(718) Nausea

Mi viene la nausea quando ci sono delle situazioni in cui palesemente le cose non funzionano e contro ogni buonsenso si evita di cambiarne le dinamiche perché così si è sempre fatto e così sempre si farà. 

Con questo modo di pensare lo stallo è irreversibile.

Le mastodontiche istituzioni politiche, religiose, economiche non vengono mai davvero toccate perché alla base ci sono degli interessi che non riguardano le persone che le subiscono, bensì le persone che le gestiscono. Lo sappiamo tutti, ma tutti ancora chiniamo la testa e tutti ancora pensiamo che siccome è sempre stato così allora sempre sarà così. E quando arriva qualcuno che afferma “ora basta, cambiamo le cose” noi ci dimentichiamo che se sono lì è perché hanno già abbracciato quella logica e niente cambierà perché non è più loro interesse che cambi. Semplice, lineare, vero. E noi non vogliamo vederlo, non vogliamo crederci.

Entri in una cattedrale, ne ammiri ogni dettaglio e poi ti accorgi che lì dentro il potere silente non è quello di Dio, ma quello degli uomini. E tu preghi, preghi un Dio che molto probabilmente non è lì che dimora perché dovrebbe essere dentro il tuo cuore ma tu lì non ci guardi, è più facile guardare il cielo che dentro noi stessi. Siamo dei patetici idioti. E ce la prendiamo con chi ci tratta come marionette, ma siamo noi che diamo in mano a questi molossi zeppi d’ego i fili per gestirci. E via di rabbia e via di orgoglio e indignazione.

“Si pregano i santi che fanno i miracoli”, mi ha detto oggi una mia carissima amica (donna intelligente e sagace) e lì mi sono inchiodata. Un detto popolare mai sentito prima che mi ha aperto un portone in testa. Preghi un santo affinché ti faccia un miracolo, mica quello che non ne ha mai fatti di miracoli. A cosa ti servirebbe pregare un santo senza alcun potere?

In poche parole, la nostra fede è una bella storia che ci raccontiamo. Converrebbe però raccontarcela bene, perché alla luce dei fatti non regge. Rimaniamo dei patetici idioti, pieni di rabbia. Evviva.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(685) Compagnia

Essere in compagnia non mi è mai bastato, essere in buona compagnia ha valore per me. Piuttosto da sola che con le persone sbagliate. Essere in tanti mi fa girare la testa, essere in due mi pianta bene a terra. Posso ascoltare meglio, posso conoscere meglio.

Partendo da questi presupposti suono stramba e magari anche sfuggente, a volte. Per chi non sa di me, per chi non si cura troppo di sapere. Una volta ci facevo caso, ora non m’importa più. Nella mia crescita s’è inserito un certo distacco dal giudizio degli altri, gli altri a cui non serve guardare perché già sanno tutto. Beati loro.

E poi, quel essere-in-due che diventa coppia e diventa disegno di vita è una questione che tira in ballo troppe cose. Davvero troppe. Gli incontri nella vita li puoi forzare fino a un certo punto, i sentimenti non li puoi ritagliare per inseguire la moda o per combinarsi meglio con i tuoi interessi. Mi domando spesso se le mie scelte siano state dettate più dal mio volermi bene o dal mio volermi male, la risposta più sincera è che il bene ha finito per vincere su tutto. Era così che doveva andare.

Essere in due per non essere soli non funziona in nessun mondo, in nessun modo, per nessuno. Essere in due per colmare vuoti, per accomodare il quotidiano, per mettersi al riparo da ogni possibile tempesta: ingenui tentativi che preannunciano montagne di sofferenza. Non si mercanteggia con l’Anima, anche se ti sembra di averla convinta, Lei non cede. Tu sì. Se non subito, tra un po’, e Lei lo sa e ti aspetta lì, esattamente dove cadrai.

C’è solo un modo, per me, di immaginare di essere in due ed è quello che in una ipotetica foto mi mostra come sono. E mi mostra sorridente. Non ci sono compromessi, non ci sono preghiere, non ci sono miracoli all’orizzonte. Ci sono gli incontri, e un certo tipo di incontri non sono programmabili. E a desiderarli non si accorciano i tempi, tutt’altro.

C’è una sorta di ineluttabilità in tutto questo che non riesco ad accettare. Credo che il problema sia tutto lì. Maledizione.

Share
   Invia l'articolo in formato PDF   

(585) Fischio

“Se ti servo fammi un fischio!”

Non lo dico più. Ho smesso perché mi stavano scoppiando le orecchie. Le persone prendono cose veramente importanti più alla leggera di questa frase idiota, robe da matti. Non lo dico più, e ho smesso non per una precisa volontà bensì l’ho fatto naturalmente. Avevo capito che se non si mettono dei limiti, la devastazione è inevitabile e imminente.

Quella Barbara era soltanto la soluzione di quei fastidi che deleghi volentieri a qualcuno di cui non ti importa granché. Infatti, era così: non venivo considerata granché. E a un certo punto una si può anche rompere le palle. E quando succede non c’è nulla che possa porvi rimedio, quel che è rotto rimane rotto – attaccarlo come fanno i giapponesi non è cosa, davvero.

Le conseguenze sono immediate e piuttosto evidenti: il deserto. Esattamente come quello dei Tartari di Buzzati, uguale. E non è detto sia una cosa brutta, almeno ti riposi un po’, ma rimane comunque una cosa triste. Ti rendi conto che quando non sei più utile, non sei più indispensabile. E quindi sparisci.

Lo spazio attorno a te diventa più vivibile, ma se nel frattempo ti eri affezionata a qualcuno si sono aperti dei vuoti dove manca l’aria e ogni volta che ci capiti dentro ti passa la voglia di alzare la testa. Triste, deprimente, pericoloso.

E dopo un po’ la lezione fa quello che deve e ti guarisce. Guarisci piano piano, ma con una certa costanza. Smetti di cadere dentro ai dannati vuoti, alcuni li lasci così come sono, altri li riempi con… te stessa. Ti spargi un po’ di qua e un po’ di là, senza impegnarti troppo, senza darti troppo, senza sentirti troppo. Un sistema perfetto dove il tuo essere ininfluente e tutt’altro che indispensabile più che un peso diventa un sollievo.

Una volta guarita, ti rendi conto che quella frase era un tuo stramaledetto modo di intendere la vita che doveva essere abbandonato. Cambia la dinamica e cambierà la risposta. Se poi la risposta ancora non ti soddisfa, ricambia la dinamica. La vita è un susseguirsi di tentativi. La fortuna è un optional auspicabile, ma non di serie. Ebbé, mica si può pretendere miracoli, al massimo si possono supplicare. Non mi è mai piaciuto supplicare, però, e non inizierò a farlo adesso. Eh!

 

Share
   Invia l'articolo in formato PDF