(844) Aggiornamento

Mi si aggiorna qualcosa e mi si inceppa qualcos’altro. Random. Inutile che mi incazzi, succede ogni sacrosanta volta. E non sto parlando solo a livello tecnologico, intendo coprire con questa mia esternazione l’intero mondo terracqueo che mi riguarda. Fuori e dentro. Lo so, impressionante.

Fatto sta che gli aggiornamenti ci devono essere, si devono fare. Occorre attrezzarsi con un paio di confezioni di Maalox plus, ovviamente. Minimo.

Perché in fin dei conti lo sappiamo che non c’è luce senza oscurità, non c’è bene senza male, non c’è giustizia senza ingiustizia, non c’è aggiornamento senza casini correlati. Amen. Quindi parliamo di cosa significa aggiornarsi: fondamentalmente significa stare al passo coi tempi. Quali tempi? Quelli che stiamo vivendo, ovvero questi. Questi tempi.

Di questi tempi c’è chi fa finta di essere ancora nel Neozoico, e non c’è verso di farlo rinsavire. Allora eccolo che tira fuori la terra piatta, l’inferiorità della donna e che l’Apocalisse sta arrivando. Non c’è niente da ridere, questi dinosauri si riuniscono in gruppi – anche belli numerosi – per autoalimentarsi con teorie ridicole che li infuoca come se fossero carbonelle. Insomma, imbarazzante e alienante. Sarebbe necessario un bell’aggiornamento forzato – stile windows o android – dove anche se tieni spento pc e cellulare non hai scampo. Al riavvio potresti scoprire che sulla schermata di blocco è scomparsa la data e l’ora (m’è successo stamattina, ma non voglio soffermarmi su questo dettaglio da nulla che mi sta facendo ribollire il sangue) o che il tuo desktop sembra non appartenerti più perché si è ordinato con logica venusiana e lo stai fissando da un’ora senza trovare nulla di nulla di nulla.

Ecco, invece no. Gli aggiornamenti indispensabili non sono applicabili, gli altri sì. Mai una gioia.

Quello che voglio dire, lo so suono piuttosto confusa stasera (ve l’ho già detto che mi è scomparsa l’ora e la data dalla schermata del mio cellulare?), ma vediamo se riesco a spiegarmi meglio: il mondo va avanti, perché così è stato pensato, per andare avanti. Non va avanti e poi indietro e poi avanti e poi indietro. Va avanti e NON va indietro. Magari ti sembra, per certi versi, che lo faccia, che stia ritornando sui suoi passi, ma va sempre avanti. E quando vai avanti per forza di cose ti tiri dietro tutto. Ecco, tutto tutto tutto non lo si può portare sul groppone per molto (è troppo, oggettivamente parlando è troppo) quindi alcuni pezzi rimangono sparsi per strada. Tutto normale, no panic. Sarebbe meglio disfarsi delle cose inutili – per esempio i terrapiattisti, i misogini, gli apocalittici – sono d’accordo, ma la prendiamo sottogamba ‘sta sottigliezza. Rimango dell’idea che pensare che ogni cianfrusaglia possa entrare dentro la valigia sia la vera follia. Quindi si fa così: ci si aggiorna i neuroni, si fanno girare meglio, un po’ più leggeri, e si aggiusta l’assetto per procedere e progredire.

Mi rendo conto che sto scrivendo un sacco di banalità, ma ve l’ho già detto che mi è sparita ora e data dalla schermata del mio cellulare? No, son cose da pazzi, davvero… come faccio ora?

 

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(771) Fessura

Solitamente il mondo non mi appartiene. Questa affermazione risulta più precisa della solita “io non appartengo a ‘sto mondo” perché è ovvio che se il mondo non ti vuole è facile non appartenergli. La questione, invece, che è il mondo a non appartenermi è già meno ovvia. Mi piacerebbe non fosse così, ma è un dato di fatto che ben poco al mondo mi appartiene, tutto intero mi riesce del tutto impossibile.

Guardo quindi dalla fessura ciò che vorrei fosse mio. Mio mio mio. Proprio il significato che un bimbo dà al possessivo di prima persona: mio.

Una cosa quando è tua te la vivi meglio, specialmente se te la sei guadagnata perché apprezzandola non la vai a sprecare. Non si pretende di averle gratis le cose, soltanto di averle prima o poi. Certo che si cambia idea, certo che le cose che non hai sembrano più luccicanti di quelle che hai già, certo che l’avidità è una brutta bestia, certo che chi troppo ha nulla stringe, certo che c’è chi non ha nulla eppure è felice, certo certo certo. Non sto qui a discutere l’ovvio, sto solo valutando questa prima frase che mi è uscita e che non sapevo di avere:

“Solitamente il mondo non mi appartiene… “

Perché sto sempre fuori assetto, in un modo o nell’altro, perché anche quando sono presente è come se fossi altrove in una parte seppur remota del mio cervello, perché c’è sempre un qui o un lì che mi sfugge e che alla fine lascio andare senza ripensamenti o struggimenti sparsi. Lo so, sono alla frutta. Mi sto lamentando di che cosa? Cosa diavolo sto dicendo?

Sto solo dicendo che solitamente il mondo non mi appartiene, solitamente. Eppure nei due/tre nanosecondi in cui invece lo fa, consegnandosi senza combattermi… ecco, io me ne accorgo. Me ne accorgo ogni volta, ogni volta. Sempre con meraviglia, sempre grata. Come oggi.

Alleluja!

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(765) Assetto

Ieri sera una cara cara amica mi ha mandato un messaggio del tutto inaspettato e bellissimo. Un dono caduto dal cielo. Non immaginavo mi vedesse in quel modo attraverso i suoi splendidi occhi verdi. Mi ha fatta sentire apprezzata, mi ha commossa profondamente. Quando l’affetto arriva da una donna il valore raddoppia perché non ci sono dinamiche di rivalità o di sottile competizione. Una condizione assolutamente rara e preziosa. Sono andata a dormire con il cuore felice, tutto qui. Mica è poco, giusto?

E anche questa mia giornata è finita e devo dire che è finita bene nonostante sia stata attraversata da un piccolo shock che manco sto a raccontare perché mi vengono i brividi. La questione principale è, e rimane, che ho ripreso il mio assetto in normal position e sono grata al cielo (e alla mia oculista).

Ripensando a tutto, anche a quelle mille cose che non sto a dire perché non hanno grande rilevanza se prese singolarmente, mi sento come se fossi passata sotto un rullo compressore e non tanto fisicamente quanto emotivamente. Che io poi riesca a fare come se nulla fosse è soltanto perché vado avanti finché non crollo sfinita a letto.

Lo so, non ci avrete capito un bel niente, ma è proprio questo il punto: credo sia sacrosanto non capirci un bel niente mentre si vive. Le cose le si capiscono – se siamo fortunati – sempre un po’ dopo e forse è il nostro modo per andare avanti senza farci prendere troppo dal panico. Volevo solo arrivare a questo piccolo punto d’origine dove il caso è sempre Signore inarrivabile: siamo delicati e siamo immersi per tutto il tempo in un dannato frullatore che va a velocità 5 (almeno). Cosa possiamo pretendere da noi stessi se non la mera sopravvivenza?

Eh. Ci sto appunto pensando.

‘notte.

 

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(217) Guardiani

Fare la guardia a noi stessi. Mi gira in testa da mesi questa cosa, forse buttarla giù – qui – in parole, mi darà sollievo. Provo.

Guardarsi da fuori per sistemarsi dentro, lo trovo indispensabile. Sistemarsi dentro significa trovare l’assetto giusto dove l’equilibrio regge almeno per un po’. Quando ti accorgi che non regge più, lo sistemi e procedi così ad lib finché morte non ti separa dal corpo e te ne vai dove devi andare.

Guardarsi da dentro per sistemarsi fuori, è la mossa successiva inevitabile. Valuti dove sei, ti accerti di aver raggiunto un equilibrio onorevole e ti gestisci con l’ambiente che ti circonda per come questo ti contrasta o ti supporta. Anche qui ad lib finché morte ecc. ecc.

Ora, però, viene la parte delicata: i Guardiani. Dovrebbero essere quelle maestose entità che ci tengono d’occhio, che ci dicono “no” quando il rischio è di sbriciolarci e ci dicono “sì” quando la possibilità è di elevarci. Non parliamo di sfumature, perché altrimenti il lavoro (già sottopagato e sottostimato) dei Guardiani diventerebbe un inferno (se non lo è già, poveri loro), ma focalizziamoci sulle cose grosse, quelle pietre che ci permettono di stare piantati qui nella vita. Ok, detto questo procediamo: i Guardiani – entità pazienti, severe, sapienti, giuste – stanno sempre lì/qui dentro di noi e noi li ignoriamo bellamente per la maggior parte del tempo. Non perché siano fastidiosi (i miei li trovo piuttosto sobri e finemente educati), ma perché il loro essere giusti ci fa sentire piccoli e inutili. Sempre in difetto. Però sono Giusti, però non ce la faccio a dar loro ascolto perché… perché… perché…

Eh. Perché è stancante, sfinente, sbriciolante.

Quindi, in un periodo in cui ero più sbriciolata del solito ho pensato che dovevo affrontarli: “Non è che per caso mi dareste tregua per un po’?”. La risposta è stata… giusta: “No”. Ci sono rimasta male, lo ammetto. Ho accusato il colpo, mi sono sentita incompresa e vessata – etuttoquellochecisipuòimmaginare- e poi mi sono accorta che quel No era solo l’inizio della risposta, c’era molto di più da ascoltare. Ne ho colto l’eco soltanto, perché fare la permalosa mi aveva impedito di accogliere la limpidezza del messaggio che seguiva, ma il succo credo di averlo capito: “(No), noi siamo un monito compassionevole, un riferimento a cui agganciarti quando la terra ti frana sotto i piedi, una sicurezza per restare sulla giusta via, siamo qui per afferrarti quando nient’altro lo può fare”.

Ecco, a volte non basta chiedere, devi ascoltare per trovare la chiave.

 

 

 

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