(1093) Sistemare

Chi ha traslocato almeno una volta in vita sua sa come si fa. Sa anche quanta fatica si fa. Sa ancora meglio cosa ogni gesto di quel sistemare, imballare e trasportare altrove significa per le proprie emozioni scombussolate.

Sei stato lì per un po’ e ti muoverai altrove. Quel posto in pratica lo stai abbandonando. Non è che lo fai perché non te ne importa più, lo fai perché è giusto così. Da qualche parte ti arriva una voce che ti rassicura: è giusto così. 

Giusto, in questo caso, significa che per andare avanti devi andare altrove. La strada che ti eri proposto di fare doveva portarti a quel punto. Al punto di scegliere di lasciare quel luogo e affrontare un’altra sfida e quindi un altro luogo e un altro percorso. Che è la continuazione naturale di quello che hai vissuto lì, ma che non potrebbe accadere se tu da lì non te ne andassi.

Sei già proiettato al di là della soglia perché devi progettare e sistemare le cose in prospettiva, ma sei ancora lì che scegli cosa buttare e cosa portare con te. E riempi scatoloni, svuoti cassetti e armadi, ti fermi un po’ qui e un po’ là nella stanza ripensando a episodi, cose, persone, che di lì son passati e hanno condiviso con te quel pezzo di vita.

Permettetemi: tre anni non sono mica uno scherzo.

Faccio fatica a pensare che tra pochi giorni non entrerò più qui per scrivere. Ci entrerò per tuffarmi, di quando in quando, in quel che è stato, molto probabilmente. Non subito, però. 

So già quello che farò, so già come andrà perché l’ho già vissuto più volte, ma so anche che sistemare per bene tutto mi permetterà di lasciare questo luogo non con la sensazione maledetta di averlo abbandonato, ma di averlo onorato e salutato con l’amore che merita.

Non fuggo da qui, vado altrove. Che è un qui un po’ più spostato in avanti, forse, anzi me lo auguro perché ancora non lo so. Quella è comunque l’intenzione.

Ho ancora qualche giorno. Me li godrò per stamparmeli bene dentro e in questo modo non sbiadiranno subito. Magari piano piano. L’importante che non sia troppo in fretta, sarebbe un crimine.

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(771) Fessura

Solitamente il mondo non mi appartiene. Questa affermazione risulta più precisa della solita “io non appartengo a ‘sto mondo” perché è ovvio che se il mondo non ti vuole è facile non appartenergli. La questione, invece, che è il mondo a non appartenermi è già meno ovvia. Mi piacerebbe non fosse così, ma è un dato di fatto che ben poco al mondo mi appartiene, tutto intero mi riesce del tutto impossibile.

Guardo quindi dalla fessura ciò che vorrei fosse mio. Mio mio mio. Proprio il significato che un bimbo dà al possessivo di prima persona: mio.

Una cosa quando è tua te la vivi meglio, specialmente se te la sei guadagnata perché apprezzandola non la vai a sprecare. Non si pretende di averle gratis le cose, soltanto di averle prima o poi. Certo che si cambia idea, certo che le cose che non hai sembrano più luccicanti di quelle che hai già, certo che l’avidità è una brutta bestia, certo che chi troppo ha nulla stringe, certo che c’è chi non ha nulla eppure è felice, certo certo certo. Non sto qui a discutere l’ovvio, sto solo valutando questa prima frase che mi è uscita e che non sapevo di avere:

“Solitamente il mondo non mi appartiene… “

Perché sto sempre fuori assetto, in un modo o nell’altro, perché anche quando sono presente è come se fossi altrove in una parte seppur remota del mio cervello, perché c’è sempre un qui o un lì che mi sfugge e che alla fine lascio andare senza ripensamenti o struggimenti sparsi. Lo so, sono alla frutta. Mi sto lamentando di che cosa? Cosa diavolo sto dicendo?

Sto solo dicendo che solitamente il mondo non mi appartiene, solitamente. Eppure nei due/tre nanosecondi in cui invece lo fa, consegnandosi senza combattermi… ecco, io me ne accorgo. Me ne accorgo ogni volta, ogni volta. Sempre con meraviglia, sempre grata. Come oggi.

Alleluja!

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(758) Singhiozzo

Le cose che mi fanno incazzare sono tante e sono sempre di più. Non sono mai stata troppo zen, ma ultimamente sto peggiorando. Me ne devo preoccupare? Ecco, forse la cosa più preoccupante è che non credo io me ne debba preoccupare. 

La cosa peggiore è non riuscire a pensare in santa pace. Tutto mi disturba, ma proprio tutto. I rumori, i suoni, le interruzioni, gli accapo. Tutto. Mi riduco a pensare a singhiozzo, con la sensazione di non completarne uno che uno giudicabile minimamente valido.

Nella pratica, nei fatti intendo, non è così veramente, addirittura sto sfornando pensieri a più non posso, addirittura riesco a realizzarli, addirittura riescono pure a piacermi… ma la mia percezione è alterata. Se vogliamo dirla tutta la mia percezione in generale è alterata. Non sento più come prima. Non è più niente come prima. Come prima quando? Non lo so! Prima e basta! [ndr. notare il picco d’isteria che ormai è diventata una mia caratteristica preponderante]

Dovrei preoccuparmi anche di questo, me lo sta suggerendo la coscienza, ma i pensieri vanno altrove, non so dove, ma comunque altrove. Vanno a precorrere i tempi, accelerano in flashforward inquietanti dove i miei punti di riferimento ballano la rumba in modo ridicolo anziché sostenermi.

Mi rendo conto che tra i post più inutili che io abbia finora scritto questo vince di brutto, ma descrivere esattamente questo fastidio che mi mangia in testa è una sfida che ancora non posso vincere. Magari la capirò meglio tra un po’. Magari mi si svelerà l’arcano quando sarò già cambiata e non mi servirà più a niente o magari no. So solo che questa confusione, in questo preciso momento, mi fa incazzare perché non so da che parte prenderla.

Ecco – Hic!

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