(217) Guardiani

Fare la guardia a noi stessi. Mi gira in testa da mesi questa cosa, forse buttarla giù – qui – in parole, mi darà sollievo. Provo.

Guardarsi da fuori per sistemarsi dentro, lo trovo indispensabile. Sistemarsi dentro significa trovare l’assetto giusto dove l’equilibrio regge almeno per un po’. Quando ti accorgi che non regge più, lo sistemi e procedi così ad lib finché morte non ti separa dal corpo e te ne vai dove devi andare.

Guardarsi da dentro per sistemarsi fuori, è la mossa successiva inevitabile. Valuti dove sei, ti accerti di aver raggiunto un equilibrio onorevole e ti gestisci con l’ambiente che ti circonda per come questo ti contrasta o ti supporta. Anche qui ad lib finché morte ecc. ecc.

Ora, però, viene la parte delicata: i Guardiani. Dovrebbero essere quelle maestose entità che ci tengono d’occhio, che ci dicono “no” quando il rischio è di sbriciolarci e ci dicono “sì” quando la possibilità è di elevarci. Non parliamo di sfumature, perché altrimenti il lavoro (già sottopagato e sottostimato) dei Guardiani diventerebbe un inferno (se non lo è già, poveri loro), ma focalizziamoci sulle cose grosse, quelle pietre che ci permettono di stare piantati qui nella vita. Ok, detto questo procediamo: i Guardiani – entità pazienti, severe, sapienti, giuste – stanno sempre lì/qui dentro di noi e noi li ignoriamo bellamente per la maggior parte del tempo. Non perché siano fastidiosi (i miei li trovo piuttosto sobri e finemente educati), ma perché il loro essere giusti ci fa sentire piccoli e inutili. Sempre in difetto. Però sono Giusti, però non ce la faccio a dar loro ascolto perché… perché… perché…

Eh. Perché è stancante, sfinente, sbriciolante.

Quindi, in un periodo in cui ero più sbriciolata del solito ho pensato che dovevo affrontarli: “Non è che per caso mi dareste tregua per un po’?”. La risposta è stata… giusta: “No”. Ci sono rimasta male, lo ammetto. Ho accusato il colpo, mi sono sentita incompresa e vessata – etuttoquellochecisipuòimmaginare- e poi mi sono accorta che quel No era solo l’inizio della risposta, c’era molto di più da ascoltare. Ne ho colto l’eco soltanto, perché fare la permalosa mi aveva impedito di accogliere la limpidezza del messaggio che seguiva, ma il succo credo di averlo capito: “(No), noi siamo un monito compassionevole, un riferimento a cui agganciarti quando la terra ti frana sotto i piedi, una sicurezza per restare sulla giusta via, siamo qui per afferrarti quando nient’altro lo può fare”.

Ecco, a volte non basta chiedere, devi ascoltare per trovare la chiave.

 

 

 

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