(1100) BITSTOP – nuova partenza

Se sei arrivato ora, soltanto ora, mi dispiace ma sei arrivo troppo tardi. Questo blog è stato un viaggio lungo tre anni e si è concluso perché così era stato deciso sin dall’inizio. Tutto rimarrà intatto in questo luogo, così come è avvenuto. Puoi leggere a ritroso (da questo al primo post) o puoi iniziare dal principio e sceglierti il passo che vuoi. Puoi anche saltare di qua e di là. Puoi addirittura andartene via senza leggere nulla. Ma per favore non sbattere la porta, non sarebbe gentile.

(Barbara Favaro – l’autrice)

 

Me ne sono inventata un’altra. Sì, inevitabile come un’escremento di piccione che ti cade in faccia in Piazza San Marco a Venezia. Mi dispiace.

Un blog che è un punto di ristoro, ecco l’idea. Prende ispirazione dal Pitstop che nel mondo delle corse è quella pausa di rifornimento necessaria a chi corre a perdifiato in pista per arrivare primo.

Noi tutti corriamo e corriamo in pista tutti i santi giorni, per questo abbiamo bisogno di un pitstop ogni tanto. Magari a metà settimana. Magari per godersi qualcosa di bello e inaspettato. Magari qualcosa che sia gratuito e che non abbia controindicazioni. Qualcosa così.

Ogni mercoledì, a partire dal 9 ottobre 2019, fermatevi un po’ qui da me: BitStop.

Un Bit per fare un bel respiro e poi tornare in pista per arrivare primi.

Io vi aspetto e… passate parola se vi va.

 

 

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(1058) Fermata

Ogni tanto mi succede di perdere un po’ l’orientamento. Non so a che fermata devo scendere. Così non scendo e continuo ad andare. A volte mi domando se la mia fermata sia già passata – senza che io me ne rendessi conto – e se magari non sia il caso di tornare indietro. Rifare il percorso per verificare. Lo so, follia.

È molto probabile che io abbia fatto attenzione durante il viaggio, con l’ansia che mi contraddistingue è probabile che io abbia controllato tutte le mappe possibili e immaginabili per essere sicura di non scendere alla fermata sbagliata. È così probabile che per la maggior parte del tempo lo do per scontato. Ovvio. Non può essere. Eh.

Quando meno me l’aspetto, però, mi prende un guizzo di panico e mi faccio la domanda fatidica: non è che la fermata a cui dovevo scendere per caso sia già passata?

Ora, che io debba scendere e il perché debba scendere mi sembra neppure questione da discutere. Giusto? Sì. Certo. Ma se leggiamo tutto questo nell’ottica di un viaggio lungo una vita e quindi la fermata ultima è quella della morte, non sarò di certo io a decidere. Se, invece, vediamo il nostro procedere come un normale saliscendi dall’autobus e che a ogni fermata c’è qualcosa lì per noi, che ci aspetta, e quindi mancarne una è un vero peccato… ecco, il film cambia. Giusto?

Vedi che ci si perde a un certo punto del ragionamento? Si entra in un vortice spazio-temporale che non ha nulla a che fare con la realtà bensì con le supposizioni. E di supposizioni ci si può morire. Altroché.

Riprendendo il filo del discorso, agganciandomi al titolo del post, ho la sensazione di essermi persa delle fermate importanti. Ma ho anche la consapevolezza che io abbia volutamente tirato dritto perché non sembravano granché per quella che era la mia aspettativa. Con il senno di poi sono ancora più certa della giustezza di quella sensazione (anche se potrebbe essere una pura costruzione mentale per non mangiarmi le mani dal nervoso), rimane però in ballo la questione del: e se la fermata – quella giusta, quella per me – mi fosse sfuggita da sotto il naso e io – ignara e ansiosa – stessi proseguendo aspettandomi chissà quale meraviglia e invece non ci sarà niente?

E qui sale l’ansia.

Va bene. Facciamo così: alla prossima scendo e vedo cosa c’è.

Ok.

Forse.

Vedremo.

Eh.

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(720) Orsetto

Non ho mai avuto un amico orsetto che mi stesse vicino nel momento del bisogno. Avevo i miei fumetti, i miei libri. Non sono morbidi, non sono caldi, sono proprio un’altra cosa. Un orsetto non avrebbe potuto rassicurarmi sul fatto che oltre a quello che conoscevo e che stavo vivendo ci fosse dell’altro, qualcos’altro di magnificamente misterioso e intrigante (come le storie che leggevo) e che quel qualcosa era lì e mi stava aspettando. Dovevo solo crescere un po’.

Ecco, questa cosa mi ha fatto viaggiare su corsie neuronali preferenziali, lo ammetto, ma nel concreto mi ha fatto sbattere il muso quotidianamente contro una realtà che non aveva nulla a che fare con quel misteroso-e-intrigante che sognavo – anzi tutto il contrario – eppure senza mai dubitare del fatto che la parte migliore doveva ancora arrivare e che mi stava aspettando.

Aspetta che ti aspetta ho affrontato diverse avventure – nel vero senso della parola – e seppur io mi sia pure divertita oltre che fatta il mazzo tanto, mai neppure per un istante quella tensione frizzante e deliziosa che trovavo in quelle storie si è verificata. Mai. Neppure da lontano. Neppure quando ero emotivamente coinvolta, niente di niente.

Ho pensato che probabilmente peccavo di sensibilità e che fosse mia responsabilità andarmele a cercare queste sensazioni mirabolanti, infatti continuavo a pensare che fossero lì da qualche parte e che mi stessero aspettando. Sta di fatto che odio aspettare senza fare niente per cui mi sono data piuttosto da fare per andare loro incontro, con molto impegno mi permetto di aggiungere. Anni e anni di situazioni assurde e spesso grottesche, di scivoloni e ridicoli errori, di incontri tristi-scellerati-stupidi-inutili, ma niente.

Quindi, facendo due conti veloci, le cose possibili sono due: o il  misteroso-e-intrigante non sono lì ad aspettarmi (e neppure sanno della mia esistenza) oppure mi stanno deliberatamente ignorando – per lecite ragioni, perlamordelcielo, ma senza un briciolo di compassione o umanità.

Qualche tempo fa decisi che mi sarei fermata, basta andare incontro alle mie allucinazioni, facciamo che il misteroso-e-intrigante non li voglio più. Un po’ mentendo e un po’ con convinzione, metà e metà diciamo. Non mi sono ancora spostata da questa perentoria autoimposta decisione, e non me ne pento. Però, stasera, stavo pensando che se fossi stata come tutti i bambini intelligenti di questa terra, mi sarei fatta regalare un orsetto perché a questo punto sarebbe lui a rassicurarmi sul fatto che anche così va bene. Non troppo, ovvio, ma potrebbe pure andare peggio.

Prossima volta nasco più intelligente.

 

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