(934) Riciclare

Può funzionare per tutto, tranne che per i sentimenti. Quelli preferisco che, una volta buttati, non ritornino al mittente, che vadano per la loro strada e soprattutto lontani da me. Sono ben capace di crearmi nuovi sentimenti per nuove persone, non ho bisogno di attaccarmi a quelli che ormai si sono spenti e che sono stati comunque bistrattati.

Le persone lo fanno spesso, pensano che se perdi il sentimento per strada te lo devi andare a cercare. Un altro così è impossibile. Non lo so, a me non sembra. 

Sta a noi ricostruire un sentimento migliore di quello precedente per qualcuno migliore, che lo meriti di più. Lo so che è faticoso e il risultato non è assicurato, ma che senso ha riattaccare ciò che è andato in frantumi? Se si è rotto ci sarà pur un buon motivo, perché sottovalutarlo? A nessun fa piacere tenere in mano pezzetti taglienti e bislacchi anziché il liscio brillare di una gemma che per noi era tutto. È doloroso, è umiliante, è triste. Lo so, lo sappiamo tutti. 

Riciclare i sentimenti però non si fa. Davvero. Il rinnovato fallimento dei buoni intenti risulta ancora più doloroso, più umiliante, più triste. Lo sappiamo tutti.

Quindi, anche a costo di coltivare dentro di noi la solitudine più devastante, ravvivare ciò che non chiede e non vuole essere rianimato è uno spreco di tempo, di energie e di illusioni. Se vogliamo davvero illuderci, illuderci alla grande, perché non immaginiamo di trovare un grande e magnifico motivo per far nascere un sentimento nuovo di zecca che superi di gran lunga qualsiasi collega ci abbia attraversato prima di lui? Perché no? Lasciamo pure che ci chiamino ingenui, sciocchi, perditempo, lasciamoli dire, che ne sanno loro? Loro che hanno poco coraggio e poca fantasia per riempire anche solo mezzo cuore, cosa ci potrebbero mai insegnare? 

Le carcasse dei sentimenti, se li tieni chiusi nella cantina del tuo cuore inquinano ogni grammo di presente che ti appresti a vivere. 

Facciamo che ognuno per la sua strada e amici come prima? Dai, facciamo così.

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(544) Intervista

Sono stata intervistata e per me non è la normalità, di solito le interviste le faccio io. Grazie all’ascolto e alla capacità di gestire la situazione dei miei intervistatori è stata un’esperienza molto piacevole. Non ricordo esattamente cos’ho detto, perché non c’era nulla di preparato, ma lo saprò appena la riascolterò in radio.

Ho smesso di preoccuparmi, per questo. Forse sono una sconsiderata, per questo. Nonostante ciò faccio affidamento soltanto su una cosa: la mia incapacità a fingermi chi non sono. Questo mi mette al riparo da qualsiasi strafalcione io possa dire.

Nel tempo le cose escono, quelle vere e quelle non vere. Non voglio preoccuparmi di quel che sarà, quindi se resto fedele alla mia piccola verità non corro rischi inutili. C’è una grande apprensione nel cuore di chi non sa affermare la propria piccola verità e si affida al proprio talento narrativo gonfiando la portata del racconto. Le cose poi sfuggono di mano e la valanga ti travolge. Preferisco evitarlo.

Io scrivo storie, racconto storie, ma non mi racconto storie. Sono limitata, finisco presto. Quello che sono fa capo a quello che faccio e quello che faccio non è memorabile, non è magnifico, è soltanto onorevole. Ecco perché chi la racconta troppo grossa mi fa dubitare. Ecco perché chi si proclama umile mi fa scattare come una molla dall’altra parte della stanza. Ecco perché non faccio leva sull’opinione che ho di me per presentarmi agli altri, soltanto sulla realtà che ho potuto/saputo costruirmi e che per me può parlare senza menzogna.

Questa è soltanto una riflessione di fine giornata, non vuole di certo essere una esternazione egoica per prendermi un applauso. Anche perché finché non sono io ad applaudire me stessa nessun altro applauso potrebbe convincermi di essere la persona che vorrei essere. Che tipo di persona vorrei essere? Semplice: una che vive senza paura di essere o non essere, avere o non avere. E resta sempre questo il problema, aveva ragione Shakespeare.

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