(710) Sassi

I sassi si possono tirare. E fanno male a riceverli, se non li prendi al volo. I sassi che ti colpiscono ti vien voglia di rimandarli al mittente in presa diretta, se non lo fai è perché non sei fatta così, tu i sassi non li tiri.

Non li tiri un po’ perché non ti viene in mente, nel senso che sei impegnata a fare altro, un po’ perché sai che fanno male e alla fin fine fare il male con intenzione non ti farebbe dormire bene la notte, e un po’ perché i sassi son come boomerang, tornano indietro facendo un bel giro largo e ti colpiscono con precisione svizzera.

Con i sassi ricevuti ho riempito diversi vuoti, soltanto perché non sapevo dove metterli e li ho messi lì dove pensavo mi sarebbero stati utili a qualcosa. In realtà, i sassi non si deteriorano, si fanno prove eterne di ciò che hai ricevuto e non è un bel servizio che ti fanno, ricordare fa persistere il dolore.

Fatto sta che con tutti questi sassi non sapevo che fare, e li ho messi un po’ qua e un po’ là. Ogni tanto li conto e non ne manca mai uno. Si sono proprio affezionati. Vorrei trovare un posto lontano da me per lasciarli liberi, per farli respirare un po’, ma non è che posso buttarli addosso a qualcuno come se la cosa non mi riguardasse. C’è scritto il mio nome sopra, eh.

Quando li guardo vorrei rilanciarli ai mittenti, perché non sono buona e il pensiero vendicativo lo conosco bene, ma poi lascio sempre perdere e non lo so neppure io il perché. Ora che ci penso: e se li togliessi dai miei vuoti e li raggruppassi per farne una montagnetta? Dall’alto la visuale migliora…

Ecco, forse ho capito a cosa mi possono servire. Ora mi arrampicherò fin lassù per vedere che aria tira. Una volta raggiunta la cima un’altra idea mi verrà di sicuro. Sono pronta.

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(668) Ruolo

Sapere in che ruolo stai giocando è importante. Se vuoi giocare bene, specialmente se vuoi magari pure vincere. Un ruolo ti legittima a fare quello che stai facendo, oppure ti fa presente che non sei legittimato a fare quello che stai facendo. Un ruolo ti fa stare al tuo posto, ma ti fa anche sentire al posto giusto. Sai che hai dei doveri e dei diritti che sono diretta conseguenza di quel ruolo. Se le responsabilità annesse non ti piacciono, sai che devi abbandonare quel ruolo per adottarne un altro. In poche parole, ti permette di ordinare la tua vita e di gestirtela come vuoi e puoi. 

Me lo chiedo spesso quale sia il mio ruolo nelle situazioni che affronto quotidianamente e quando riesco a focalizzare per bene quello che dovrebbe essere il mio posto e dove in realtà mi trovo – spesso non per mia volontà – il mio disagio trova una spiegazione. Limpida, tangibile, inequivocabile. Se riesco a sistemare quel dettaglio – che dettaglio non è – ho speranza di recuperare il mio fantomatico equilibrio mentale.

Spesso ci troviamo fuori posto. Fuori ruolo. Spessissimo. Soltanto che non lo vediamo perché non focalizziamo lì la nostra attenzione. Quando il peso è troppo, la responsabilità è soffocante, pensiamo di non essere abbastanza forti/bravi per poterla sostenere, ci facciamo mangiare dai sensi di colpa e dalle nostre insicurezze senza mettere in discussione la nostra posizione. La verità è che per la maggior parte del nostro tempo viviamo senza domandarci quale sia il nostro posto. Assumiamo ruoli che non ci competono o che non ci interessano o che non vogliamo o che detestiamo e non sappiamo neppure il perché.

Non ci chiediamo perché siamo dove siamo e stiamo facendo quello che stiamo facendo. Non stiamo giocando, in realtà, stiamo fingendo di conoscere un gioco che ci è estraneo e non osiamo neppure verificare il regolamento per capire da che parte girarci. Ma perché? Perché diamo in mano agli altri i nostri diritti e ci facciamo soffocare da doveri che non dovrebbero neppure toccarci?

In ogni branco c’è una gerarchia di ruoli, chi non si adegua sceglie la via della solitudine. Si combatte per il ruolo a cui si aspira, se non si dimostra di meritarlo ci si apposta diversamente, con umiltà. Noi Esseri Umani preferiamo non pensarci, lasciare che siano gli altri a decidere per noi, e covare rabbia e vendetta, e quando facciamo il botto diamo la colpa al resto del mondo.

Prima chiediti in che ruolo vuoi giocare, poi dai tutto quello che hai per meritartelo e vedrai che le cose cambieranno, la tua vita sarà migliore. Con me ha funzionato.

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(576) Espediente

In qualche modo si deve pur fare, in qualche modo si deve andare avanti. Le persone creative, quelle che riescono a raccontarsela bene e sanno inventarsi accorgimenti ad hoc per superare il giorno e la notte e ritrovarsi qui il giorno seguente, sanno come fare. Chi non ne ha bisogno perché ha una vita soddisfacente, può impegnarsi nel raggiungimento della felicità. A ognuno la sua sfida. Qual è la migliore? Mah.

Ci vuole anche un po’ di fortuna, come negarlo, ma la fortuna in mano a un idiota si può trasformare in rovina o può rivelarsi inutile, quindi guardare alla fortuna con intelligenza aiuta.

Superare i giorni e le notti a suon di espedienti, però, logora e toglie piano piano la gioia dal petto. Bisognerebbe provarlo per capire esattamente come si sta, ci sono persone che dovrebbero davvero provarlo e farlo nelle condizioni peggiori che esistano perché conoscendo soltanto l’opulenza le lezioni non le imparerai mai, perché quelle lezioni non ti toccano. Ci sono fantocci di potere che dovrebbero trascorrere anni di miseria prima di meritarsi un pallido risveglio. Ma questi sono dettagli filosofici perché quei fantocci sanno come manovrare la fortuna e sanno farsi forti della miseria degli altri. Un gioco già deciso, già vinto, già fatto e per nulla divertente se sei gli altri.

E qui, però, si potrebbe anche parlare di condizioni, di premesse, di presupposti che ritornano sempre al concetto di privilegio e quasi mai di merito. La Giustizia è un’idea che non ha nulla a che vedere con la realtà, lo sappiamo bene.

Se volessimo, invece, ritornare agli espedienti allora potremmo approfondire il discorso cercando di rispondere a una domanda semplice: che limite ci poniamo? Proporzionale al bisogno? Alla disperazione? Alla sete di rivalsa? O di vendetta? Eh, sì, ce n’è per tutti i gusti e per tutti gli scrupoli. Certo che se è vero che noi siamo il frutto della fortuna che abbiamo saputo sfruttare, allora cadono le regole del bene e del male e anche quelle del pudore e della vergogna. Un gran casino da cui non si esce più. A pensarci m’è venuto mal di testa.

Da qualche tempo, molto tempo in verità, l’espediente che funziona meglio con me è quello di pensare che andrà meglio, che è solo una questione di tempo e andrà meglio. Una sorta di speranza travestita da traballante fiducia in quel modo strano che ha la vita di darti qualcosa, quel tanto che basta per non abbandonarti a te stesso finché ce n’è.

Come canta Ligabue, sì. Finché ce n’è.

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(133) Comunicare

Un mistero che difficilmente riuscirò a comprendere, campassi cent’anni. Studio, lavoro, esperienza… niente. Ogni volta che mi si palesa davanti agli occhi il disastro di una comunicazione fallita/inceppata/sospesa rimango basita. Come le fantomatiche vignette della Settimana Enigmistica: Senza Parole.

Succede di continuo, succede ovunque. Tu credi di aver usato le parole giuste, il tono giusto, la giusta enfasi. Le tue intenzioni sono chiare, cristalline. E oneste, certo anche oneste. Niente da fare, garanzie non ce ne sono.

Il messaggio che lanci con grande precisione, che appoggi delicatamente, che traghetti tra i flutti, che fai rimbalzare gioiosamente, che porgi con garbo, che doni con generosità, che… non arriva. In qualche modo, come per un dannato sortilegio di matrigna vendicativa, si arrotola, si stropiccia, si distorce, si ingarbuglia, si sporca, si rovina nell’istante in cui giunge a destinazione.

Bruciato tutto, istantaneamente. 

Cosa si fa, allora? Non lo so. So cosa faccio io: ricomincio daccapo. Ci riprovo. Senza illusioni, beninteso, ma con una certa determinazione, recuperando brandelli di entusiasmo che pazientemente ripenso e ricucio per di nuovo esporlo al resto del mondo. E sia quel che sia.

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