(1075) Targa

Definire sé stessi è un casino. Per assurdo, meno ti conosci e più ti è facile trovare una descrizione di te da offrire al mondo. Più approfondisci la conoscenza del tuo Essere e più le cose si aggrovigliano.

Ogni volta che mi si chiede di presentarmi dico sempre la cosa più idiota e inutile possibile. Del tipo: “Ciao mi chiamo Barbara e mi piacciono le ciambelle”.  Cose che se stessi zitta sarebbe meglio. Comunque oggi stavo pensando che sarebbe più facile interagire con le persone se girassimo con delle targhe che riassumessero in massimo una riga le nostre caratteristiche. Lo so, è un pensiero di estremo interesse per un dromedario dell’Alto Egitto ma soltanto per lui immagino, ad ogni modo ci stavo pensando e ho anche trascorso un po’ di tempo a valutare cosa ci avrei scritto in quella targa per presentarmi.

Ci sto ancora pensando.

Non ne vengo a capo.

Ero convinta che “Essere Umano Senziente e Pensante” (cit. il Maestro Italo Calvino) potesse bastare, ma la vaghezza non fa buon impressione su nessuno. Ho valutato che potevo trovare qualcosa di più caratteristico rispetto alle mie… caratteristiche. Quindi, si finisce sempre lì, potrei far presente che la mia attività principale è scrivere, con un secco: “Scrivo dunque sono” (ispirato dal “Cogito Ergo Sum” di Cartesio, ovviamente). Che per quanto sia drasticamente autobiografico, può risultare a tutti gli effetti un tantino supponente. Focalizzarmi sulle cose che per me nella vita sono importanti può fuorviare leggermente il concetto, comunque non mi basterebbero trenta targhe una accanto all’altra per completare la lista. Se dovessi analizzare quali sono le lezioni che ho appreso vivendo fino a ora si finirebbe con un onesto e demoralizzante: “Mi sembra di aver capito finché non ci ricado”. Tirare fuori sogni e desideri darebbero come risultanza un lapidario: “Non più”. E di questo passo si precipita nel burrone dello scoramento totale.

Insomma: nella mia targa ci metto i puntini di sospensione. Appena capisco da che parte prendermi vedrò di sostituirli con qualcosa di sensato. Per il momento circolerò nel mondo senza presentazioni di sorta e il mondo sarà libero e legittimato a leggermi come diavolo gli pare.

Bon voyage!

 

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(790) Vicolo

Non tutti i vicoli sono ciechi. Non tutti i vicoli ciechi lo sono sul serio. In tutti i vicoli ciechi, comunque, si può fare inversione di marcia per uscirne. 

I vicoli servono a collegare una strada principale con una secondaria, o due secondarie, o due principali, insomma… sono un collegamento. Sono una scorciatoia, spesso. Tagli passando da lì per arrivare là. Seguendo questa logica posso affermare serenamente che non ho fatto altro che passare da un vicolo all’altro senza mai arrivare alla strada principale, a volte sono incappata in una secondaria, ma non è durata mai troppo. Che ridere.

Devo dire che per certi versi i vicoli fanno meno paura, anche se in certi momenti sanno essere bui e minacciosi e ti tremano le gambe ad attraversarli. Te ne accorgi, però, sempre quando ti ci trovi dentro, in mezzo, e via di bestemmie. Ho quasi l’impressione che a forza di conoscere l’ambiente io mi sia un attimo adagiata. Insomma, so come ci si muove tra i vicoli e rimanerci dentro non mi sembra così male. Forse mi sbaglio. Forse me la sto raccontando perché è l’unico modo per ignorare la paura di ritrovarmi allo scoperto, alla luce.

Forse.

Certo che dovrei smetterla di pensare. Anziché alleggerirmi le cose sembra che ogni volta che m’immergo nelle mie miserie queste siano le uniche a contare davvero qualcosa. Il buio di questo vicolo non mi fa bene. Per niente.

 

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(604) Competenze

Ne hanno tutti. Diverse e diversificate, molto probabilmente. Basic o Pro, ovviamente. Sarebbe bello andare oltre, però. Oggettivamente parlando qualsiasi persona portatrice sana di buona volontà può imparare, può imparare anche con una certa continuità, può imparare abbastanza bene da poter affermare tranquillamente di aver acquisito una competenza. Una qualsiasi. Just name it…

Quindi fare giù una lista delle proprie competenze potrebbe essere un buon modo per recuperare la stima di noi stessi, quando questa è stata grattata via – pezzo dopo pezzo – con cura encomabile dal mondo che ci circonda.

In tutta sincerità, sono in grado di affermare serenamente che la sfera delle mie competenze è consistente: posso andare dalla preparazione di un toast vegano super delizioso al brusca e striglia di un’auto di superlusso con grande agilità. Sì, non mi ha mai spaventato lo spauracchio del sai-fare-tutto-ma-niente-bene. No, non mi tocca proprio. Dirò di più, posso anche spingermi oltre: per esempio posso ascoltare ore di lagne e lamenti da parte di chiunque trovando sempre parole consolatorie e lasciando in chi si trovasse sull’orlo del baratro un ragionevole dubbio per rimandare il salto dal ponte. Mi viene proprio bene, quasi una dote naturale. Posso anche – a richiesta – prodigarmi in discorsi comparati su svariate tematiche interessanti (dal pedigree di un criceto delle Ande  al colore adatto per una parete rivolta a nord-est-sud-ovest di una cascina vietnamita del primo novecento) con grande dispiegamento di Ars Retorica e compagnia bella. Riuscirei a convincere un orso polare a togliersi la pelliccia argomentando lo scioglimento dei ghiacci come se ne fossi io la causa primaria. Senza che all’orsa venga in mente di sbranarmi. Mi ringrazierebbe anche, garantito.

Se la necessità fosse impellente, potrei imparare a domare un diavolo della Tasmania in una sola notte o surfare su un tappeto persiano nel Deserto di Atacama o, addirittura, misurare con adeguata precisione la velocità tenuta da un picchio canterino mentre attraversa le cascate del Niagara fischiando la sigla dei Muppets senza muovere il becco. Se la necessità lo impone, mi adeguo. Non c’è problema.

Il punto focale di tutte queste grandissime stronzate è che avere le competenze sbagliate quando ci si trova in un contesto o in un altro è un attimo. Puoi mandare a puttane la tua intera esistenza se non sfoderi la competenza giusta per l’occasione. Bisogna pensarci. Bisogna proprio far attenzione ai dettagli, ai segnali che ti possono avvisare in tempo utile che ti stai mettendo in un vicolo cieco e quindi potrebbe essere il caso di cambiare direzione. Andare altrove. Via, lontano.

E non basta essere proprio una brava persona – come mi hanno insegnato per tutta la prima parte della mia vita – aiuta te e chi ti sta attorno, ma potrebbe anche essere un boomerang che se non lo prendi al volo ti fa lo scalpo.

Eppure essere una brava persona ti permette di presentarti a testa alta – sguardo senza cedimenti, voce ferma – davanti a qualsiasi altro Essere Umano e in qualsiasi situazione si debba affrontare. Una brava persona ha competenze eccezionali, che riguardano la cura, l’ascolto, la capacità di esserci, la generosità di dare e darsi soltanto perché così si fa e così va bene. Competenze eccezionali, ripeto, che non metti in mostra nel tuo patetico CV, che non indossi soltanto quando vuoi fare buona impressione, che non ostenti per suscitare ammirazione e invidia, che non butti in faccia a nessuno per un misero tornaconto personale.

Non me ne frega niente se sei migliore di me, metto volentieri da parte le mie competenze per farti spazio, onore al merito – ci mancherebbe altro. Ma ho acquisito una competenza piuttosto interessante negli ultimi tempi: so mandare al diavolo una persona con una gentilezza e un’eleganza notevole, tanto che manco riesce ad accorgersene. Sono pronta a ogni evenienza, se la necessità intensifica la sua presenza, nessun problema.

Lo voglio dire, però: quando incontro qualcuno, per prima cosa tolgo le mie competenze e le metto in un angolo, poi nella mia testa tolgo le competenze della persona che mi sta di fronte e ripongo tutto nell’angolo opposto. Le dimentico lì per un po’, per quando saranno più utili. Quando incontro qualcuno è la persona che devo incontrare, è lì che mi concentro. Il resto viene dopo. Per il resto c’è sempre tempo, no?

 

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