(694) Alieno

Essere un alieno può significare che provieni da un altro mondo, che appartieni a un altro mondo, ma anche che sei refrattario rispetto a qualcosa o a qualcuno: come al solito la lingua italiana si riempie di colore appena la sfiori. Quante volte al giorno ci succede? Centinaia. A tutti per di più. Siamo tutti goffi alieni che si muovono a tentoni e che fanno finta di avere tutto sotto controllo. Balle.

A me piacerebbe tanto incontrare un alieno capace di affermare non-lo-so quando davvero non sa qualcosa. Mi piacerebbe parlare con un alieno che non si vergogna di ammettere che non-può-fare qualcosa o addirittura che non-sa-fare-qualcosa. Sarebbe liberatorio. Non sarei sola in questo pianeta dove tutti sanno tutto e tutti sanno fare e possono fare tutto.

Io no. Ci sono milioni di cose che non so – anzi, miliardi – e altrettanti milioni di cose che non so fare o che non posso fare, eppure vivo. Forse non me lo merito, ma respiro lo stesso, anche se sono lontana dall’essere come vorrei, anche se la gran parte delle mie aspirazioni son finite in cantina e non c’è nulla di che vantarsi. Sono un Essere Umano finito, ho confini precisi e alcuni limiti che non mi sarà possibile superare neppure in cento vite. Pazienza. Non odio nessuno per questo, non c’è nessuno con cui prendersela, neppure chi può tutto, sa tutto, fa tutto e pure bene. Eh! Beati loro. Io no.

La cosa migliore di tutte? Nessuno si aspetta da me grandi cose. A tutti basta la mia normalità, quando ne hanno abbastanza se ne vanno liberamente, per andare a dimostrare altrove che sanno, che possono, che fanno. Magari ne danno annuncio sui social, perché se non lo racconti a qualcuno la questione perde il luccicore. Dal mio angolo alieno osservo: a volte ammiro e altre mi dissocio con fermezza.

Qui da me l’ordinario ha un sapore buono, che sazia, e quando qualcosa di straordinario accade lo si festeggia. Potrebbe non accadere più.

Noi alieni siamo fatti così. Portate pazienza.

 

 

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(19) Sapore

Far caso al sapore delle cose è impegnativo. Se fai il mio mestiere, è d’obbligo almeno farci caso, se non addirittura analizzare ogni sapore per capirne le origini e le destinazioni.

Devi stare fuori e dentro alle cose in contemporanea. Dentro per assaporarle e fuori per analizzare ciò che hai colto in quel sapore. Faticoso.

Dopo un po’ che lo fai, la fatica non la senti più, l’impegno non lo senti più, quello che senti è il sapore. Anche quando non vuoi farci caso, anche quando non ti serve farci caso, anche quando farci caso non è cosa saggia o intelligente.

Hai fatto tua la tecnica e quella parte in quarta senza che tu le dia l’ok per partire. Dannazione!

Allora ti trovi in un posto e cominci a sentirne il sapore, stai parlando con una persona e il sapore ti impregna il cervello, guardi una situazione e il suo sapore ti fa venire voglia di scappare a gambe levate. Sei passato dal costringerti nell’analisi del sapore al costringerti a non scappare ogni qualvolta il sapore ti fa venire la nausea. Devi rimandare a dopo il tuo malessere.

Ecco la fatica di nuovo, ecco l’impegno di nuovo, ecco il fastidio.

La fase successiva è: turati il naso e rimanda l’analisi del tuo fastidio a dopo, altrimenti manco ti ci metti in certe situazioni, con certe persone, in certi luoghi. Comprendere che sentire il sapore delle cose è un elemento fondamentale per scegliere liberamente che cosa fare e dove stare è la chiave per non mandare tutto al diavolo.

Qui si tratta di allenamento.

Adelante Sancho!

b__

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