(960) Pendenza

Presente quando cerchi di stare dritta ma ti senti un pesetto da niente dentro che scivola e impercettibilmente e inesorabilmente si presenta quella pendenza da niente che fa slittare da un lato o l’altro un sacco di roba che pensavi magari di aver buttato e invece no? Presente? Ecco.

Ce la metto tutta e tenere impilate le cose lì, in ordine. Basta un niente, ma proprio un niente, e un peso minuscolo si sposta. Da lì so che è solo questione di qualche secondo e sbotto.

Si dice “pendere da una parte o dall’altra”, non si può pendere in su o in giù. È già qualcosa… eh.

Faccio fatica a scrivere stasera, scrivere in pendenza non è mica facile… eh.

Faccio anche fatica a pensare, i neuroni si sono spostati da un lato appesantendomi la testa che sta piegando il collo… eh.

Ho idea che mi sveglierò domani mattina con una cervicale da paura, e domani è venerdì, e domani è un giorno impegnativo, e domani tra poco è qui.

Quindi…

Niente. Quindi niente.

‘notte.

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(958) Prova

Prenderei una bicicletta e mi farei un giro. Nei campi di quando ero bambina, che le gambe spingevano sui pedali a più non posso ed erano gambe forti e andavo veloce, più veloce del vento. Ho perso forza alle gambe, temo. Sarei lenta e pesante, sarei meno veloce nel mio andare. Il vento avrebbe la meglio sul mio corpo e la corsa ne sarebbe frenata. Temo.

Ma il vento in faccia mi farebbe pur sempre bene. 

Invece devo affrontare una giornata che è programmata per essere una estenuante prova di nervi. A saperlo prima non serve a niente, non è che ti puoi preparare alla tensione, la vivi e stop. La anticipi più che altro, quindi già si parte con il mal di testa e con la voglia di spaccare tutto. Ma, elegantemente, si finge che sia tutto a posto. Perché anche se non convinci te stessa c’è pur sempre un contesto che deve essere rassicurato dal fatto che non sclererai. 

Sì, un po’ di vento fresco di campagna, la campagna di primavera, mi farebbe bene.

Mi vengono in mente scene assurde, fughe improbabili e presagi di distruzione, insomma cosette del genere.

È mattina, non ancora le 8.00, non ho trovato traffico, ho trovato subito parcheggio (il mio preferito), mi sono ricordata di portare con me il mio caffè-guaranà (dose tripla) e sto prendendomi dieci minuti  per scrivere della mia ansia e della mia frustrazione, della mia giornata che tutto sommato è iniziata bene e che si srotolerà come potrà e come dovrà.

Alla fine rimarremo io e il mio scrivere, per darci la buonanotte e per rincuorarci del fatto che è passata. Comunque sia cadrò in piedi e non sarò da sola. Rimango una fortunata, dopotutto. 

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(784) Ricaduta

La ricaduta è quella cosa che ti capita il giorno dopo che hai scritto un post intitolato “Ripresa”. In pratica è la vendetta del karma, che ti fa presente che non è mai detta l’ultima parola, che chi ride bene ride ultimo [ed è sempre il karma quello che ride per ultimo] e che mai dire gatto se non ce l’hai nel sacco. Conclusione: ben mi sta.

Il raffreddore oggi s’è fatto protagonista, con grande gioia dei colleghi che dribblavano i miei starnuti con grande stile. Li ho amati tanto oggi per non avermi defenestrata. Davvero tanto. Io stessa non mi sopportavo più.

Riprendendo la saggezza popolare di qualche riga più sopra, succede che quando pensi di aver raggiunto il top del minimo zaaaaaaaaaaaaaaak t’arriva la prova che mancava ancora un pezzetto. Non moralmente, stavolta, ma fisicamente sento la botta. La parte positiva è che posso riderci sopra perché i pensieri cupi sono passati, nella sfiga la fortuna. Eh.

Sembrerà stucchevole, ma quando sei nel baratro, anche il minimo miglioramento fa la differenza. Per questo motivo chi ha sofferto apprezza con più intensità gli attimi felici. Quando non hai nulla, ogni cosa bella che ti arriva è una festa. E non lo dico io, è proprio Legge dell’Universo.

Per questa logica, dal mio punto di vista, augurare a certa gente gretta, avida e meschina una secchiata di sana miseria significa aprire loro le porte della felicità. Sì, la mia compassione sa arrivare a tanto.

Ok, naso tappato, post pieno di stronzate, penso di essere arrivata anche per stasera al capolinea. Auguro a tutti la buonanotte e vado ad affrontare col vicks vaporub la mia oscurità che so mi sta aspettando pronta per divorarmi. Amen.

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(741) Smarrimento

Nel caos di tutto quello che in una giornata può accadere, e accade sempre tanto anche se non ce ne rendiamo conto perfettamente, ci sono istanti di completo smarrimento in cui mi sembra di essere immersa in una pozzanghera che non ha confini. Magari l’acqua non è torbida, anzi, ma è comunque tanta tanta tanta. Troppa per poterla affrontare. Lo so che è solo nella mia testa, è acqua che c’è soltanto nella mia testa e che non ha alcuna valenza nel reale, lo so, ma mi impensierisce lo stesso.

Mi guardo attorno attonita e resto lì in ammollo, inerme. Non me ne capacito, non so perché cado in questa catatonia assurda, eppure mi succede quotidianamente. Una volta al giorno, senza perdere un colpo, arriva lo smarrimento.

Mi ripiglio in fretta – spesso, non sempre – ma non riesco a evitarlo. Tutta quest’acqua mi toglie le forze. Sì, poi respiro e razionalizzo, ovvio, ma ci cado dentro e non c’è modo di scansarla. Neppure con la programmazione, con il controllo rigido della lista di cose da fare e da completare riesco a tenere a bada l’annichilimento di quell’istante. Neppure se le scadenze non sono così prossime, se il lavoro è da condividere e spartire con i colleghi, neppure se sono io stessa a pormi obiettivi e obblighi… 

Credo sia una patologia seria, incurabile. Lo smarrimento ha sempre la meglio su di me, una volta al giorno. Punto e basta.

E se fosse una pausa mentale – tipo un richiamo neuronale per un caffè che io non decido ma subisco – che mi obbliga a guardare, senza pensieri e senza azioni, per procedere più lucidamente? Uno smarrimento strategico per non andare in overstress, qualcosa del genere. Una misura di protezione, tipo salvavita, che scatta nonostante me e che mi sospende dalla vita per qualche secondo prima di risbattermi giù a lavorare a testa bassa fino a fine giornata. Perché è così che funziona, a vederla bene. C’è lo smarrimento e c’è la ripresa. Non sono mai stata persa per più di qualche minuto, in ogni frangente io mi sia trovata non ho mai perso il contatto con le cose del mondo – se in stato di veglia – troppo a lungo. Questo dovrebbe mettermi tranquilla, giusto? 

Sì.

Giusto.

Ok.

Tutto perfetto.

Buonanotte.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(611) Giugno

Stasera scriverò qualcosa di assolutamente inutile. Qualcosa che è stato pensato ed è stato eseguito con l’intenzione di dire niente, di servire a niente, di far perdere tempo a chi si fermasse a leggermi anche solo per caso.

Bene. Dopo questa premessa la maggior parte delle persone che transita da qui se ne sarà andata. Qualcun altro, pochi, no. Perché? Perché penseranno che non può essere così come è stato affermato, è un modo per rompere il ghiaccio, ma poi qualcosa sicuramente ci sarà per cui varrà la pena restare.

Ecco, ho appena messo in scena uno dei grandi misteri della mente umana: me lo dichiari apertamente e io non ti credo. La politica nostrana, e non solo, è piena di casi del genere, ma anche la mia modesta esistenza – a dirla tutta. Siamo Esseri molto meno intelligenti di quello che ci raccontiamo, bisognerebbe che ce ne rendessimo conto una buona volta.

Vabbé, visto che la mia affermazione è esattamente così come la realtà dei fatti dimostrerà, vorrei far notare il titolo di questo post: giugno. Inutile, vero? Ma ancora non siete convinti. Ancora c’è un dubbio e quindi state ancora qui a leggermi. Solo per questo vi meritate tutto il mio bene, siete persone belle, persone che vogliono credere nei colpi di scena positivi. Vi stimo.

Se ora concludessi il mio post dicendo qualcosa di utile, però, verrei meno alla premessa/promessa e finirei col dare ragione a quel meccanismo mentale idiota che fa di noi tanti poveri illusi e… non me lo posso permettere. Mi dispiace.

Quindi vi auguro buonanotte, nella speranza che mi possiate perdonare.

Grazie (per davvero).

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(525) Resti

Ogni tanto guardo quel che resta di me a fine giornata. Non è uno spettacolo esaltante, ma sto iniziando a valutarlo sospendendo il mio dannato senso critico. Ho pensato di cambiare dinamica per vedere come va, sì.

I resti che mi trovo tra le mani sono quello che m’è riuscito di salvare nello scempio della mia giornata, fatta di tante cose e di tante tante richieste da assorbire in qualche modo ispirandomi a un atteggiamento zen che poco mi appartiene. I miei resti verranno raccolti in un sacchettino e durante la notte saranno sistemati e ripristinati affinché assomiglino a un tutt’uno. A volte ci riesco, altre no.

Il più delle volte ci riesco e questo fa sì che io possa affrontare una nuova giornata, senza troppe pretese ma con una speranza di arrivare a sera con mezzo neurone funzionante. Mi sono, però, resa conto che in questo modo non si può andare avanti per sempre, perché il mucchietto dei miei resti piano piano si sta rimpicciolendo.

Tutto sommato non sono così preoccupata perché la soluzione da attuare ce l’ho, devo solo decidermi a farlo. Devo nutrirmi di tutto quello che fin dalla notte dei tempi funziona in casi come il mio, in una sola parola: Arte.

Lettura, musica, cinema, fotografia, balletto, pittura, scultura… ancora e ancora ancora e ancora. Questo nutre e ripristina la materia.

I miei resti, quelli di oggi, mi stanno guardando scettici: “Lo farà davvero?”, si stanno chiedendo.

“Non me la sento di promettere nulla, belli, ma ci posso provare”, e sono sincera, davvero. Non la stanno apprezzando granché questa mia spontanea disposizione nel correre ai ripari, ma non hanno scelta, si devono fidare. Do a tutti la buonanotte e vediamo cosa mi riuscirà di combinare domani. Sempre domani.

Se sono fortunata.

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF