(933) Ironia

L’ironia è come una caramella. Ogni guizzo ha un sapore diverso e alcuni ti possono piacere, altri meno e non li vai a cercare, ma chi rifiuterebbe una caramella quando vorresti soltanto scappare via?

Nessuno.

Le persone dotate di questo meraviglioso talento sanno spingerti dolcemente al sorriso proprio quando non te l’aspetti. Una piccola sorpresa che ti fa increspare le labbra e questa piccola onda ti entra dentro in fondo in fondo in fondo per sollevarti un po’. Quando ritorni coi piedi sulla tua solita spiaggia ti accorgi della sabbia, di ogni granello, come se fosse cosa nuova, perché sei più ricettivo, come se ti fossi appena risvegliato.

Adoro le persone ironiche.

Ironia è misura, rigorosa: né troppo né troppo poco. Ti devi spingere oltre, ma solo per quel tanto che basta a innescare l’onda leggera, dolce, quella che solleva e non quella che spazza via (il sarcasmo, tanto per intenderci). Nell’ironia c’è un miscuglio di amarezza e blando divertimento. C’è soprattutto un bisogno di sopravvivere a tutto quello che, preso in altro modo, potrebbe farci impazzire, potrebbe farci morire. Perché il veleno funziona anche a piccole dosi e l’ironia ne è l’antidoto infallibile. 

Un talento, per ognuno di noi diverso.

Perché non ci sono regole, ci sono punti di vista che si incrociano, che rendono i pensieri un po’ ruvidi e da lì si scivola naturalmente nell’arguzia di un concetto scollato – a volte osceno – espresso con grazia però. Chi non percepisce questa resistenza nel passarci sopra, questo leggero atrito su cui il tatto incespica, si perde un gran tesoro. 

Ma l’ironia non la puoi insegnare.

Questione di gusto, questione di grammi, questione di ritmo e calcolo dei tempi. Una musica che hai dentro e che non deve uscire spesso, soltanto quando il silenzio le permette di espandersi. Un po’. Soltanto un po’. E poi si lascia andare, scivola via per ritornare ad accompagnare il venire e l’andare delle emozioni che fanno poco rumore e non vogliono essere disturbate. Una cosa così, discreta.

Chi rifiuterebbe mai una caramella? Dai, siamo seri!

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(868) Disturbare

Disturbare il flusso dei pensieri di qualcuno è sempre delicato. Ti introduci senza essere invitato in una festa che non solo non è tua, ma che rovinerai con la tua presenza senza se e senza ma. In linea di massima non si fa. Poi ci sono le eccezioni. Quelle ci sono sempre, lo sappiamo.

L’attività disturbante che uno può mettere in atto in qualsiasi momento, a scapito di qualcuno e addirittura di sé stesso, se strategica porta alla vittoria, se senza discernimento porta a un calcio nel sedere. Ben meritato, aggiungerei.

Essere disturbati può attirare diverse conseguenze: perdi il filo dei pensieri (e può essere una tragedia se ti trovi dentro il flusso creativo o può essere la salvezza se ti trovi dentro un loop di disperazione), perdi la pazienza (e-che-il-cielo-abbia-pietà-di-te-oh-disturbatore!), perdi la voglia di rimettertici d’impegno nel finire quello che stavi facendo (se era un’attività che facevi malvolentieri o meno il risultato sarà diverso, ovvio).

Disturbare qualcuno funziona come atto disturbante se il disturbato si sente tale. Se non ci fa caso, il tuo disturbare perde forza, perde senso, perde valore. Sei soltanto uno che interrompe, ma che non viene preso come un maledetto scocciatore. Quindi il concetto legato al verbo “disturbare” è necessariamente legato alla percezione del disturbato.

Interessante vero? A seconda della tua percezione il mio stato cambia. Sono legato alla tua percezione per determinare se le mie intenzioni si esplicitano in positivo o negativo. Eh.

Se sei disturbato, in realtà, sei disturbato da qualcosa o da qualcuno. E non è detto che quel qualcosa o quel qualcuno stiano fuori da te. Potrebbero essere dentro la tua testa e basta. E qui si apre un mondo, vero?

Non so perché stasera ho affrontato questo pensiero. Forse sono stata disturbata mentre elucubravo su altro. Un flusso creativo interrotto è disturbante, non si fa, bisogna evitarlo a tutti i costi. Quello che per grazia ti aveva avvicinato se ne andrà per sempre e senza neppure far rumore. Un doloroso abbandono.

State lontani dai disturbatori di flussi creativi. O imparate a dare testate a chi se le merita. Io vi ho avvertito.

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(675) Pizza

Credo che la nostra lingua sia la più bella in assoluto, credo anche che sia la più pazza in assoluto. Mettiamo il caso della pizza: è una delle meraviglie culinarie di cui tutti vanno matti eppure se dici di qualcosa o di qualcuno che è una pizza significa che ti annoia e quando molli una pizza a un cafone lo fai per tenerlo al suo posto. Follia.

Mi domando come possiamo pretendere che arrivino da noi persone di altri continenti e che possano capirci o capire come far funzionare l’italiano tanto da destreggiarsi nel loro quotidiano senza tentennamenti. Follia.

Diamo per scontato che è molto probabile che il giapponese o l’hindi o il senegalese o l’innuit sia altrettanto complicato che l’italiano, se andassimo da loro adottando la loro lingua ci ritroveremmo come dei bambini balbettanti.

E la lingua che parli significa chi sei, da dove vieni, che cosa hai imparato e come lo hai imparato, significa un suono diverso e un respiro diverso, significa costruire pensieri con una logica che è il frutto della tua terra e dei geni che ti hanno lasciato in eredità. Significa tanto, significa tutto.

E noi, noi che abbiamo questi suoni e il lascito di bellezza e arte che ci invade ogni cellula, noi ci permettiamo di manomettere e sbeffeggiare la nostra lingua. Ci permettiamo di ridurla a rumore, a verso animalesco, a immondezzaio dove svuotare la pochezza dei nostri neuroni. Lo facciamo parlando e lo facciamo scrivendo. Pensiamo che quello che abbiamo ricevuto sia roba da poco, che si possa buttare o reinventare soltanto perché la pensiamo una pizza.

Bhé, comunque sia la pizza va bene in ogni stagione e in qualsiasi versione e soprattutto la pizza mangiata nel nostro Bel Paese è la Regina. E con questo ho finito di delirare anche per stasera. Buonanotte.

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(599) Paradosso

Dunque: dopo oltre una quarantina d’anni che mi frequento – la storia d’amore/odio più lunga della mia vita – ancora riesco a sbalordirmi per la quantità imbarazzante di pensieri assurdi che mi passano per la testa.

No, non credo che capiti a tutti e questo potrebbe in qualche modo mettermi in una condizione di dubbio sulla mia santà mentale. Ho bypassato l’ostacolo anni fa quando decisi molto saggiamente che la mia condizione mentale ha il diritto di variare a seconda della stagione, del periodo storico e del mio stato emotivo. Tolto di mezzo ogni giudizio sul mio stato, le cose risultano lo stesso complicate. Come al solito le soluzioni che trovo non sono mai destinate a sollevarmi la vita, tutt’altro.

Ritornando sull’argomento mi trovo in una empasse imbarazzante nei confronti di me stessa perché non riesco a capire se quello che ho capito è realmente qualcosa che dovevo capire esattamente così oppure no. Voglio dire che il mio cervello ha ricevuto delle informazioni – frammentate – che ha sistemato una dopo l’altra e ne sta traendo delle conclusioni. Lecito, ma pericoloso.

Tenendo ora in mano quelle conclusioni mi rendo conto che potrei aver capito male, capito male però perché?

Potrei aver frainteso perché mi piacerebbe che fosse realmente così oppure potrei aver frainteso per deformazione professionale (mi piacciono le storie e me le cerco ovunque anche dove non ci sono). In entrambi i casi non va affatto bene. Eppure mi gira in testa una lista piuttosto lunga di elementi che sommati danno come risultato una cosa del genere:

Un granello di sabbia che cade non fa rumore, quindi nemmeno due, e nemmeno tre, e così via. Quindi nemmeno un mucchio di sabbia che cade fa rumore.

Zenone m’insegna che la logica fa cilecca e non è che la vita non me l’abbia confermato almeno un centinaio di volte, e io pensavo di essermene fatta una ragione. Ma la questione è che ci sono dei dettagli maledettamente convincenti e la realtà è proprio bastarda. Tutto quello che devo fare è: NON FARE NIENTE. Assolutamente e rigorosamente NON FARE NIENTE. Se riesco a NON FARE NIENTE per un lungo periodo, quello che ho capito rivelerà la sua natura (e molto probabilmente la mia malattia).

Ora che ho deciso cosa è meglio per me, devo soltanto ricordarmelo ogni santo giorno del mio presente per non fare l’ennesima cazzata.

Sperom [*dialetto bresciano]

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