(978) Levare

Quando cammini ancorata a terra ti vien difficile levare il capo e guardare quello che ti sovrasta (solitamente il cielo). Guardi a terra per non inciampare – se sei come me che basta un ologramma per farmi rotolare al suolo – o ti limiti a stare sulla linea a collo dritto.

Levarsi dalla terra costa fatica. Bisogna prima rendersi conto che lo si può fare, non è scontato. Non lo è .

Forse il peso del corpo che sentiamo al mattino è dovuto alla mancanza di peso del corpo nei sogni che lasciamo posare sul letto dopo che ce ne siamo andati. E forse non ci si può fare niente al riguardo. Non lo so.

Levarsi dai rumori del traffico, estraniarsi dal movimento del mondo, aiuterebbe? Forse. In realtà, non lo so. Non so quanto io sia in cerca di motivazioni per levarmi dal mio qui interiore. Un punto preciso, che non si lascia cancellare. Che fastidio ti dà? È soltanto un punto, diamine!

E me lo dà, un sacco di fastidio, perché non mi fa levare dal profondo e il profondo dopo un po’ diventa stucchevole. Ti impone di toglierti da lì. Non puoi fare finta di niente. Quindi la soluzione è levare il capo e guardare quello che hai sopra: una volta decorata o un cielo di nuvole? 

Il collo si tende, la nuca si flette all’indietro. Se ti lasci andare, le braccia si fanno sollevare volentieri e il morso si rilassa istantaneamente. Potrebbe essere un sorriso quello? Potrebbe.

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(448) Fraseggio

fraéggio s. m. [der. di fraseggiare]. – 1. Il fatto, e soprattutto il modo, di fraseggiare, di congegnare le frasi. 2. In musica, l’arte e la pratica del porre in rilievo, nell’esecuzione, gli elementi espressivi del discorso musicale (legature, coloriti, abbellimenti, ecc.) che costituiscono un periodo avente in sé un senso, cioè una frase.

La musica non è sempre quella. Non lo è mai. La musica cambia, come cambia il respiro a seconda del nostro stato emotivo. La musica modifica la propria sostanza anche quando lo spartito non ne tiene traccia. 

Ingiusto pensare che manchi di movimento, manchi di interesse alla vita. Siamo noi, spesso, che non abbiamo orecchie abbastanza sensibili da rendercene conto, che non abbiamo voglia di catturare quello che nell’aria rimane sospeso ogni volta che la musica si sposta un po’ per dare spazio al silenzio.

Se stessimo più attenti al nostro battere di cuore e al nostro pulsare di sangue, avremmo ben chiaro di quanti ricami siamo capaci. E i ricami servono, altroché se servono, per rendere migliore quel che così nudo e crudo potrebbe spaventarci e toglierci il vigore.

La musica, la nostra, è esattamente ciò che noi vogliamo che sia, solo che spesso non la vogliamo abbastanza, la diamo per scontata e pensiamo non ci costi nulla. La musica ha un costo alto, può rendere solitario il nostro viaggio, può renderci odiosa la vicinanza degli altri, può rendere ostico tornare alle abitudini che ormai non ci appartengono più – perché se sei nel flusso della tua musica, quella ti trasporta oltre, sempre uno scoglio più in là.

La musica è movimento, in battere e in levare, e non è mai la stessa, anche se la partitura sembra dirti il contrario. Leggi meglio, ascolta meglio. E vai. Vai!

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