(1009) Muta

Ci sono dei periodi in cui mi ammutolisco. Non so se sia per una sorta di cortocircuito neuronale o per sfinimento, fatto sta che smetto di parlare. Soltanto lo stretto necessario. Se sono costretta a dire di più lo faccio malvolentieri. 

Sia chiaro: non lo decido coscientemente, applico la nuova modalità e me ne accorgo soltanto se punto lì la mia attenzione. Più che altro se ne accorge chi di solito mi sta attorno, abituato alla mia voce che va e viene a intervalli sostenuti. Se gli intervalli si dilatano significa che sto affondando in uno dei miei periodi muti.

Il silenzio che si crea dentro di me non è allarmante, è una sorta di limbo dove i rumori sono solo rumori e i pensieri non sono poi così importanti. Perdendo il senso del contenuto, il contenente perde di sostanza. Molto probabilmente.

Non durano tantissimo questi periodi, non potrei però definire una timeline precisa, sono sicuramente ciclici. Al momento ci sono dentro. Non è una grande notizia, ma è comunque qualcosa che voglio far presente a chi mi sta attorno in questi giorni e mi trova strana e più insopportabile del solito. È così. 

Non parlare, o parlare poco, è una condizione che associata a me potrebbe sembrare paradossale, ma i periodi in cui sparisco dalle scene non sono orientati al calcare altre scene, sono quelli che mi vedono in ritiro monacale e che non racconto a nessuno perché sono pieni di cose che riguardano soltanto me. Piccole cose, stupide cose che parlano a me e a me soltanto. 

Non è dove finisco, è dove mi espando. 

Ritornare poi in scena è sempre strano. Quasi doloroso. Sempre strano e stranamente doloroso. Non capisco più che peso dare al contenente e al contenuto e questo potrebbe non essere un dettaglio da poco. Proprio no.

Tant’è

(…)

 

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(757) Balle

Una certa pace mentale la raggiungi quando te ne fai una ragione. Se fino a un istante prima avresti preso a testate il muro pur di cambiare quella situazione, quando ti rassegni tutto cambia. Certo che rassegnarsi non è la soluzione, ma se il sentimento lo fai durare poco, quel tanto da poter shiftare in modalità me-ne-faccio-una-ragione, allora il grosso è fatto.

In soldoni si tratta proprio di prendere atto della realtà e, anziché combatterla, darla per assodata. Ora: non è che soltanto perché una cosa c’è, esiste, e ti sta schiacciando tu devi star lì a subire. No. Quella cosa che ti sta schiacciando non è lì per schiacciarti per sempre, ma da sola non se ne andrà. Se la spingi via non la sposti, se la fai saltare in aria vai in pezzi pure tu, ma se ti sposti… 

Devi soltanto spostarti. Facile? No, ma almeno non è un gesto impensabile, indicibile, impossibile! Ammettiamolo: spostarsi è alla nostra portata.

Ritorniamo ora alla pace mentale: quando sai com’è la situazione, quando sai che ti devi soltanto spostare, allora te ne fai una ragione. Non sei contento, non sei sollevato (non ancora), non sei sicuro di potercela fare, non sei incurante della fatica e del rischio, no. Sei nella condizione mentale in cui non puoi tirarti indietro perché sarebbe da idioti. Te ne fai una ragione e inizi a spostarti.

Un trick maledetto che ti fa posare tutto il resto – giustificazioni, mortificazioni, frustrazioni – e ti stabilizza in una condizione di ragionevolezza. Stop. La mente ci crede, il cuore ci crede, i nervi ci credono. Tu raccogli tutta questa consapevolezza e ti sposti. Mica dall’altra parte del mondo, basta soltanto di un centimetro.

Io di centimetro in centimetro ho percorso milioni di chilometri. Sembra incredibile, ma li ho contati tutti, uno a uno. Quindi se mi venite a dire che spostarsi è impossibile, vi posso tranquillamente rispondere – facendo ricorso a tutta la pace mentale di cui sono capace: balle.

 

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(678) Nonsense

Ognuno di noi ha i suoi nonsense, assurdità brandizzate e spesso originali – ma meno spesso di quel che ci si immagina. La mia lista è lunghetta, non lo nego, ma non è un vanto. Tutt’altro.

Mi piacerebbe essere coerente e tutta d’un pezzo, per certi versi lo sono (in modo impressionante), ma per alcuni dettagli no. ‘sti dannati mi scappano via e mi trascinano dove non vorrei: nell’assurdo.

Quello che trovo più fastidioso di tutti è che non riesco a essere incazzata per più di un tot. Cioè, me ne dimentico proprio. Soltanto per tre volte in tutta la mia vita ho mantenuto fede alla promessa: mai più. Nel senso mi-hai-fregata-una-volta-e-la-seconda-non-è-prevista-manco-se-muoio. Tutte e tre le volte si trattava di cose basilari spinte all’ennesima – come la fiducia, l’onestà, la lealtà. Ecco, tutte le volte nelle quali l’entità delle cose era molto meno pesante io… me le sono dimenticate.

Cavoli, c’è gente che riesce a tenermi il muso per settimane intere, e io? Non duro manco un giorno. Neppure se me lo impongo, se mi controllo, se mi faccio i ragionamenti giusti. Niente.

Sospetto sia il gap dell’essere-per-forza-amabile-per-poter-essere-amata che mi porto dietro da sempre, ma non voglio dargli molto peso altrimenti chissà dove finisco. Devo far finta di niente, ridere di me e tirare avanti.

Ok, dopo questa deplorevole confessione aggiungo anche che: non faccio fatica a incazzarmi, anzi, mi incazzo almeno dieci volte al giorno con modalità diverse – so essere creativa – faccio solo fatica a ricordare. Difetto di memoria non di indole combattiva. D’altro canto sono del segno del toro, inutile ricordarlo.

Siete avvisati.

Peace&Love

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