(750) Barca

Durante la mia giornata le cose si ribaltano ogni mezz’ora. Come stare in barca, praticamente. Ci sono momenti in cui vorrei urlare “fatemi scendere subito!”, ma mi rendo conto che scendere se ti trovi in mezzo all’oceano non è proprio un’idea brillante. Ecco, io sto in mezzo all’oceano (tanto per rendere il quadro della situazione), quindi di scendere non se ne parla, l’unica cosa che posso fare è imparare a mantenere più che posso l’equilibrio. Questo posso e questo cerco di fare.

E se è pur vero che “finché la barca va, tu lasciala andare”, è anche vero che se la barca la lasci andare e basta – cioé di lei te ne freghi – non puoi neppure pretendere che ti porti dove vuoi tu. Quindi bisogna se non remare per lo meno approfittare del vento più che si può. Questo posso e questo faccio.

Non è che so sempre dove voglio andare, ma mi sono sempre imposta una meta perché girare a vuoto mi rende nervosa. Non pretendo di domare il Destino, ma voglio comunque dire la mia anche se per la maggior parte del tempo vengo bellamente ignorata. A volte essere ignorati è una benedizione, puoi farti i cavoli tuoi senza che nessuno ci metta il naso perché a nessuno frega niente di quello che stai facendo. Se diventa la norma, però, ti rende alieno nella tua terra e una o due domande bisogna pur farsele.

Si è notato che stasera non so bene dove voglio andare a parare con questo post? Bene, è la prova che andare così a naso può farti girare in tondo e se la testa ti gira una buona ragione c’è. Sono comunque partita da una parola, barca, e tutto sommato di barche so ben poco, conosco soltanto la mia ma forse la mia è, in fondo, un po’ come quella di tutti. Tutte le barche hanno un paio di funzioni da assolvere, restare a galla e trasportare qualcuno – spesso con qualcosa, tutte hanno una prua e una poppa, tutte si nutrono di acqua e vento, tutte sognano oceani blu e cieli azzurri spazzati di fresco. In fin dei conti cosa c’è da sapere di una barca se non questo? Il resto son dettagli.

Esattamente come ogni Essere Umano.

 

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(570) Sincronicità

Allo stesso momento, simultaneamente. Ti accorgi che quello che vuoi non va bene per te, e te ne accorgi mentre stai per ottenerlo. Ti passa la voglia di volere qualcosa, del tutto.

Oppure guardi una persona che istintivamente ti piace e scopri che per quello che sta dicendo o che sta facendo non ti piace più. O il contrario: non ti piaceva per nulla e per qualcosa che dice o che fa cambi idea. Simultaneamente. Ti vien voglia di non pensare a niente, tanto non ci azzecchi mai.

Quando allo stesso tempo pensi: ho caldo, ho freddo. Ho fame, non ho fame. Ho sonno, non ho sonno. Voglio, non voglio. Cosa diavolo mi stai facendo, cervello?! Vuoi farmi impazzire?! Simultaneamente sono e non sono. Sincronicità senza senso. Senza alcuna utilità.

E quando pensi di essere l’unica a provare questo sfasamento stordente, inizi a prestare attenzione a quello degli altri. Nei loro occhi passa il nero e il bianco in simultanea e tu non sai dove metterti, cosa fare, cosa dire. Ti viene solo voglia di andare via, andartene lontano, distante da ogni nero e ogni bianco che potrebbe catturarti e fare di te un grigio che non vuoi. Che non sei.

E ti domandi che cosa succederebbe al mondo se ogni Essere Umano si vedesse realizzare all’istante ogni desiderio gli passasse per la testa? Follia. Per fortuna facciamo in tempo a cambiare idea mille volte prima di iniziare veramente a costruirci un desiderio che abbia un senso. Meno male che il tempo dilata e annacqua l’intento per metterlo alla prova. Meno male che possiamo tentare di domare i nostri pensieri prima che questi ci frantumino pesantemente. Meno male.

La sincronicità bisogna saperla vivere, non c’è nulla da fare.

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(569) Veleno

Tutti abbiamo un centinaio di ettolitri di veleno da sputare, pronti per ogni evenienza. Legittimo. Ne riceviamo altrettanti al mese, a nostra volta ne distribuiamo qualche litro a settimana e mi pare un equo scambio. La cosa fondamentale è non sprecarne con chi non lo merita o non capisce quanto lo stia meritando, in entrambi i casi la soddisfazione si riduce a zero.

Lo sappiamo tutti, inoltre, che a piccole dosi il veleno – veramente piccole – raramente risulta letale e che se veniamo a contatto con del veleno a piccolissime dosi in modo costante probabilmente dopo qualche tempo avremo sviluppato gli anticorpi giusti per non aver la peggio.

Dopo anni di veleno ho gli anticorpi giusti, nel senso che continuando a riceverne – perché a me elargito con gran generosità – ormai mi rimbalza. C’è da dire che il veleno di certe persone sa essere più bastardo di altri, perché arriva assieme a un sorriso o perché arriva a sorpresa o perché arriva davvero ingiustamente. Ecco, per quanto io ci provi, quel tipo di veleno mi tocca ancora in profondità. Poi morire è un’altra cosa – perlamordelcielo – ma il contraccolpo mi sbrindella un bel po’.

Il veleno che lancio io, invece, è destinato ai cattivi. Davvero. Ho l’indole della castigamatti senza aver alcun potere terrificante e senza avere l’aspetto minaccioso – a parte certe occhiate, di tanto in tanto – e riservo il peggio di me a chi davanti ai miei occhi si permette di fare o dire qualcosa di veramente cattivo. La cattiveria è una bestia da combattere, sempre.

Purtroppo, le cose che penso e che mi escono dalla bocca con una certa fastidiosa assertività non sono da considerarsi veleno bensì cruda onestà. Questa mia indomabile parte esce se provocata con solerzia e con una certa costanza, altrimenti riesco a domarla e a tenerla per me. Purtroppo i miei avvertimenti – del tipo fermati finché sei in tempo, grazie – raramente vengono intesi come seri tentativi di glissare piuttosto che sbattere il naso contro il muro e quando il vaso è colmo è colmo e tornare indietro non si può. 

Volevo con questo post specificare che se qualuno si sentisse offeso da una mia asserzione, si deve rendere conto che non è la parte peggiore di me – quella velenosa – la responsabile, ma la parte migliore. Quella che per onestà intellettuale non può nascondersi dietro un dito e davanti all’ennesima provocazione si deve per forza far presente. Per questo non posso chiedere scusa. Sarebbe disonesto e codardo da parte mia e non me lo posso permettere. D’altro canto lo dice anche il proverbio:

“Non svegliar la tigre che dorme”.

Roar.

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