(925) Intransigenza

Lo sono. Mea culpa. Sono fastidiosamente intrnsigente per certe questioni.

Molto probabilmente sono anche arrogante e presuntuosa, perché l’intransigenza può avere origine proprio lì. Non ne vado fiera, ma ogni volta che mi viene chiesto di adeguarmi e dentro sento un urlo feroce, io non mi adeguo. Mi prendo tutte le conseguenze del caso, ma non cedo facilmente, non cedo subito e non cedo volentieri.

Va bene? Probabilmente no. Probabilmente per niente. Probabilmente. Bhé, se fossi sicura che non va-davvero-bene-a- 100% probabilmente smetterei di esserlo, no?

La vita, quindi, mi ha messa di fronte a questa foto di me che non vorrei guardare, che non mi piace, che non mi rende fiera di me stessa, ma che è così. Senza i filtri di Instagram le nostre mancanze sembrano molto più orrende e imperdonabili, vero?

Fatto sta che il mio non riuscire ad adeguarmi a quello che “si è sempre fatto così” oppure “ha sempre funzionato così” oppure ancora “tanto non c’è niente da fare perché le cose stanno così”, crea fastidio e insofferenza in chi mi sta vicino. Me ne rendo conto, mi dispiace sinceramente. Non tanto per dire, mi dispiace davvero. Ma io sono una lenta: ho bisogno di tempo per ingoiare il rospo, per risettare i neuroni, per sistemarmi le cose dentro e poi trovare il modo di adattarmi. Poi mi adatto, quando me ne faccio una ragione, ma farmi una ragione non è cosa immediata. Anche di questo mi dispiace.

Sarò anche indisponente e presuntuosa con la mia posizione intransigente, ma me ne accorgo e cerco di risistemarmi. E mi comporta un dolore che difficilmente potrei descrivere quindi non ci provo neppure, ma non diventa mai più facile, è sempre lo stesso, fedele all’originale. Certe certezze sono disarmanti, vero?

Spezzarmi ogni volta e poi ritirarmi in piedi è faticoso, e il peggio è che non ho un altro modo. E mi dispiace. Anche di questo mi dispiace. Sinceramente.

 

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(728) Beninteso

Sono una persona ben educata, beninteso. Sono una persona paziente, beninteso. Sono una persona empatica, comprensiva e gentile, beninteso. Non considero la sensibilità una dote, è una caratteristica umana che si declina in mille sfaccettature e quindi lo siamo tutti, tutti estremamente sensibili altroché. Neppure l’essere solare mi pare una dote, è più che altro uno stato d’animo e io di solare ho veramente poco poco. Però quelle cose lì sopra so che sono proprio parte di me e che sono caratteristiche in parte naturali e in parte acquisite durante la mia infanzia perché ho avuto degli esempi splendidi da seguire.

Ecco, mi scoccia ammetterlo, ma queste qualità vengono prese, dai più, per debolezze. Vengono considerate un limite e ripagate, per lo più, con un viscerale e silente disprezzo.

Beninteso: essere come sono mi costa fatica, ma per mia fortuna ho una lista interminabile di difetti che equalizzano perfettamente l’insieme. La mia presunzione mi sostiene nel perseverare ad essere così come sono, la mia testardaggine mi incita a non arrendermi a quello che gli altri pensano di me, la mia autonomia mi aiuta a restare intera nonostante tutto. Sembrerà pazzesco, ma questi difetti che mi sono utilissimi vengono apprezzati ancora meno dei miei pregi. E qui potrei dilungarmi per ore con deliziosi aneddoti pittoreschi su come io sia motivo di grandi scazzi da parte del mio prossimo, ma non lo farò.

Vorrei solo soffermarmi su un punto cruciale della questione: potrei mettere da parte educazione, gentilezza, capacità empatica, pazienza, certo che potrei. Potrei ma non voglio. Decido di non farlo, ma è una decisione che potrebbe subire qualche cedimento, beninteso. E anche se decidessi di metterli da parte non scomparirebbero dal mio DNA, quindi in automatico non diventerei una persona cinica, maleducata, intollerante, rabbiosa. Non sarei né migliore né peggiore, sarei esattamente come adesso. Cambierebbe però la percezione che gli altri hanno di me. Sarei guardata con occhi diversi. Sarei ascoltata di più, sarei rispettata di più. Il mio modo di relazionarmi con gli altri sarebbe diverso e di conseguenza anche l’altrui modo di relazionarsi con me sarebbe diverso. Credo migliore, ne sono convinta.

Perché non lo faccio? Perché grazie al cielo ho i miei difetti che mi proteggono, che non mi permettono di adeguarmi al mediocre e sono (lo ricordo): la testardaggine, la presunzione, l’autonomia di pensiero. Quindi, oggi posso affermare tranquillamente che se lavorassi per mitigare i miei difetti, i miei pregi andrebbero a farsi fottere.

Beninteso, posso migliorare la gestione di entrambi, ma non posso inventarmi un’altra me. Però, ripeto: posso migliorare la gestione di entrambi. E, beninteso, lo farò. Sono qui per questo, è giusto dirlo. Sono qui per questo.

 

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(365) Trecentosessantacinque

365: i *Giorni Così* che ho scritto, i giorni che ho vissuto, i giorni che sono passati da quel 28 settembre 2016 in cui ho voluto iniziare questa piccola cosa senza senso. Fa impressione, no?

Devo ammettere che non è la prima cosa senza senso che ho fatto, e che le precedenti son durate parecchio, però questa ha un elemento che la rende inaccessibile a qualsiasi altro genio volesse farmi concorrenza: è completamente e assolutamente inutile. Non solo: non viene minimamente pubblicizzata né da me né da alcuno. Provate a fare di meglio se ci riuscite!

La confessione scoop che oggi voglio offrire a chi si fermasse qui per festeggiare è che *Giorni Così* è il mio egoistico modo per tenere traccia di me. Lo faccio già sul cartaceo, è vero, ma lì le cose diventano più psicoanalisi da lettino: dico cosa ho fatto durante la giornata, dico cosa mi ha fatto girare le palle, dico cosa mi propongo di fare il giorno seguente. Una noia da guinness dei primati. Invece, qui sul diario virtuale, mi impongo di parlare d’altro. Parlare di tutto quello di cui di solito non voglio parlare perché mi sembra che sia ovvio, visto che lo penso.

Ho scoperto che quello che penso non è ovvio neppure per me stessa. Una scoperta sconvolgente e nel contempo affascinante, ve lo assicuro. Significa che finché non lo scrivo non so che lo sto pensando. Il che la dice lunga sulla mia presenza mentale in questa dimensione terrestre, ma anche su un altro aspetto della mia persona che viene spesso giudicata malamente.

Mi spiego: quando parto per la tangente e mi infervoro su un concetto, la gente spesso si infastidisce, o si spaventa, perché pensa che io mi voglia mettere in cattedra per fare lezione. Ergo, la gente mi pensa una presuntuosa-a-tratti-arrogante che crede di avere la verità in mano e vuole imporla al resto del mondo. Non dico che non sia così, perlamordelcielo, dico solo che ragionando ad alta voce il pensiero prende una forma che riesco a vedere, che riesco a riconoscere, che riesco a tenere in mano per rigirarmelo per bene e capire un po’ di più. Più trovo davanti a me contrapposizione di veduta e più il pensiero è stimolato a farsi solido, a farsi specifico, a farsi spesso anche ingombrante. E io capisco meglio. Da lì inizio un percorso a ritroso, molto intimo, in cui mi faccio domande pungenti e imbarazzanti (Perché la pensi così? Perché t’incazzi così? Perché parli troppo? E via dicendo… ) e vengo a capo un po’ del mistero che sono.

Ecco, questa cosa qui non ho mai avuto la possibilità di dirla a nessuno. Nessuno me l’ha mai chiesto e nessuno ha mai pensato che al di là di ciò che si vede e si sente può esserci una me piuttosto diversa. Piuttosto in bilico, piuttosto in ricerca, piuttosto vulnerabile. E non è che sia così importante che nessuno se lo chieda, diventa invece di vitale importanza per me perché io ho il dovere di chiedermelo e di non scappare davanti alla risposta. Le risposte che riproducono la realtà delle cose, fanno risultare il mistero che sono meno mostruoso. Più umano. Non per gli altri, no, ma per me stessa sì.

Buon primo anniversario *Giorni Così*!!!

 

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(299) Mistero

Essere un mistero per se stessi dovrebbe essere illegale. Voglio dire: non si può girare indisturbati sulla Terra senza conoscere le profondità del nostro Essere. Quindi, pensare che tu possa fare tutto da solo senza libretto di istruzioni è per lo meno utopistico. La domanda sorge spontanea: dove diavolo è finito il nostro libretto d’istruzioni? Dove? Dove? Dove?!

Le religioni non sono il nostro libretto di istruzioni, ma quello di qualcun altro. Dovremmo farcene una ragione. Non puoi delegare a qualcun altro il compito di estrinsercarti il tuo mistero. Che ne potrebbe sapere lui/lei? Niente.

Anche pensare che solo perché conosci una persona (anche fossero secoli che la conosci) tu sia in grado di svelare il suo mistero è piuttosto idiota e presuntuoso. Più idiota, ma anche molto presuntuoso. Non funziona così. La conoscenza, spesso, preclude le vie della sorpresa e si va di pregiudizi come se piovesse, rovinando definitivamente la possibilità di anche solo avvicinarsi al mistero dell’esistenza di un altro Essere Umano. Per dirla in breve: più capisci e più non hai capito niente. La realtà te ne darà prova appena possibile, fidati.

Ritornando alla nostra umana incapacità di comprendere il mistero da cui abbiamo origine senza libretto di istruzioni, posso affermare con assoluta franchezza che sono messa molto male. Molto peggio di quel che presuntuosamente pensavo ieri, sì soltanto ieri, e questo non perché oggi sia successo qualcosa di particolarmente rivelatorio, tutt’altro. Da qui il mio sgomento.

A rileggere quello che ho scritto c’è da pensare al peggio, me ne rendo conto, ma non cambierò neppure una virgola. In questo post c’è la prova della mia presa di coscienza. E chi mi capisce è bravo.

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(82) Rompicapo

Lo sono stata per molti, lo sono stata per me stessa per molto tempo. Non sapevo come prendermi in mano, non sapevo come perché non sapevo cosa e quanto ero. Nel bene e nel male. Nel male e nel bene. Intera (o quasi). Non lo sei mai, intera, finché non arrivi alla fine.

Stasera l’incontro con la scrittura, per parlarne e per capirne di più assieme a quelli che chiamo miei allievi, ma che non lo sono davvero. Né miei, né allievi. Sono persone con cui faccio un pezzetto di strada, alla fine siamo pari. Loro sono allievi miei quanto io sono loro allieva. Equilibrio perfetto.

Dicevo che stasera, come ogni sera di scrittura condivisa, mi sono ritrovata a scoprirmi (di nuovo e ancora) molto più semplice di quel che mi penso di solito. Pecco sicuramente di presunzione, di solito. Non sono un rompicapo, mi penso un rompicapo, ma non lo sono. Sono, in verità, molto semplice.

Ho un inizio, ho una fine e in mezzo c’è la storia. Può essere un po’ intrecciata strana, questo sì, ma non è una trama così barocca né così preziosa. E’ un motivo piuttosto semplice, piuttosto lineare. Chi non se ne accorge è perché mi guarda da troppo lontano. Non mi sto lamentando di questo, no, va bene così, avere tutti vicino mi farebbe dare di matto (sono pur sempre un’introversa convinta, ricordiamocelo) sto soltanto valutando il fatto che non sono complessa come di solito mi penso. Sono più presuntuosa di quello che mi penso, invece. Ali basse, Babsie.

E un bel sospiro di sollievo, anche.

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(26) Ammirare

L’ammirazione ha i suoi periodi. Quando si è giovani è totale, non si vede nient’altro, si è accecati. È un innamoramento. E poi passa. Non sempre, ma il più delle volte passa. Per fortuna e anche no, perché è bello quel coinvolgimento che ti spinge verso il migliorare te stesso per essere… esattamente così com’è l’oggetto della tua ammirazione.

Si tratta di ispirazione. Una persona che ammiri è una persona che sa ispirarti al movimento, alla crescita. Certo, ammiri la persona sbagliata o ammiri una persona per le ragioni sbagliate e diventi un kamikaze, ok. Dovremmo poterci appoggiare su un certo equilibrio personale prima di lanciarci in grandi imprese di emulazione.

Quello su cui sto riflettendo ora, però, riguarda l’evolversi di questo sentimento adolescenziale (l’ammirazione cieca) nei miei anni. Le persone che ammiravo un tempo non sono sparite dalla mia sfera emotiva (le considero ancora parte di me), ma le ho sistemate un po’ più vicino. Non sono più Déi, sono Esseri Umani. Come me.

Le cose sono due: o l’età avanzata mi ha resa presuntuosa (non lo escludo), oppure ho lavorato bene e mi sono avvicinata davvero all’immagine della persona che avrei voluto essere quando ero più giovane (non lo escludo).

Se devo andarci giù piatta sento che la seconda ipotesi è quella che mi calza meglio, ma se fossi soltanto una gran presuntuosa non sarei in grado di valutarmi lucidamente e sentirei che la seconda ipotesi è quella che mi calza meglio.

Non vedo vie d’uscita. Buonanotte.

b__

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