(966) Superfluo

Tutto quello che va oltre il necessario è da considerarsi superfluo. E del superfluo uno se ne può sbarazzare, basta averne voglia. Ok.

Diamo per scontato che io abbia individuato in te qualcosa di superfluo e che, considerando che tu puoi starne tranquillamente senza, io ti voglia spingere ad abbandonarlo. Ti sto guardando con i miei occhi, non sto sentendo quello che tu senti, non sto vivendo quello che tu vivi, non sono te. Semplicemente.

Mettiamo il caso che tu faccia resistenza, che tu senta questa spinta, questa pretesa come una violenza. Certo, quel dettaglio non sei tu, ma tu sei anche quel dettaglio e… te lo vorresti tenere. Voglio dire, non è una cosa importante, non è una tara dell’anima o un difetto insopportabile, è un dettaglio. Qualcosa di superfluo, certo, ma che tu decidi di tenere. Di tenerti dentro, perché è un pezzettino che ti sembra decori bene il tuo tutto. 

Ergo: io sono un’idiota. Perché ti sto spingendo dove tu non vuoi andare, anziché togliere da me il superfluo, lo voglio togliere a te. Assurdo no? Mi meriterei un pugno in faccia, e se me lo prendo mi sta bene.

A me sta bene perseguire l’ideale del minimal: vivo con poco, viaggio con poco, muoio con poco. Perlamordelcielo, portarsi appresso tante cose è fatica e ingombro. Però, ci sono delle cose piccole, superflue certo, che ti fanno stare bene. Piccole, stupide, decorazioni che adotti e che porti con te. 

Perché se sulla tua carta d’identità, alla voce segni particolari non sai cosa metterci, qualcosa non va. O sei troppo triste per guardarti accuratamente e trovare in te qualcosa di particolare, oppure ti sei adeguato ai segni particolari degli altri che han finito per non essere più particolari. 

Se invece curassi le tue piccole decorazioni, quelle di cui potresti anche fare senza ma che tu scegli di portarti addosso… coprire onorevolmente quella voce sarebbe facilissimo. E soddisfacente.

Evviva il superfluo che ci rende più belli!

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(681) Mondo

Una volta era più piccolo, poi ha deciso di farsi tondo anziché piatto, di farsi dettagliato anziché blandamente abbozzato e noi abbiamo perso la bussola.

Colpa degli avventurieri, degli esploratori, dei conquistatori. Colpa delle mappe, colpa delle sonde spaziali, colpa di Google Maps. Ora il mondo è enorme. Enorme e pieno di cose, oltre che di persone, talmente pieno che ne hai abbastanza di un paio di documetari per sentirti padrone di terre lontane, prima sconosciute e ora decisamente alla tua portata – oplà! Colpa del National Geographic e anche di Piero e di Alberto Angela, perché quando è troppo, è troppo.

E ‘sto fatto di andarsene in giro, di usare i piedi, le bici, le moto, le auto, gli aerei, le barchette, le canoe, le navi, i transatlantici… che abitudini sono queste? Dovremmo essere ancorati al suolo con radici massicce, come quelle di un baobab, altroché! Almeno così si eviterebbe di andare a rompere le scatole a casa degli altri. Si nasce, si vive e si muore nello stesso posto. Niente incroci di razze, di tradizioni, di usi e costumi. Niente di niente.

Alla fine internet va bene, ti puoi guardare le cose che ti interessano senza muoverti di un passo e capire tutto. C’è Wikipedia e ci sono i Social, no?

Quando il mondo è troppo, davvero troppo, non possiamo far altro che rimpicciolirlo. Lo facciamo diventare piatto. Da qui a lì. Lo si può percorrere con lo sguardo, a spanne, e togliere tutto il superfluo. Togli quello che non ti interessa, togli quello che ti disturba. Fai pulizia. Spazzi gli angoli del tuo mondo piatto e ci pattini sopra senza impedimenti. Semplice.

Ma se ami i tuoi piedi perché ti portano gagliardi da una parte e dall’altra, se non soffri il mal d’auto o il mal di mare o il mal d’aria, se non ti spaventano gli incroci e le contaminazioni, se sei una persona rispettosa dei luoghi che non ti appartengono e degli usi e costumi di chi è diverso da te… allora l’enormità del mondo la vorresti abbracciare ad ogni respiro, la vorresti percorrere con la mente e con il corpo senza perderti neppure un passo, e scivolare sulla sfera come un acrobata diventerà la tua filosofia e la tua sola ambizione. Le radici te le porterai dentro, ringraziando ogni baobab che incontrerai sulla tua strada perché le scelte degli Esseri Viventi sono sacre, anche quelle che non capisci.

Il mondo era piccolo, ora è enorme. Un’enorme benedizione. Svegliamoci!

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(185) DNA

C’è un modo strano, spesso, che la vita usa per metterti davanti a un dato di fatto che tu hai fino a un istante prima ignorato (volutamente o meno non fa differenza). Incontri nel reale quella cosa e ti devi fermare per registrarla una volta per tutte.

Mi è capitato stasera, mi sono dovuta fermare e l’ho finalmente registrata.

Scendere in particolari diventerebbe noioso, ma è più la sostanza di quello che sto sentendo in questo momento che voglio sia scritta una volta per tutte, ovvero: sollievo.

Il mio DNA non è senza criterio. Non è uno sbaglio della natura. Non è un caso fortuito. Non è senza ragione. Davvero è il risultato di una mescolanza, di una formula il cui dosaggio può non essere riconducibile con precisione a un’origine o all’altra, ma è comunque il frutto di un calcolo che va oltre me.

Può non avere senso, detto così in generale, ma a togliere tutto il superfluo resta il sollievo. Che ha a che fare con uno strano e ridicolo sentimento di riconoscimento, uno strano e ridicolo sentirsi meno sola, uno strano e ridicolo ricondurmi a un perché senza che il perché sia costrizione, ma semplice presenza.

Sollievo. Non cambia nulla del mio reale, forse, ma cambia qualcosa dentro dentro dentro in fondo a me.

Come scoprire che quel qualcosa che avevi perso e di cui ti eri obbligata a fare a meno, perché non sostituibile, ti comparisse davanti per rientrare nuovamente nella tua vita. Sai che ne potresti ancora fare a meno, ma benedici il fatto che sia lì ad arricchire la tua esistenza, ancora.

Esattamente così.

 

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