Ho fama di essere una molto calma. Vorrei, ora e qui, sfatare il mito: mi obbligo alla calma, non lo sono affatto. Sono un’ansiosa cronica. Mi scoccia essere ansiosa, mi scoccia essere quella che si preoccupa sempre di tutto e di tutti, quindi m’impongo un certo contegno. In poche parole: fingo.
Non è una finzione atta a mettere nel sacco il mio prossimo, bensì me stessa.
La teoria che sta alla base di questa mia posizione è semplice: se fingo bene bene bene di non essere ansiosa, la calma entrerà in me e s’impossesserà della mia mente per sempre. Divento zen per autoconvinzione fingendo di esserlo già, in pratica.
Non voglio dubitare neppure per un istante che non sarà così, pertanto continuo a fingere e continuo ad aspettarmi grandi risultati da questo mio estenuante esercizio. Dovrei forse lasciare che il panico abbia la meglio? Nossignore! Accompagno il panico alla porta e mi pongo se non sorridente almeno presentabile agli occhi del mondo.
L’unico momento in cui vengo smascherata in modo vergognoso, però, è durante una seduta di meditazione guidata di gruppo. Lì m’infastidisce tutto e tutti. Non riesco neppure per un nanosecondo a estraniarmi e a percepire il benessere di quella luce bianca o rosa o azzurrina che una volta che ti avvolge ti trasporta lassù ad abbracciare il tuo nirvana. La calma che so fingere perfettamente va a farsi benedire, il mondo mi scopre per quella che sono e si ricomincia daccapo.
Rifuggo le suddette situazioni, ben inteso, passata da lì una volta mi sono ripromessa mai più. Ho intenzione di perpetrare la mia attività di calma apparente finché questa non si piegherà al mio volere e io, anche se non abbraccerò il mio nirvana come si suppone io faccia – prima o poi – almeno potrò salutarlo da una posizione più comoda. Con vista lago.