(721) Lettering

letteringlètëri› s. ingl. [der. di (to) letter «segnare con lettere; imprimere il titolo su …»], usato in ital. al masch. – Nel linguaggio della pubblicità e della grafica, operazione consistente nello scegliere, secondo opportuni criterî, i caratteri (anche scritti a mano) con cui far comporre il testo che accompagna un annuncio pubblicitario, o che in genere serve di commento e integrazione a un’immagine, a un disegno o serie di disegni (per es., un racconto a fumetti). Anche, il risultato di tale operazione.

La forma delle lettere parla. Lo stile con cui le lettere sono graficamente presentate parla. Che tu lo voglia o no, ti parlano al cervello prima ancora che agli occhi. Che tu lo voglia o no la tua risposta, la tua reazione, è influenzata da quello che il tuo cervello ha ricevuto come impressione.

Detto questo, se funziona per la parola scritta, funziona ancora meglio, e in modo più dirompente che mai, per la parola parlata. Lo chiamano tono, riferito alla voce, intonazione se riferito alle parole e alle frasi. Poi c’è la cadenza, che ci portiamo dietro come retaggio culturale, e anche quella serve e si impone un bel po’ nel nostro modo di presentarci e/o rapportargli con gli altri.

Tutto questo si traduce come modo. Il modo che abbiamo di esprimerci ci rende più o meno piacevoli al nostro prossimo. Sto molto molto molto molto attenta al mio modo, molto attenta. Quando scrivo e quando parlo. Più quando scrivo che quando parlo – non mi scappano parolacce quando scrivo, se le scrivo le voglio proprio scrivere, non sono soltanto un fastidioso intercalare – e sto molto molto dannatamente molto attenta al modo degli altri. Chi è sincero e chi finge, per esempio. Chi se la tira e chi no, un altro esempio.

La mia attenzione è focalizzata sul modo perché anche se ne esistono miliardi di varianti, sono solo due le dinamiche possibili: quella rispettosa e quella irrispettosa. Non c’è pericolo di confonderle, non sono interscambiabili, sono limpidamente evidenti perché prendono direzioni opposte. Certo, bisogna farci caso, bisogna che tu lo ritenga importante per riuscire a captarlo immediatamente e reagire di conseguenza.

Io ci faccio caso sempre. Proprio sempre. Vado oltre il sorriso, punto al lettering. Deformazione professionale, chiamiamola così, assolutamente precisa e affidabile.

Non mi piace avere sempre ragione riguardo alla lettura dei modi di chi mi sta attorno, ma non sono io quella infallibile, è il lettering. Mi affido a lui e lui non sbaglia. Ora, ce la possiamo anche raccontare, la prima impressione può essere sbagliata, ma se sai dove guardare non è un’impressione è studio istantaneo. E quando ho ragione, solitamente, mi siedo al centro del mio silenzio e aspetto. Non c’è bisogno di fare altro. Il tempo dirà meglio di me. E anche questa è una certezza.

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(599) Paradosso

Dunque: dopo oltre una quarantina d’anni che mi frequento – la storia d’amore/odio più lunga della mia vita – ancora riesco a sbalordirmi per la quantità imbarazzante di pensieri assurdi che mi passano per la testa.

No, non credo che capiti a tutti e questo potrebbe in qualche modo mettermi in una condizione di dubbio sulla mia santà mentale. Ho bypassato l’ostacolo anni fa quando decisi molto saggiamente che la mia condizione mentale ha il diritto di variare a seconda della stagione, del periodo storico e del mio stato emotivo. Tolto di mezzo ogni giudizio sul mio stato, le cose risultano lo stesso complicate. Come al solito le soluzioni che trovo non sono mai destinate a sollevarmi la vita, tutt’altro.

Ritornando sull’argomento mi trovo in una empasse imbarazzante nei confronti di me stessa perché non riesco a capire se quello che ho capito è realmente qualcosa che dovevo capire esattamente così oppure no. Voglio dire che il mio cervello ha ricevuto delle informazioni – frammentate – che ha sistemato una dopo l’altra e ne sta traendo delle conclusioni. Lecito, ma pericoloso.

Tenendo ora in mano quelle conclusioni mi rendo conto che potrei aver capito male, capito male però perché?

Potrei aver frainteso perché mi piacerebbe che fosse realmente così oppure potrei aver frainteso per deformazione professionale (mi piacciono le storie e me le cerco ovunque anche dove non ci sono). In entrambi i casi non va affatto bene. Eppure mi gira in testa una lista piuttosto lunga di elementi che sommati danno come risultato una cosa del genere:

Un granello di sabbia che cade non fa rumore, quindi nemmeno due, e nemmeno tre, e così via. Quindi nemmeno un mucchio di sabbia che cade fa rumore.

Zenone m’insegna che la logica fa cilecca e non è che la vita non me l’abbia confermato almeno un centinaio di volte, e io pensavo di essermene fatta una ragione. Ma la questione è che ci sono dei dettagli maledettamente convincenti e la realtà è proprio bastarda. Tutto quello che devo fare è: NON FARE NIENTE. Assolutamente e rigorosamente NON FARE NIENTE. Se riesco a NON FARE NIENTE per un lungo periodo, quello che ho capito rivelerà la sua natura (e molto probabilmente la mia malattia).

Ora che ho deciso cosa è meglio per me, devo soltanto ricordarmelo ogni santo giorno del mio presente per non fare l’ennesima cazzata.

Sperom [*dialetto bresciano]

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