(685) Compagnia

Essere in compagnia non mi è mai bastato, essere in buona compagnia ha valore per me. Piuttosto da sola che con le persone sbagliate. Essere in tanti mi fa girare la testa, essere in due mi pianta bene a terra. Posso ascoltare meglio, posso conoscere meglio.

Partendo da questi presupposti suono stramba e magari anche sfuggente, a volte. Per chi non sa di me, per chi non si cura troppo di sapere. Una volta ci facevo caso, ora non m’importa più. Nella mia crescita s’è inserito un certo distacco dal giudizio degli altri, gli altri a cui non serve guardare perché già sanno tutto. Beati loro.

E poi, quel essere-in-due che diventa coppia e diventa disegno di vita è una questione che tira in ballo troppe cose. Davvero troppe. Gli incontri nella vita li puoi forzare fino a un certo punto, i sentimenti non li puoi ritagliare per inseguire la moda o per combinarsi meglio con i tuoi interessi. Mi domando spesso se le mie scelte siano state dettate più dal mio volermi bene o dal mio volermi male, la risposta più sincera è che il bene ha finito per vincere su tutto. Era così che doveva andare.

Essere in due per non essere soli non funziona in nessun mondo, in nessun modo, per nessuno. Essere in due per colmare vuoti, per accomodare il quotidiano, per mettersi al riparo da ogni possibile tempesta: ingenui tentativi che preannunciano montagne di sofferenza. Non si mercanteggia con l’Anima, anche se ti sembra di averla convinta, Lei non cede. Tu sì. Se non subito, tra un po’, e Lei lo sa e ti aspetta lì, esattamente dove cadrai.

C’è solo un modo, per me, di immaginare di essere in due ed è quello che in una ipotetica foto mi mostra come sono. E mi mostra sorridente. Non ci sono compromessi, non ci sono preghiere, non ci sono miracoli all’orizzonte. Ci sono gli incontri, e un certo tipo di incontri non sono programmabili. E a desiderarli non si accorciano i tempi, tutt’altro.

C’è una sorta di ineluttabilità in tutto questo che non riesco ad accettare. Credo che il problema sia tutto lì. Maledizione.

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(529) Photoshop

Si fa presto a dire “bello!”, ma forse così bello non è. L’ideale sarebbe poter photoshoppare tutto quello che nella realtà non è bello così come lo vorremmo. Potrebbe essere questo il segreto per la felicità?

L’amarezza più grande è quella lasciataci addosso dalla delusione, la delusione è la conseguenza di un potenziale “bello!” che davanti ai nostri occhi si trasforma in un “carino” quando non gira proprio male e diventa un “bleah!”. E spesso non son sfumature, son veramente salti quantici da paura.

Succede con le persone, con i luoghi, con gli eventi, con le situazioni che ci eravamo immaginati, con i desideri che si concretizzano, con i sogni che si frantumano. E non c’è photoshop che tenga, in quel caso. Di amarezza in amarezza il carico si fa pesante, le pieghe della bocca vanno in giù, le palpebre cadono perché gli occhi non vogliono più saperne di guardare la realtà (ad occhi chiusi si sogna meglio) e via di questo passo. Il cuore? Il cuore si crepa, inesorabilmente, a volte lo schiocco arriva fino alle orecchie, altre volte è silenzioso e non fa di certo meno male.

Fotoritocco prêt à porter: la soluzione per la realtà che ci delude. Eh.

E si fa presto a dire “non farti aspettative”… si può per caso vivere pensando sempre che tutto andrà a puttane? Il disfattismo è roba per cervelli dozzinali. Si può mirare più in alto, si può ambire ad una schiena dritta, lo sguardo all’orizzonte, immaginando che andrà meglio. Ecco, questo crea aspettative, quelle stesse che verranno deluse. Il maledetto loop che s’impone a chi vuole vivere malgrado sappia che di amarezza si può morire.

Evvabbé, in fin dei conti di qualcosa si dovrà pur morire e farlo con la schiena dritta e lo sguardo sognante mi sembra un buon modo. Sì, è un buon modo.

 

 

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(506) Ambizione

E a un certo punto ti devi arrendere. I tuoi propositi, le tue aspirazioni non funzionano, all’ennesima prova devi mollare. Ti metti l’anima in pace e ti adegui, come fanno tutti. Perché non sei più intelligente degli altri, non sei il fenomeno che la vede più lunga di tutti, no. Ti devi rassegnare all’evidenza.

Non è la prima volta che l’evidenza ti sbatte in faccia la verità, non è la prima e non sarà neppure l’ultima perché, finché non lo avrai capito, l’evidenza rimane quella. Lei non sbaglia, tu sì.

Ecco, io continuo a ripetermi queste perle di saggezza e, nonostante le apparenze, io continuo a considerarle perle di saggezza condivisibili per logica e onesta analisi della situazione… non c’è falla nel discorso, fila tutto liscio, da A si passa a B e da B a C e… davvero, apprezzo tutto, proprio tutto.

Ma.

Non posso modificare le mie ambizioni, i miei desideri, i miei intenti, i miei propositi, me stessa. Non posso svegliarmi la mattina e essere altro, anche se qualsiasi altro io scegliessi di essere avrebbe più ragione e più merito di me. Non posso farlo, ci ho provato e riprovato, ma non posso farlo.

Non.

Posso.

Farlo.

Non c’è ombra di saggezza in questo, non c’è buonsenso, non c’è logica, non c’è nient’altro che ego molesto. Lo so. Ma non cambia nulla.

Rimango qui, calciando grumi di scoramento, tra domande retoriche e scuse claudicanti, rimango qui. Solida e scricchiolante. Solida e arrabbiata. Solida e stupidamente stoica. Senza neppure un perché, solo basandomi sul fatto che se fosse stato scritto da qualche parte che dovevo essere altro da quello che sono lo sarei stata. Non ho altro modo per esserci.

Purtroppo, in tutto questo, l’esserci ha per me significato sublime. E non ci sono sconti, non ci sono ripieghi, non ci sono censure al sublime. E se ancora non fosse chiaro, non è mia ambizione essere sublime, bensì guardare al sublime e niente di meno. E non c’è niente e nessuno che mi può oscurare o infangare la visione, il sublime sa trattenere il mio sguardo e mi impone perenne attenzione.

Posso smettere di parlare, ma smettere di essere ancora no. No, finché ce n’è.

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(229) Relitto

Ho sempre guardato agli appigli come a piccoli miracoli di salvezza. Non è semplice farci l’occhio, ma se sei fortunato perché la vita ti ha ben bastonato con costanza e sollecitudine allora gli appigli hai imparato a riconoscerli ovunque.

Quando sei guardato come un relitto, quando nessuno ti darebbe un soldo sulla fiducia, quando le tue parole e le tue azioni passano nel silenzio e cadono lontane senza che nessuno le raccolga. Ecco, quelli sono appigli.

Da lì riparti, perché da un qualche posto uno deve pur ripartire e quando non c’è nient’altro da lì riparti. Non è che ti servono i dubbi o le recriminazioni. Non ti serve lamentarti, bestemmiare, vendicarti. Non ti serve. Fattene una ragione, non serve. Devi trovare un altro modo. Non ce l’hai ancora? Ok, inizia a cercarlo, inizia a desiderarlo, inizia ad accorgerti degli stramaledetti appigli.

Un relitto è qualcosa di finito, tu no.

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