(1076) Veleggiare

Non smettere mai di veleggiare, questo bisognerebbe tenerselo bene a mente. Se getti l’ancora sei fottuto. Questo bisognerebbe tatuarselo ovunque per non pensare di poter far finta di nulla e farla franca. 

Chi si ferma è perduto. Raramente i proverbi si sbagliano.

Lo so che la stanchezza ti fa fare scelte di comodo, che sembrano una comodità almeno, ma alla lunga le si paga tutte. La stanchezza è una brutta bestia. Quando sei stanco le cose ti escono dalla bocca in modo sgarbato, fai danni soltanto con un’occhiata di traverso. Quando sei stanco il mondo lo odi a prescindere. Tutto ti dà fastidio. Vuoi solo dormire. E dovresti farlo perché sei veleno allo stato libero che dove si posa fa danno. Dormire aiuta. 

Tutte le scelte che fai pensando di mettertela via e stare tranquillo ti si rivoltano contro. Ti sposi perché così ti risolvi il problema di trovare l’anima gemella, ti tieni quell’anima che hai e te la fai andare bene. Chiudi un sogno e ti adegui. Oppure ti fermi al lavoro che ti dà due soldi (sì, soltanto due, ci si vende per poco ormai) e ti fai passare sopra il rullo compressore ogni giorno, tanto più di così non hai trovato e alla fine del mese le bollette si devono pagare. Smetti di veleggiare, smetti addirittura di cercare il vento, smetti di proiettare te stesso sulla rotta che ti eri ripromesso di mantenere per costruirti una vita a tua misura. Soddisfacente. Semplicemente.

Veleggiare costa fatica, il movimento snerva, è vero. L’immobilità, invece, mummifica e non è che si soffra di meno.

Io sono stanca e non so se riuscirò a veleggiare, ma non è che la vita ti chiede il permesso prima di ribaltarti. E la vita non ha pietà. Rendiamocene conto una volta per tutte. 

Ok, vado a recuperare la bussola. Chissà dove diavolo l’ho messa…

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(1035) Rassicurare

Credo che tutti abbiano bisogno, almeno una volta al giorno, di essere rassicurati circa qualcosa che li riguarda. Perché sì, possiamo tutto e siamo tutto e tutto insieme, ma di tanto in tanto (un paio di volte all’ora) ci prende una morsa allo stomaco, cadiamo in un baratro di dubbi e ci sentiamo niente.

Avrò fatto bene o male? Sarò fatto bene o male?

Cose così, che se non dai loro un peso sembra che un peso non ce l’abbiano, invece col tempo si depositano dentro di te e ti rendono cemento armato.

Cerchiamo gli occhi di chi ci sta accanto, che magari sappiamo essere occhi benevoli, per chiedere senza voce è tutto a posto?, va tutto bene?, va bene così?

Va bene così? E basta un mezzo sorriso, basta un cenno invisibile con il capo, basta una carezza che ci rimette in riga, di nuovo presenti a noi stessi e si va avanti. Magari non va tutto bene, magari non è il massimo che si possa desiderare dalla vita, magari non c’è più niente e il vuoto dilaga, ma possiamo farcela, possiamo sopportarlo, possiamo andare avanti. Ancora un po’.

Io ci faccio caso a quanti sguardi lancio al mondo e registro ogni sorriso, ogni cenno, ogni tocco benevolo che mi arriva. Sono tanti, grazie al cielo sono tanti. E ringrazio con un sorriso, con un cenno o con un tocco leggero chiunque sappia darmi quel pizzico di luce che mi rassicura e mi fa procedere con schiena dritta e senza troppa paura. A mia volta, spero di saper fare altrettanto, magari non spesso come dovrei perché ho dinamiche strambe dentro di me da tenere a bada, e spero che mi venga bene rassicurare chi per un istante si sente perso.

Perché non viaggiamo su rotaie, siamo passi liberi che sollevano sabbia e polvere e inciampano sui sassi e rotolano per terra se cozzano contro qualcosa. Come niente. Senza bussola, con poca acqua e il sole che ti scava la fronte. E i miraggi fanno più male al cuore che alla gola, veder svanire desideri e certezze può toglierti tutta la vita in un secondo soltanto.

Abbiamo bisogno di parole e di abbracci che ci facciano rimettere in piedi. Abbiamo bisogno di abbracci e sorrisi che ci facciano riprendere il cammino. Abbiamo bisogno di sorrisi e pensieri buoni che ci facciano guardare di nuovo all’orizzonte contenendo la vita per non farla scappare.

Abbiamo bisogno di essere rassicurati che così come siamo è ok. Semplicemente.

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(733) Volare

Forse ho dimenticato come si fa. Dico forse perché mentre ci penso mi distraggo, come se qualcosa mi portasse via per non farmene accorgere. Mi disturba non essere in grado di misurare quel che di me ho perso. Mi lascia troppe domande aperte e mi sento gelare.

Volare mi riusciva piuttosto bene, riuscivo a staccarmi dal mio stato materiale per immaginare quello che avrebbe potuto essere e che – forse – speravo che sarebbe stato. Temo che il fatto che non si sia mai avverato nulla di quello che immaginavo giochi un ruolo determinante nel mio stato attuale di impossibilità a librarmi in volo. Non ci riesco, rimango ancorata alla terra, a quello che c’è e a quello che sta per accadere. Mi si strozza in gola il respiro e mi sembra che sia questo l’unico respiro disponibile per me ora.

Ora? Sì, ora che sono grande. Ora che al massimo posso invecchiare, ma non posso più crescere ed espandermi. Ora che devo ritirare un po’ le armi, giocare più d’astuzia che di impeto passionale. Ora che riflettere è diventato l’imperativo e comprendere si rende bussola indispensabile per segnarmi il cammino.

Non ho troppa voglia di fare conti e calcoli per capire che landa desolata io stia sorvolando mentre il motore in avaria mi sta imponendo un atterraggio di fortuna. Eh, sì. Fortuna che me ne sono accorta in tempo, fortuna che son ancora qui a raccontarla, fortuna che ho ancora braccia e gambe per proseguire, fortuna che gli occhi mi si sono asciugati e che il bisogno di orizzonti azzurri non è più un’ossessione ma soltanto una nostalgia, una delle tante. Anche se la nostalgia annebbia la percezione del valore delle cose presenti, chi riesce più a farne a meno?

Volare, per quanto ormai mi è possibile, è un volare breve a bassa quota. Temo non sia più un vero volare, ma soltanto il ricordo di quel che ero solita fare senza chiedere il permesso a nessuno, senza inventare giustificazioni. Non dico che stavo meglio prima di ora, eppure sapere che mi sono dimenticata di come si può raggiungere il cielo con il cuore brillante mi rende triste. Sarà che è tardi, sarà che sono stanca, sarà che manco in questo momento d’immaginazione. Chi lo sa.

Chi lo sa.

Buonanotte.

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(722) Soliloquio

Non sono solita bere alcolici, mi sarò sbronzata un paio di volte in tutta la mia vita, eppure oggi ho riletto a casaccio alcuni dei post di questo mio blog e mi sono impressionata. Sembro un’alcolizzata all’ultimo stadio. 

Sto qui a scrivere di pensieri e cose che hanno forma solida soltanto nella mia mente da quasi due anni. Una sbronza bella lunga direi.

Non mi sono mai soffermata sul fatto che chi non mi conosce e passa di qui per caso a leggermi potrebbe farsi un’idea piuttosto squinternata di me – e molto probabilmente succede anche a chi mi conosce nella vita reale. Quindi, visto che non l’ho mai considerato un rischio fino a ora, ho deciso che continuerò a non pensarci. Mi viene più facile.

Quest’ennesimo soliloquio non è che una conferma di tutto quello che il mio stato perenne d’inebriamento comporta: pensieri concatenati che solitamente mi portano a zonzo senza alcuna meta e poi mi lasciano a un angolo o l’altro della strada. Strada deserta, il più delle volte. Che senso ha? Averceli, i pensieri, potrebbe non essere molto sensato ma non posso impedire loro di comparirmi in testa, non scriverli avrebbe ancora meno senso perché mi illudo ancora che uno di questi scritti potrebbe – col senno si poi – rivelarsi illuminante. Non tanto per gli altri quanto per me. Metti che a un certo punto mi viene un pensiero straordinario e poi me lo dimentico… ma scherziamo?!

Chi pensa troppo corre il rischio di intortarsi avvoltolandosi in se stesso. Perdi la bussola, perdi la misura, perdi il controllo. Bisogna ancorarsi a terra in qualche modo e ognuno trova il suo modo. Ecco, il mio modo è pressocché innocuo. Riguarda soltanto me, nessun danno collaterale. Non è mica poco.

Comunque stasera sono in ritardo rispetto al solito e sto crollando dalla stanchezza… questo soliloquio risulterà più alcolico che mai. Quasi quasi me ne faccio un altro. Anzi, ne prendo due. Due on the rocks, ovviamente.

Buonanotte.

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(681) Mondo

Una volta era più piccolo, poi ha deciso di farsi tondo anziché piatto, di farsi dettagliato anziché blandamente abbozzato e noi abbiamo perso la bussola.

Colpa degli avventurieri, degli esploratori, dei conquistatori. Colpa delle mappe, colpa delle sonde spaziali, colpa di Google Maps. Ora il mondo è enorme. Enorme e pieno di cose, oltre che di persone, talmente pieno che ne hai abbastanza di un paio di documetari per sentirti padrone di terre lontane, prima sconosciute e ora decisamente alla tua portata – oplà! Colpa del National Geographic e anche di Piero e di Alberto Angela, perché quando è troppo, è troppo.

E ‘sto fatto di andarsene in giro, di usare i piedi, le bici, le moto, le auto, gli aerei, le barchette, le canoe, le navi, i transatlantici… che abitudini sono queste? Dovremmo essere ancorati al suolo con radici massicce, come quelle di un baobab, altroché! Almeno così si eviterebbe di andare a rompere le scatole a casa degli altri. Si nasce, si vive e si muore nello stesso posto. Niente incroci di razze, di tradizioni, di usi e costumi. Niente di niente.

Alla fine internet va bene, ti puoi guardare le cose che ti interessano senza muoverti di un passo e capire tutto. C’è Wikipedia e ci sono i Social, no?

Quando il mondo è troppo, davvero troppo, non possiamo far altro che rimpicciolirlo. Lo facciamo diventare piatto. Da qui a lì. Lo si può percorrere con lo sguardo, a spanne, e togliere tutto il superfluo. Togli quello che non ti interessa, togli quello che ti disturba. Fai pulizia. Spazzi gli angoli del tuo mondo piatto e ci pattini sopra senza impedimenti. Semplice.

Ma se ami i tuoi piedi perché ti portano gagliardi da una parte e dall’altra, se non soffri il mal d’auto o il mal di mare o il mal d’aria, se non ti spaventano gli incroci e le contaminazioni, se sei una persona rispettosa dei luoghi che non ti appartengono e degli usi e costumi di chi è diverso da te… allora l’enormità del mondo la vorresti abbracciare ad ogni respiro, la vorresti percorrere con la mente e con il corpo senza perderti neppure un passo, e scivolare sulla sfera come un acrobata diventerà la tua filosofia e la tua sola ambizione. Le radici te le porterai dentro, ringraziando ogni baobab che incontrerai sulla tua strada perché le scelte degli Esseri Viventi sono sacre, anche quelle che non capisci.

Il mondo era piccolo, ora è enorme. Un’enorme benedizione. Svegliamoci!

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(650) Compromessi

Decisamente vero. A forza di compromessi si perde la bussola. E io sono sempre stata molto attenta a non cedere in situazioni in cui sentivo che sarebbe stato solo l’inizio e che poi sarebbero stati dolori a ritornare sulla mia strada. La mia strada, sì, perché ognuno di noi ne ha una sua e questa potrebbe anche non incrociare altre strade già troppo battute e bisogna pensarci bene a quello che si lascia o si può guadagnare ad ogni passo che compi. 

Alla mia non più verde età posso dire di aver fatto bene, ho fatto bene perché sono ancora sulla mia strada ed è la mia e io mi ci trovo in equilibrio con dignità intatta. Eppure non è che i compromessi ora non siano più un rischio, lo sono sempre. La mia visione è però cambiata, questo un po’ mi impensierisce. Mi sono accorta che certi compromessi non sono lì per portarti fuori strada, ma per farti guardare meglio la strada. Sembra complicato, ma non lo è, anzi è piuttosto semplice: le cose non sono mai soltanto quelle che vediamo dal punto in cui ci troviamo, sono sempre molto di più. Quel molto di più lo si può vedere spostandoci un po’ di qua e un po’ di là, a volte per farlo bisogna fare un passo laterale un po’ più ampio e quello potrebbe essere considerato un compromesso.

Per avanzare, diciamo nove volte su dieci, spostarsi e abbracciare un piccolo compromesso è quasi la regola perché le cose esattamente come le vogliamo noi non esistono. Non esistono proprio. Nella nostra testa ci costruiamo la situazione ideale senza prendere in considerazione la realtà e le sue dinamiche, eppure ci intestardiamo a rimanere lì ancorati mentre la vita ci sorpassa a destra e via. In questo delirio guardiamo ai compromessi come tentazioni del Diavolo e se abbiamo questa fame di purezza interiore elevata all’ennesima smettiamo di imparare per radicarci nella nostra safe zone

Quindi parliamo dell’entità dei compromessi, così diamo il giusto peso ai pro e ai contro. Piccoli compromessi: sono quelli che ci permettono di agire senza rinunciare a noi stessi – al nostro credo – e allo stesso tempo avanzare in conoscenza, in esperienza, in comprensione. Grossi compromessi: sono quelli che ci invitano – dietro lauto compenso, stile “L’Avvocato del Diavolo” – a snaturare la nostra indole, ad abbracciare una visione distorta di noi stessi e di ciò che vogliamo, a svenderci in cambio di un qualcosa che potrebbe non arrivare mai. Eccomi infine al punto: raccontarsi che certi compromessi son piccolezze soltanto per argomentare il nostro cambio di rotta e crearci degli alibi, non è una buona idea.

Quindi fuori la bilancina, Babs, e vediamo di capire da che parte pende e dove ti vuoi mettere tu. Occhio alla strada, però!

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