(1073) Ingenuità

Ingenuamente rimango sempre basita quando scopro cosa pensa la gente di me. Gente è un termine generico che racchiude tante persone e non con tutte sono necessariamente in stretto contatto. Quindi, se in linea di massima posso non curarmi dell’idea che si sono fatte di me le persone che non mi frequentano, vengo in qualche modo coinvolta da quelle con cui interagisco spesso. 

Forse l’ingenuità ha a che fare con il dare per scontato ciò che non lo è per poi scoprire cose che non paiono neppure reali e che invece sono belle solide e pronte a scontrarsi sul tuo muso? Può darsi. 

Si dice anche cadere dal pero. Il che ha una sua logica. 

L’ingenuità risuona con la meraviglia dell’innocenza fanciullesca, no? Bello direi. Da mantenere, per certi versi, ma alle tante bisognerebbe mettersela via e diventare un po’ più sgamati

Quando iniziai tre anni fa questo diario mi ero fatta tutto un discorso bellissimo sull’equilibrio dell’esposizione, sul controllo del linguaggio, sulla scelta accurata delle tematiche da trattare e sul basso grado di sbrodolamento emotivo da mantenere per non diventare indecorosa. Una meraviglia vero?

La realtà si è rivelata in tutta la sua follia, giorno dopo giorno, e le premesse si sono sbriciolate. Non ho più controllato nulla, ho soltanto cavalcato l’onda cercando di non colare a picco con la mia tavoletta insaponata. Risultato? Persone che mi leggono in silenzio si sono allontanate da me perché non d’accordo con i miei pensieri o perché si sono sentite prese in causa pensando che io pensassi proprio a loro mentre stavo scrivendo. Ehmmmmm… ingenuamente ho scritto e dato per scontato che chi mi conosceva non poteva fraintendere. Sbam. Caduta dal pero. 

Se ho qualcosa da dire a qualcuno gliela dico. Non la scrivo. La dico proprio in faccia. Se non dico nulla è perché penso sia comunque inutile e non lo scrivo neppure. Perché se è inutile è inutile, punto e basta.

Fatto sta che guardare me stessa attraverso una lente d’ingrandimento, mentre scrivo questi miei post, fa per forza di cose sfocare tutto ciò che mi sta attorno, e non mi fa valutare le conseguenze di ciò che scrivo perché non so neppure chi mi leggerà. Non ho aperto il blog ai commenti per non essere influenzata dai pensieri di chi sarebbe passato di qui e penso sia stata una buona mossa. So più o meno quante persone approdano in ogni mio post, ma non so chi siano a meno che non si palesino sulla mia pagina Facebook. Quindi ingenuamente ho percorso questo sentiero seminando molliche di pane che sono state mangiate dagli uccellini lasciando zero tracce alle mie spalle (se non le righe da me scritte, ma a che servono in fin dei conti?).

In poche parole: volevo dirlo e l’ho detto. Anzi l’ho scritto. Non vorrei dimenticarlo e non vorrei che si cancellasse questo momento perché le piccole cose contano. Nell’economia della mia esistenza le piccole cose sono quelle che hanno da sempre avuto più significato. Sono fatta così. Pazienza.

 

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(718) Nausea

Mi viene la nausea quando ci sono delle situazioni in cui palesemente le cose non funzionano e contro ogni buonsenso si evita di cambiarne le dinamiche perché così si è sempre fatto e così sempre si farà. 

Con questo modo di pensare lo stallo è irreversibile.

Le mastodontiche istituzioni politiche, religiose, economiche non vengono mai davvero toccate perché alla base ci sono degli interessi che non riguardano le persone che le subiscono, bensì le persone che le gestiscono. Lo sappiamo tutti, ma tutti ancora chiniamo la testa e tutti ancora pensiamo che siccome è sempre stato così allora sempre sarà così. E quando arriva qualcuno che afferma “ora basta, cambiamo le cose” noi ci dimentichiamo che se sono lì è perché hanno già abbracciato quella logica e niente cambierà perché non è più loro interesse che cambi. Semplice, lineare, vero. E noi non vogliamo vederlo, non vogliamo crederci.

Entri in una cattedrale, ne ammiri ogni dettaglio e poi ti accorgi che lì dentro il potere silente non è quello di Dio, ma quello degli uomini. E tu preghi, preghi un Dio che molto probabilmente non è lì che dimora perché dovrebbe essere dentro il tuo cuore ma tu lì non ci guardi, è più facile guardare il cielo che dentro noi stessi. Siamo dei patetici idioti. E ce la prendiamo con chi ci tratta come marionette, ma siamo noi che diamo in mano a questi molossi zeppi d’ego i fili per gestirci. E via di rabbia e via di orgoglio e indignazione.

“Si pregano i santi che fanno i miracoli”, mi ha detto oggi una mia carissima amica (donna intelligente e sagace) e lì mi sono inchiodata. Un detto popolare mai sentito prima che mi ha aperto un portone in testa. Preghi un santo affinché ti faccia un miracolo, mica quello che non ne ha mai fatti di miracoli. A cosa ti servirebbe pregare un santo senza alcun potere?

In poche parole, la nostra fede è una bella storia che ci raccontiamo. Converrebbe però raccontarcela bene, perché alla luce dei fatti non regge. Rimaniamo dei patetici idioti, pieni di rabbia. Evviva.

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