere una tragedia se ti trovi dentro il flusso creativo o può essere la salvezza se ti trovi dentro un loop di disperazione), perdi la pazienza (e-che-il-cielo-abbia-pietà-di-te-oh-disturbatore!), perdi la voglia di rimettertici d’impegno nel finire quello che stavi facendo (se era un’attività che facevi malvolentieri o meno il risultato sarà diverso, ovvio).

Disturbare qualcuno funziona come atto disturbante se il disturbato si sente tale. Se non ci fa caso, il tuo disturbare perde forza, perde senso, perde valore. Sei soltanto uno che interrompe, ma che non viene preso come un maledetto scocciatore. Quindi il concetto legato al verbo “disturbare” è necessariamente legato alla percezione del disturbato.

Interessante vero? A seconda della tua percezione il mio stato cambia. Sono legato alla tua percezione per determinare se le mie intenzioni si esplicitano in positivo o negativo. Eh.

Se sei disturbato, in realtà, sei disturbato da qualcosa o da qualcuno. E non è detto che quel qualcosa o quel qualcuno stiano fuori da te. Potrebbero essere dentro la tua testa e basta. E qui si apre un mondo, vero?

Non so perché stasera ho affrontato questo pensiero. Forse sono stata disturbata mentre elucubravo su altro. Un flusso creativo interrotto è disturbante, non si fa, bisogna evitarlo a tutti i costi. Quello che per grazia ti aveva avvicinato se ne andrà per sempre e senza neppure far rumore. Un doloroso abbandono.

State lontani dai disturbatori di flussi creativi. O imparate a dare testate a chi se le merita. Io vi ho avvertito.

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(758) Singhiozzo

Le cose che mi fanno incazzare sono tante e sono sempre di più. Non sono mai stata troppo zen, ma ultimamente sto peggiorando. Me ne devo preoccupare? Ecco, forse la cosa più preoccupante è che non credo io me ne debba preoccupare. 

La cosa peggiore è non riuscire a pensare in santa pace. Tutto mi disturba, ma proprio tutto. I rumori, i suoni, le interruzioni, gli accapo. Tutto. Mi riduco a pensare a singhiozzo, con la sensazione di non completarne uno che uno giudicabile minimamente valido.

Nella pratica, nei fatti intendo, non è così veramente, addirittura sto sfornando pensieri a più non posso, addirittura riesco a realizzarli, addirittura riescono pure a piacermi… ma la mia percezione è alterata. Se vogliamo dirla tutta la mia percezione in generale è alterata. Non sento più come prima. Non è più niente come prima. Come prima quando? Non lo so! Prima e basta! [ndr. notare il picco d’isteria che ormai è diventata una mia caratteristica preponderante]

Dovrei preoccuparmi anche di questo, me lo sta suggerendo la coscienza, ma i pensieri vanno altrove, non so dove, ma comunque altrove. Vanno a precorrere i tempi, accelerano in flashforward inquietanti dove i miei punti di riferimento ballano la rumba in modo ridicolo anziché sostenermi.

Mi rendo conto che tra i post più inutili che io abbia finora scritto questo vince di brutto, ma descrivere esattamente questo fastidio che mi mangia in testa è una sfida che ancora non posso vincere. Magari la capirò meglio tra un po’. Magari mi si svelerà l’arcano quando sarò già cambiata e non mi servirà più a niente o magari no. So solo che questa confusione, in questo preciso momento, mi fa incazzare perché non so da che parte prenderla.

Ecco – Hic!

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(733) Volare

Forse ho dimenticato come si fa. Dico forse perché mentre ci penso mi distraggo, come se qualcosa mi portasse via per non farmene accorgere. Mi disturba non essere in grado di misurare quel che di me ho perso. Mi lascia troppe domande aperte e mi sento gelare.

Volare mi riusciva piuttosto bene, riuscivo a staccarmi dal mio stato materiale per immaginare quello che avrebbe potuto essere e che – forse – speravo che sarebbe stato. Temo che il fatto che non si sia mai avverato nulla di quello che immaginavo giochi un ruolo determinante nel mio stato attuale di impossibilità a librarmi in volo. Non ci riesco, rimango ancorata alla terra, a quello che c’è e a quello che sta per accadere. Mi si strozza in gola il respiro e mi sembra che sia questo l’unico respiro disponibile per me ora.

Ora? Sì, ora che sono grande. Ora che al massimo posso invecchiare, ma non posso più crescere ed espandermi. Ora che devo ritirare un po’ le armi, giocare più d’astuzia che di impeto passionale. Ora che riflettere è diventato l’imperativo e comprendere si rende bussola indispensabile per segnarmi il cammino.

Non ho troppa voglia di fare conti e calcoli per capire che landa desolata io stia sorvolando mentre il motore in avaria mi sta imponendo un atterraggio di fortuna. Eh, sì. Fortuna che me ne sono accorta in tempo, fortuna che son ancora qui a raccontarla, fortuna che ho ancora braccia e gambe per proseguire, fortuna che gli occhi mi si sono asciugati e che il bisogno di orizzonti azzurri non è più un’ossessione ma soltanto una nostalgia, una delle tante. Anche se la nostalgia annebbia la percezione del valore delle cose presenti, chi riesce più a farne a meno?

Volare, per quanto ormai mi è possibile, è un volare breve a bassa quota. Temo non sia più un vero volare, ma soltanto il ricordo di quel che ero solita fare senza chiedere il permesso a nessuno, senza inventare giustificazioni. Non dico che stavo meglio prima di ora, eppure sapere che mi sono dimenticata di come si può raggiungere il cielo con il cuore brillante mi rende triste. Sarà che è tardi, sarà che sono stanca, sarà che manco in questo momento d’immaginazione. Chi lo sa.

Chi lo sa.

Buonanotte.

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(502) Quintessenza

Incontrare la quintessenza dell’incompetenza è un’esperienza che consiglierei a tutti. Se poi si unisce alla quintessenza dell’arroganza, si raggiunge il top. Anche questa la consiglierei, perché da quel momento in avanti il mondo non ti sembra più lo stesso.

È come se ti si fossero spalancate le porte della percezione, dove tutto quello che pensavi fosse illusorio diventa reale e tutto ciò su cui basavi il tuo solido sapere si rivelasse essere aria fritta.

Non riesci a capacitarti del fatto che quello che stai vivendo sia un evento eccezionale e al contempo non così raro – solo che a te, con questa intensità, non era mai capitato – e che per quanto tu faccia non potrai cambiare le cose: la quintessenza (di qualsiasi cosa) vince su tutto.

E non serve appellarsi al buonsenso, ai limiti che non vanno superati, al rispetto per una professionalità che vive di esperienza e preparazione… macché! Tutte idiozie, l’arroganza da sola potrebbe ribattere con veemenza che i soldi fanno il padrone e gli altri son pur sempre schiavi, figuriamoci quando questa arroganza viene sublimata a quintessenza. Non se ne esce.

Ci sono tanti modi per vivere, e vivere da arroganti (anche se sublimati) non è mai stata una mia ambizione, ma per quanto io cerchi di scappare vado sempre a cozzare con una fottuta quintessenza di qualcosa e – come ho già detto – non c’è battaglia che tenga, è sempre lei che vince. Vince su tutto.

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(322) Vino

La terra da cui provengo è terra di vigne e ottimi vini. Sono cresciuta in un ambiente dove si mangia e si beve in compagnia, non solo nei momenti di festa, ma sempre. Con moderazione nel quotidiano e smisuratamente se si festeggia.

Di fondo sono astemia, bevo un po’ e mi fermo. Mi autoregolo naturalmente, senza bisogno di pensarci, sono fatta così. Non so se sia perché ho visto da troppo vicino cosa succede quando si oltrepassa il limite, il limite dello stare bene. Basta poco e sei già al di là e lo stare bene si trasforma in stare male.

Crescendo ho scoperto un altro modo di gustare il vino, quello degli esperti. Ho visto il business e ho visto la magnificenza della comunicazione legata a questo prodotto della terra. Assaggiare, mi piace ma rimango comunque io e non vado oltre – anche a rischio di risultare poco conviviale.

Perché mi sono infognata in questo discorso? Forse perché rimango sempre molto colpita dalla capacità di andare oltre nonostante lo stare male che ci infliggiamo. Mi domando sempre il perché. Ho sempre creduto di difettare di amore nei confronti di me stessa, ma forse mi amo più di quello che penso e lo dimostro autoregolandomi.

Eppure, agli occhi degli altri non è così. Le cose sono due: o mi so nascondere un gran bene o manco di lucida percezione del reale. Rimango basita a prescindere.

 

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(303) Proiezione

Quando sei proiettata oltre i tuoi confini, la distanza da cui ti guardi è fondamentale. Rischi di non capirci niente o capirci troppo. Rischi persino di confondere quel che vedi con quello che vorresti vedere. Se sei astigmatica come me è come andar di notte a fari spenti.

Mi sto domandando se capita a tutti, se quello che vediamo di noi è una proiezione di quel che vorremmo essere o se è una percezione fedele di quel che siamo. La cosa strana è che più cerco di addentrarmi in questa analisi e più le idee si confondono. Più metto a fuoco, più la proiezione s’avvicina ai miei confini per farsi attraversare. E mi perdo.

Ho trascorso lunghi periodi fregandomene di ‘sti cavilli psico-filosofici, avevo di meglio da fare (o forse cose più urgenti da affrontare) e credo sia stato un bene. Sospetto addirittura che io d’istinto benedica ogni periodo indaffarato perché mi impone di scostarmi da questo dilemma.

Sono spaccata in due: da una parte sento che sarebbe per me importante scoprire se sono reale o solo proiezione (e poi proiezione di che cosa?) e dall’altra parte so che più m’intigno in questa indagine e meno è certa la destinazione. Non credo sarò mai pronta per girovagare senza meta. Non credo di essere attrezzata per affrontare un viaggio del genere.

Quindi? Niente, mi immergo nel mio ennesimo periodo incasinato e faccio finta di non sentire quello che sento perché sapere quello che so è di gran lunga più spaventoso e degno di considerazione.

Ok, deciso, si fa così.

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(168) Impalpabile

Sai che è lì, sai che ti sta guidando in qualche modo, sai che potresti chiamarla intuizione o percezione, ma che non riuscirai mai a definirla. Non è lì con te per essere definita ma per essere vissuta.

Un tempo la davo per scontata. Ora no. M’è venuta quasi una paura sottile, che potrebbe andarsene via, per i fatti suoi. Già mi sento male solo a immaginare come starei. In balìa di me stessa. No, non ci voglio pensare.

Questa cosa ha molto a che vedere con l’abbandono. Sembra assurdo che una come me possa parlare con cognizione di causa di abbandono – nel senso di sapersi abbandonare al flusso della vita – ho fama di essere una maniaca del controllo.

Pur restando una che se controlla il suo operato si sente meglio – innegabile – non ho mai pensato di poter controllare gli altri né tantomeno le cose della vita. In me c’è uno stato di abbandono puro, che non mi ero accorta di possedere e ho scoperto soltanto qualche anno fa, che mi permette di guardare allo stato delle cose per scovare ogni via possibile da percorrere.

Abbandonarmi, in questo senso, significa affidarmi. Ecco, controllare il mio naturale istinto a fidarmi delle persone è stata una lotta senza confini e all’ultimo sangue. Affidarmi a quello che sarà, invece, rimane il mio naturale sguardo verso il cosiddetto e cosippensato futuro. Non perché io sia capace di fede cieca, ma perché quella fiammella che non vedo ma sento, quella che è lì anche se non la so nominare… quella fiammella è reale. Almeno quanto me.

(E qui si potrebbe aprire una parentesi corposa, ma non lo farò.)

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